Huawei Fashion Flair with Annakiki, intelligenza artificiale e moda

Anna Yang (fondatrice di Annakiki) e Isabella Lazzini (Retail Director di Huawei Italia) insieme per Fashion Flair

Tra i diversi profili che sono stati elaborati allo scopo di fotografare le generazioni che abitano attualmente il nostro pianeta (Maturists, Baby Boomers, Generation X, Generation Y oppure Millennials, Generation Z), io mi colloco esattamente a metà, ovvero nella cosiddetta Generazione X, quella di coloro che sono nati tra il 1965 e il 1980.

Influenzati da fenomeni sociali, culturali, politici ed economici che vanno dal crollo del Muro di Berlino (1989) passando per Andy Warhol e la Pop Art fino ad arrivare al consumismo, è (siamo…) la generazione dei cartoni animati, delle sale giochi e delle televisioni commerciali, dei primi videogame, dei primi computer, dei primi oggetti tecnologici portatili come il walkman.

Tra gli appartenenti alla Generazione X ci sono coloro che hanno creato Google nel 1998 (Sergej Brin e Larry Page, entrambi classe 1973) e che hanno spianato la strada ai loro successori, i Nativi Digitali, ovvero i Millennials e la Generazione Z.

Varie analisi dicono che noi della Generazione X siamo fruitori abbastanza consapevoli: andiamo alla ricerca di informazioni un po’ su tutto e scegliamo quali prodotti acquistare dopo aver consultato recensioni e opinioni di chi ne è già un consumatore.

Devo dire che mi riconosco abbastanza in questo ritratto con qualche eccezione: per esempio, contrariamente a tante persone della mia stessa generazione che continuano a prediligere Facebook, io preferisco invece Instagram come i Nativi Digitali e nonostante il mio lavoro sia fondato fortemente sulla comunicazione verbale.

Il punto fondamentale è che sono istintivamente curiosa e dunque sono affascinata da tutto ciò che profuma di futuro e progresso: sebbene io sia una immigrata digitale e non una nativa (secondo la definizione coniata nel 2001 da Mark Prensky, scrittore e consulente statunitense), sebbene io sia cresciuta prima delle tecnologie digitali e le abbia adottate solo in un secondo tempo, ho una visione e un approccio che sono più vicini a quelli delle generazioni successive.

Oltre alla curiosità da sempre insita in me, credo che il mio atteggiamento dipenda anche dal fatto che tra le attività lavorative di cui mi occupo figura anche l’insegnamento: confrontarmi con gli studenti, ragazzi che appartengono alle ultime generazioni, mi mantiene mentalmente elastica e perennemente al passo dei tempi. Spero di dar loro qualcosa e allo stesso tempo mi piace ricevere da loro, in modo diverso ma complementare.

Qui nel blog esistono tante tracce del mio amore per il futuro e per le tecnologie anche applicate a moda e costume: ho parlato per esempio in un post di Bradley Quinn, grande visionario della moda che ho avuto il piacere di incontrare nel 2013, oppure ho parlato in un altro post di wearable technology, la tecnologia indossabile, attraverso l’abito creato nel 2016 da Zac Posen per Claire Danes al Met Gala.

Oggi mi spingo oltre parlandovi di Fashion Flair, la prima collezione di moda co-creata dalla artificial intelligence (intelligenza artificiale) di Huawei P30 e Huawei P30 Pro e dall’estro di Anna Yang, Creative Director del brand Annakiki.

Leggi tutto

Alba Cappellieri e i gioielli dall’Art Nouveau al 3D printing

La passione per la lettura mi ha sempre caratterizzata, fin da piccina, e credo sia perché mi ha costantemente permesso di saziare la mia immensa curiosità, peraltro temporaneamente e mai definitivamente. Fino al libro successivo, insomma.

Scherzando, mia mamma racconta di non sapere se da bambina le costassi più in libri oppure in cibo, altra grande passione per la sottoscritta: ricordo quando, preoccupata per il ritmo con il quale doveva acquistare nuovi volumi, mi iscrisse prima alla biblioteca di zona e poi alla splendida Sormani, sede principale del sistema bibliotecario milanese. Ricordo altrettanto bene l’impressione che mi faceva quel luogo così storico e per me un po’ magico.

So anche per certo che è stata la lettura a peggiorare la mia miopia già congenita: sempre da bambina, infatti, avevo la pessima abitudine di leggere in condizioni di luce spesso sfavorevoli, ovunque mi trovassi e qualsiasi fosse il pezzo di carta stampato.
Più di una volta, mamma mi beccò a leggere perfino i fogli di vecchi quotidiani che lei stendeva sul tappeto della cucina per proteggere il pavimento le rare volte in cui friggeva…

Naturalmente, è stata la lettura a influenzare ciò che faccio ora e a consolidare l’amore per la comunicazione.
Leggere non è solo una passione ma è anche parte integrante e fondamentale del mio lavoro: spesso, oggi, devo optare per gli strumenti digitali (web, supporti elettronici, formati pdf e quant’altro) ma, ovviamente, la carta è rimasta la mia preferita. Aprire un quotidiano appena acquistato piuttosto che un libro intonso e tuffarvi il naso resta per me uno tra i piaceri più grandi che esistano.
Ho smesso, invece (per fortuna!), di leggere i quotidiani stesi in terra…

Devo dire che, tra lavoro e svago, raramente mi capita di fare letture che risultino in contemporanea piacevoli, interessanti e istruttive quanto riescono a esserlo i libri di Alba Cappellieri, illustre professore ordinario di Design del Gioiello e dell’Accessorio Moda al Politecnico di Milano.

Seguo ormai da tempo e con attenzione il suo lavoro (qui il mio post più recente) perché Alba – mi permetto di chiamarla per nome – soddisfa in aggiunta un altro mio appetito infinito: quello per il mondo del gioiello e delle sue molteplici sfaccettature e declinazioni e sono dunque felice di annunciare l’uscita della sua nuova fatica letteraria intitolata Gioielli dall’Art Nouveau al 3D Printing.

Il volume propone uno straordinario repertorio di gioielli, orafi e grandi maison internazionali che, a partire dagli inizi del Novecento a oggi, hanno interpretato le evoluzioni del gusto in forme preziose.
Propone dunque un viaggio senza confini, dalla Francia all’Asia, dagli Stati Uniti all’Italia, dall’Inghilterra alla Germania, dall’Olanda ai paesi del Nord e si va dai capolavori dell’Art Nouveau di Lalique, Vever e Fouquet all’eleganza dell’Art Déco con le meraviglie di Cartier, Boucheron, Tiffany, Mario Buccellati e Fabergé; dalle invenzioni di Van Cleef & Arpels (maison della quale ho parlato spesso come qui e qui nei post più recenti) e di Bulgari negli Anni Cinquanta alle avanguardie olandesi e al gioiello d’artista degli Anni Sessanta per arrivare, infine, alle proposte dei designer e degli stilisti della contemporaneità.
Esattamente come io stessa sono passata dall’analogico al digitale (dal libro in carta al web), parallelamente il nuovo millennio è rappresentato nel volume dall’introduzione della manifattura digitale come la stampa 3D e le tecnologie indossabili (anche in questo caso, discorsi che mi sono cari e che sto pian piano affrontando anch’io, nel mio piccolo, ovviamente, come feci qui nel 2016): c’è spazio anche per i nuovi processi creativi, produttivi, distributivi e comunicativi (determinati dal modello open source, ovvero sorgente aperta, che si riferisce a tutte quelle tecnologie di cui i creatori favoriscono il libero studio, lo sviluppo, l’utilizzo), processi che stanno definendo gli scenari del gioiello del futuro.

Si tratta dunque di un approfondito saggio storico-critico che introduce un’eccezionale selezione di immagini (che è costata molto lavoro, come racconta la stessa Cappellieri), pensata come una galleria ideale dei capolavori dell’arte orafa dal XX secolo a oggi: le immagini sono accompagnate da un ricco glossario sulle tecniche e i materiali, tradizionali e innovativi.

Non pensate, però, a un volume noioso: ho usato il termine saggio perché è la definizione corretta ma – come dicevo in principio – Alba Cappellieri ha il dono (dono prezioso quanto raro) di rendere piacevolissimo e fruibilissimo anche un volume particolarmente ricco dal punto di vista dei contenuti storici e critici. E il libro risulta infatti bello sia da leggere sia da sfogliare.

Ho avuto il piacere di assistere alla (gremitissima!) conferenza che, giusto un paio di giorni fa, si è tenuta presso la Pinacoteca di Brera a Milano: in tale occasione, Alba Cappellieri ha presentato il libro dialogando anche con Gabriele Aprea (presidente di Chantecler e del Club degli Orafi ) e Vincenzo Castaldo (direttore creativo di Pomellato), in un tavolo moderato da Federica Frosini, direttore del magazine VO+.

Ho molto amato come il tavolo di discussione è stato condotto partendo dalla domanda di apertura di Alba Cappellieri: qual è la definizione di gioiello?
Le risposta non è univoca, naturalmente, e le definizioni possono essere diverse in base a chi risponde: per esempio, la definizione è sicuramente diversa tra uomo e donna, ma anche tra orafo e artista (interessante, in tal caso, come per quest’ultimo il corpo diventi perfino una superficie espositiva).
Ognuno di noi attribuisce al gioiello un significato diverso, un’accezione diversa, una declinazione diversa.
Per diversità di età, esigenze, professione, attitudine, interesse e per mille altri motivi ancora.

Gioielli dall’Art Nouveau al 3D Printing si propone come punto di incontro tra i diversi punti di vista, i diversi significati e i diversi mondi, senza pretesa di graduatorie o classifiche perché – come ben dice Alba Cappellieri – «è ora di ragionare per assonanza e non per divisioni».

Questo desiderio di unire e non dividere è per me un motivo più che sufficiente per acquistare il volume, un motivo che si aggiunge alla piacevolezza e alla preziosità evidenti dal primo istante.
Senza dimenticare che, com’è stato ricordato, il gioiello è anche gioco, fin dalla sua etimologia: il termine gioiello deriva infatti dal latino iocalis da iocus ovvero «scherzo, gioco».

Non potrei essere più d’accordo sulla dimensione anche ludica e gioiosa del gioiello e allora permettetemi di concludere con una battuta scherzosa: spero di non perdere qualche altra diottria tra le pagine scintillanti (e per me particolarmente golose) del tuo meraviglioso volume, cara Alba.

Manu

 

Gioielli dall’Art Nouveau al 3D Printing
2018, edizione italiana, inglese e francese
24 x 28 cm, 264 pagine, cartonato, Euro 60 (qui sul sito dell’editore Skira)
ISBN 978-88-572-3736-7 I, -3737-4 e ISBN 978-2-37074-091-5 F

Alba Cappellieri è professore ordinario di Design del Gioiello e dell’Accessorio Moda al Politecnico di Milano dove dirige i corsi di laurea triennale e magistrale in Design della Moda.
È direttore del corso di alto perfezionamento in Design del Gioiello, del Master internazionale in Accessory Design
e del Master in Fashion Direction – Brand & Product Management presso il Milano Fashion Institute.
Dal 2013 al 2016 ha insegnato Design for Innovation alla Stanford University.
È membro del Comitato Scientifico dell’École Van Cleef & Arpels a Parigi e della Fondazione Cologni a Milano.
Nel 2017 è stata nominata ambassador del Design Italiano per l’Italian Design Day a Osaka.
Dal 2014 è direttore del Museo del Gioiello in Basilica Palladiana a Vicenza.

Immagine in alto: la copertina del libro Gioielli dall’Art Nouveau al 3D Printing e pendente Sylvia pubblicato a pag. 73 (1900, Vever su disegno di Henri Vever, oro, smalti, agata, rubini, diamanti. Parigi, Musée des Arts Décoratifs, credito fotografico: © ADAGP, Paris 2018: Les Arts décoratifs, Paris. Photo Jean Tholance, All right reserved).

Nel futuro la wearable technology ci farà brillare. E non solo.

Un mio docente era solito fare un’affermazione che mi affascinava.

“Se una cosa capita una volta sola può essere casualità, ma se capita due o più volte diventa qualcosa di più. E potrebbe diventare un vero e proprio caso da studiare e del quale occuparsi.”

Quanto aveva ragione! Me ne sono accorta nel tempo e oggi tengo sempre ben presente quella sua piccola perla, soprattutto quando una notizia cattura la mia attenzione e quando non riesco a comprenderne il perché: mi regalo tempo e la metto da parte. Quando poi ne giunge un’altra che è come un pezzo di puzzle che va a unirsi alla prima… d’un tratto, tutto mi diventa chiaro. E penso a lui e a questa cosa importante che mi ha insegnato.

È usando proprio questo criterio che, ultimamente, mi sono accorta di aver messo da parte un paio di spunti, collegati e… letteralmente luminosi!

Luminosi, già: avete mai pensato di indossare un abito in grado di brillare di luce propria? Non sono impazzita, è l’idea portata avanti da alcuni stilisti e alcuni brand.

Parlo di abiti che si accendono veramente e che, in alcuni casi, arrivano perfino a cambiare colore: fino a non molti anni fa, tutto ciò era impensabile, era qualcosa che si poteva immaginare soltanto nelle fiabe o nei film di fantascienza. Poi, sono arrivati i LED, la fibra ottica e la wearable technology, la tecnologia indossabile, e quella che sembrava una fantasia irrealizzabile è invece diventata realtà.

Tra i precursori di queste tecnologie applicate alla moda, ci sono l’americano Ryan Genz e l’italiana Francesca Rosella, il duo che nel 2004 ha fondato un brand chiamato CuteCircuit.

Quando nel 2008, in occasione del proprio 75° anniversario, il Museum of Science and Industry di Chicago ha messo in piedi un’esposizione intitolata Fast Forward – Inventing the Future, gli organizzatori hanno chiesto proprio a Francesca e a Ryan di occuparsi del fronte moda pensando a come sarà ciò che indosseremo in futuro: in sei mesi di lavoro, i due hanno realizzato il Galaxy Dress, un abito da sera che si illumina e cambia continuamente colore grazie a 24 mila micro LED cuciti a mano uno a uno. Leggi tutto

Bradley Quinn ospite di Polimoda Textile Day: dialoghi sul futuro

Vi chiedete mai come sarà la moda non nella prossima stagione, ma nel futuro, ovvero come ci vestiremo tra 30 o 40 anni? Io me lo chiedo spesso, con curiosità, una curiosità non tanto legata a quali fogge o a quali abiti saranno in uso, ma piuttosto proprio all’evoluzione che essi avranno. Quand’ero piccina, fantasticavo sui film e sui libri di fantascienza chiedendomi se, da adulta, avrei mai visto cose come il teletrasporto: ora, da adulta, mi chiedo con più realismo come si evolverà il concetto del vestire e quanto esso si integrerà con tecnologia e nuovi materiali. Ad alcune di queste domande ho avuto una parziale risposta settimana scorsa grazie a Bradley Quinn e agli scenari che ha disegnato durante una sua guest lecture in Polimoda.

Polimoda, prestigioso centro di formazione, ha deciso di lanciare una nuova iniziativa: una serie di incontri atti a stimolare il dibattito sulla cultura della moda. E questo, come immaginerete, non poteva che attirare immediatamente la mia attenzione.

In ogni giornata verranno coinvolti personaggi, aziende, docenti e studenti e le tematiche saranno molto varie: dai tessuti ai colori, dalla scrittura alla fotografia, dall’illustrazione ai video. Questi eventi forniranno dunque una testimonianza diretta sulle ultime tendenze del settore ed anche un approccio pratico al mondo del lavoro. Leggi tutto

error: Sii glittering... non copiare :-)