Pepita Onlus e Cover Store insieme ai ragazzi per affrontare il cyberbullismo

L’argomento di oggi è il bullismo, anzi, precisamente il cyberbullismo.

Prima di tutto, desidero darne una definizione che sgombri il campo da qualsiasi scusa o equivoco o tentativo di sminuire la questione.
Cyberbullismo è qualsiasi atto aggressivo, prevaricante, intimidatorio, molesto compiuto da uno o più bulli tramite l’uso di strumenti telematici tra cui foto, video, sms, mms, telefonate, e-mail, siti web, chat, instant messaging.
Ed è cyberbullismo sia che si tratti di episodi continui, ripetuti, sistematici e sia che si tratti di episodi singoli; è cyberbullismo sia che l’atto si fermi alla molestia verbale sia che diventi aggressione fisica.

I bulli o cyberbulli sono tali verso i loro coetanei, ma anche verso gli adulti.
Lo sono infatti verso tutti i soggetti nei confronti dei quali cercare di affermare il loro potere, come per esempio una insegnante, come da tristissima cronaca recente…

Il bullismo è sempre esistito, parliamoci chiaro.
La tecnologia e il web hanno amplificato il problema tanto che l’argomento, oggi, è dolorosamente in auge ma attenzione: come dico sempre ai miei studenti e come ho scritto tante volte qui tra le pagine virtuali di A glittering woman, il web è solo uno strumento, esattamente come un sasso o un martello, e sta a noi decidere cosa farne.
Posso raccogliere un sasso e tirarlo da un cavalcavia; posso usarlo invece per costruire un argine.
Posso usare il martello per colpire qualcuno; posso usarlo invece per costruire cose.
Gli strumenti non hanno un’anima propria, siamo noi con la nostra volontà di far del bene o del male a fornirne loro una, rendendoli strumenti di vita oppure armi letali.

Oggi, siamo tutti chiamati a trovare modi efficaci per arginare il cyberbullismo: sono dell’idea che tra gli strumenti fondamentali vi sia un lavoro di educazione e rispetto che deve partire dalla famiglia e, al contempo, sposo anche iniziative pratiche come quella di Pepita Onlus e Cover Store.

Grazie a un’idea di Pepita Onlus concretizzata in una collaborazione con Cover Store, è nato infatti un progetto grafico per sensibilizzare i ragazzi sui temi del cyberbullismo e dell’incitamento all’odio via web (il cosiddetto hate speech, ovvero parole e discorsi che hanno lo scopo di esprimere odio e intolleranza verso una persona o un gruppo razziale, etnico, religioso, di genere o di orientamento sessuale).

Come è stato attuato questo progetto?
Gli educatori di Pepita, in un percorso tipo laboratorio, hanno guidato i ragazzi di un liceo di Lecco alla realizzazione di un design per la cover di uno smartphone.
Su quello che di solito è un gadget, trova stavolta posto una frase che invita a riflettere sull’uso responsabile di web e social network e, sotto la guida degli educatori, i ragazzi hanno elaborato una serie di claim.
Il più votato tra le cinque classi di prima superiore del liceo artistico Medardo Rosso di Lecco è stato lo slogan GAME OVER – NON GIOCARE CON LE PAROLE.

Vestire il proprio smartphone con una cover è divenuto un modo per esprimere sé stessi, le proprie idee, la propria personalità, i propri sentimenti: sfruttare questo canale è una tra le modalità con le quali oggi è possibile diffondere messaggi positivi.

Cover Store fa esattamente questo, produce e vende cover, e dunque ha abbracciato il progetto con particolare entusiasmo: «la nostra forza è dare voce alle mode del momento», raccontano i fondatori.
E nulla, oggigiorno, può e deve essere più di moda del comunicare sentimenti positivi opponendosi all’odio serpeggiante; rendere di moda la condanna al cyberbullismo è essenziale.

L’iniziativa si inserisce nell’ambito di #iocliccopositivo, un modello d’intervento per coinvolgere ragazzi, famiglie, educatori in una metodologia attiva, fondata sul mettere in gioco emozioni, sensazioni ed esperienze personali nella sperimentazione diretta, grazie alla quale i ragazzi recepiscono e fanno propri i concetti divenendone portatori.

«È importante che i ragazzi ricevano indicazioni precise – spiega Ivano Zoppi, presidente di Pepita Onlus – affinché comprendano il valore della propria immagine e della web reputation, perché su Internet è per sempre. Occorre anche che il cosiddetto mondo adulto resti al passo con i tempi, apprendendo i nuovi linguaggi e vigilando sulle nuove strategie di interazione sociale adottate dai ragazzi. La cover soddisfa entrambe le esigenze e avvicina le due generazioni su un’importante punto di riflessione: ci vuole rispetto, per sé stessi e per gli altri.»

Per sé stessi e per gli altri: sono molto d’accordo con questo pensiero espresso da Zoppi perché – a mio avviso – il cyberbullo non rispetta per primo sé stesso ed è su questo che occorre lavorare.

Pepita Onlus è una cooperativa sociale composta da educatori esperti in interventi educativi e sociali, percorsi di formazione e attività di animazione: da oltre dieci anni, la cooperativa è attiva nella realizzazione di attività di prevenzione e contrasto dei fenomeni di bullismo e cyberbullismo (guardate qui).
Collabora con enti, organizzazioni e istituzioni universitarie su progetti specifici rivolti ai ragazzi.

Dopo anni di esperienza e dopo aver incontrato tantissimi ragazzi in tutta Italia, Pepita Onlus ha compreso che l’aspetto innovativo necessario per sostenere ogni azione di prevenzione è la responsabilizzazione attiva dei ragazzi attraverso attività che li coinvolgano e li invitino a riflettere in prima persona.
E tale responsabilizzazione si costruisce ascoltando i ragazzi e mettendoli nelle condizioni di raccontarsi per creare una campagna di sensibilizzazione forte, semplice e che parla il loro stesso linguaggio: la cover di uno smartphone, per esempio.

L’approccio è dunque interattivo e attraverso attività di edutainment (ovvero intrattenimento educativo, una forma di intrattenimento finalizzata sia a educare sia a divertire) ciascun ragazzo si sente chiamato a dare il proprio contributo sull’argomento.
Nascono così numerose campagne in cui il concept e i claim sono frutto della riflessione e della condivisione aperta.

Devo dire che i ragazzi di Lecco sono stati davvero bravi: hanno scelto parole bellissime, hanno saputo creare claim accattivanti degni di ottimi copywriter.

Oltre a quello vincente, io amo tutti gli altri slogan: «Non ascoltarli, ascoltati» (perché dà forza e supporto a chi soffre a causa del cyberbullismo), «Be connected to yourselfie» (perché aiuta a riflettere su noi stessi e su cosa vogliamo essere attraverso un gioco di parole che si collega a selfie, termine estremamente attuale), «Internet no es virtual, pero es la vida real» (perché sottolinea che Internet non è solo un posto virtuale, ma è ormai un’altra dimensione della nostra vita), «Fai volare le parole più belle» (perché è un invito semplice ma immediato a spargere positività e non odio).

E visto che questo è un progetto bello e positivo che mi sento di appoggiare al 100%, ho voglia di condividere anche il link al quale potete trovare tutte le cover.

Non si può più rimandare: la risposta al cyberbullismo non arriva solo dall’alto, bensì deve essere orizzontale, con gli stessi ragazzi che parlano ai ragazzi attraverso mezzi attuali.

L’interazione, lo scambio, il coinvolgimento sono i mezzi che Pepita Onlus utilizza: Cover Store ha contribuito con semplicità e concretezza diffondendo ancora più capillarmente il potente e importante messaggio alla base di #iocliccopositivo.

Io do il mio appoggio a tutto ciò perché – grazie al mio lavoro di insegnante – sono profondamente convinta del fatto che per parlare ai ragazzi in maniera efficace, per dialogare con loro veramente, occorra usare il loro stesso linguaggio e usare i loro stessi mezzi e che sia fondamentale – come dice Ivano Zoppi – avvicinare le due generazioni: sfruttare la cover di uno smartphone, ovvero quello strumento che in mano ai bulli diventa purtroppo un’arma, metaforicamente e fisicamente con esiti anche letali, è un metodo semplice e pratico quanto intelligente.
E può diventare una sorta di promemoria nel momento stesso in cui si punta – letteralmente – quello strumento facendolo diventare arma…

Perché è davvero giunto il momento di dire Game Over.

Manu

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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