Rosa Genoni, la moda di domani calata nella storia di ieri

So di rischiare di risultare noiosa, eppure non posso fare a meno di iniziare questo post ribadendo ancora una volta il mio immenso amore per la moda.

Si tratta di un amore talmente antico da essere diventato come la questione dell’uovo e della gallina: chi è nato prima? Io oppure l’amore per la moda era contenuto già nel mio DNA?

Scommetto di essere altrettanto noiosa se ribadisco che tale amore non è solo per la parte estetica e di apparenza, ma anche per le storie, i significati e i valori dei quali la moda sa farsi veicolo.

Con il passare del tempo, mi rendo conto che della moda amo soprattutto questo, la capacità di essere linguaggio, potente e immediato, di essere specchio formidabile dei tempi e della società.

Per questo, da anni, studio con passione la storia del costume e della moda.

Sono fermamente convinta che il passato possa fornirci la chiave per conoscere e interpretare il presente e anche gli strumenti per iniziare a immaginare il futuro: non sono una nostalgica, al contrario, vivo proiettata verso ciò che verrà, ma penso che senza passato siamo come colossi dai piedi d’argilla.

Più vado avanti a studiare la moda e più sono affamata e curiosa; più ne so e più mi rendo conto che c’è ancora tanto, anzi, tantissimo da sapere.

Per esempio, qualche anno fa, ho iniziato a sentir parlare di Rosa Genoni, figura importantissima per la moda e per il Made in Italy: è importante, già, eppure è poco conosciuta perfino tra gli addetti ai lavori, tanto che il materiale che circola su di lei è poco.

Oggi, per fortuna, la sua figura è al centro di un’intelligente opera di riscoperta: in particolare, dopo un anno di attività celebrative in occasione dei 150 anni dalla nascita (1867), va in scena all’Archivio di Stato di Milano una mostra dedicata a una delle donne italiane più interessanti e autorevoli del secolo scorso.

La mostra esprime i suoi principali elementi già a partire dal titolo scelto: Rosa Genoni 1867 – 1954, una donna alla conquista del ‘900 per la moda, l’insegnamento, la pace e l’emancipazione.

Ideata e curata dalla giornalista ed esperta di moda Elisabetta Invernici con il contributo di Raffaella Podreider, nipote-biografa della Genoni, la mostra è visitabile fino all’11 febbraio per la sezione moda e fino al 17 marzo per la sezione politico-sociale, entrambe con ingresso gratuito: mette in luce Rosa Genoni come donna audace, capace e decisa a non sottostare a un destino di povertà che sembrava per lei segnato fin dalla nascita (era primogenita di ben diciotto tra fratelli e sorelle).

La figura di Rosa Genoni conferma la fondatezza del mio amore per lo studio della storia nonché la sua utilità e lo fa per due motivi: è una figura fondamentale per comprendere lo scenario moda attuale; è stata essa stessa un’appassionata e una studiosa della storia del nostro Paese e, allo stesso tempo, una figura ancora oggi moderna e proiettata verso il futuro.

Rosa Genoni è passata dal lavoro duro come piscinina (come erano chiamate le giovanissime che lavoravano in sartoria) alla direzione di una nota maison milanese (la H. Haartdt et Fils, allora principale casa di moda milanese); è passata dal Grand Prix della Giuria all’Esposizione di Milano del 1906 alla carriera giornalistica.

È stata dirigente della sezione di sartoria e docente di storia del costume presso la Società Umanitaria di Milano; è stata l’unica rappresentante italiana alla Conferenza dell’Aja del 1915.

Con il suo ingegno e la sua energia, con un impegno costante e mai interrotto, ha costruito una vita eccezionale in ogni ambito in cui ha operato: lo dimostra anche la scheda biografica che pongo a chiusura di questo post, scheda che è stata scritta dalla bravissima Elisabetta Invernici e che vi lascio come prezioso regalo visto – come ho già detto – il poco materiale esistente su Rosa Genoni.

La mostra – che gode dell’alto patrocinio del Parlamento Europeo e di altri importanti soggetti istituzionali – espone cimeli, bozzetti, abiti, documenti inediti, lettere, foto, pagine d’epoca, articoli, libri ed è suddivisa in due parti: come accennavo qui sopra, presenta infatti una sezione moda e una politico-sociale.

La sezione moda prende il nome Tributo a Rosa Genoni e presenta abiti, memorabilia, bozzetti, documenti autentici e inediti che mettono in luce come la firma stilistica della Genoni sia stata spesso collegata al teatro e al cinema (con attrici e dive del calibro di Sarah Bernhardt, Lyda Borelli, Eleonora Duse), alla politica (attraverso l’amicizia e la collaborazione con Anna Kuliscioff, rivoluzionaria, medico e giornalista tra i fondatori e principali esponenti del Partito Socialista Italiano), alla storia dell’arte e della letteratura (attraverso figure del calibro di Giovanni Boldini e del poeta e scrittore Gabriele D’Annunzio).

«L’esposizione – spiega Elisabetta Invernici, ideatrice dell’intero progetto e curatrice della sezione moda – vuole raccontare attraverso la testimonianza di Rosa Genoni come l’esperienza ideativa, il concetto di filiera e l’eco-sostenibilità debbano convivere nella produzione di moda. E come la moda sia forma di comunicazione tra le più accreditate a veicolare valori artistici e morali. Un percorso narrativo, emotivo e inclusivo che consente una lettura a più livelli, nel corso del quale rimbalzano significati come bello, etica, ricerca, identità e dove l’elemento femminile fa la differenza per quel tocco sentimentale che tutto pervade.»

In questo contesto, si inseriscono i tributi e gli omaggi dedicati a Rosa Genoni da alcuni tra i più importanti marchi italiani della moda e del design: tra di essi, menziono nomi dei quali ho parlato io stessa in varie occasioni anche qui nel blog, come Curiel, Doria 1905 (qui e qui), Ornella Bijoux (qui e qui).

Tra gli altri omaggi, menziono quello dell’Istituto Secoli che ha realizzato un paio di cartamodelli di Rosa Genoni mai sviluppati prima d’ora, mentre la Sartoria San Vittore presenta un modello teatrale ispirato all’araba fenice, simbolo di eterna rinascita.

La sezione moda riserva anche una grande sorpresa: per la prima volta, si possono scoprire alcuni dei 600 campioni tessili e prove di ricamo che Rosa Genoni collezionò per 25 anni progettando – già allora! – la nascita di un museo di arti decorative che potesse essere anche centro studi per giovani creativi.

La seconda sezione prende il nome Impegno politico e sociale e ripercorre i momenti salienti della vita e dell’impegno di Rosa Genoni: la sezione è stata curata dall’Archivio Genoni-Podreider con la collaborazione di Società Umanitaria, Fondazione Anna Kuliscioff, Associazione Profumo di Milano.

Si parte con l’insegnamento alla scuola professionale della Società Umanitaria: iniziato nel 1905, il suo insegnamento, decisamente innovativo, fu legato al sogno di creare una moda che non fosse soggetta al modello francese.

L’incarico di Rosa Genoni durò fino al 1933 quando si dimise in netto contrasto con la presidenza fascista.

Si parla poi di congressi e di pace: la Genoni partecipò ai più importanti congressi dell’epoca, inerenti soprattutto la questione femminile e tutti gli aspetti legati a una politica di neutralità e non belligeranza, nel periodo storico antecedente e contemporaneo alla Prima Guerra Mondiale.

Il 6 agosto 1914, le truppe tedesche invasero il Belgio neutrale e i lavoratori italiani, emigrati a migliaia, furono costretti alla fuga: conosciuto tutto l’orrore della guerra attraverso il vivo racconto dei fuggiaschi, Rosa e Alfredo Podreider (suo compagno per tutta la vita) rivolsero la loro attività nella propaganda anti-interventista.

Con l’entrata in guerra dell’Italia, «inviare pane per i Prigionieri Italiani» divenne una missione per Rosa Genoni che moltiplicò i suoi sforzi: raccolse donazioni e fondi, stampò migliaia di cartoline, cercò madrine per i soldati rinchiusi nei campi di prigionia.

E ci sono poi le attività filantropiche, come per esempio l’istituzione di un laboratorio di sartoria nelle carceri di San Vittore, di un nido per i bimbi delle carcerate e di un ambulatorio ginecologico.

Notevole fu il suo interesse per gli insegnamenti di Rudolf Steiner e, prima in Italia, si appassionò anche all’agricoltura biodinamica.

Questa donna straordinariamente attiva non trascurò la vita personale: di fondamentale importanza in tutta la vita di Rosa Genoni ci furono gli affetti e la famiglia, in particolare l’unione con l’avvocato Alfredo Podreider con il quale condivideva le scelte politiche e dal quale riceveva sostegno nelle sue battaglie sociali.

Furono importanti anche gli incontri e i rapporti di amicizia con personalità del mondo culturale e politico dell’epoca, come Camillo Prampolini, la già menzionata Anna Kuliscioff, Filippo Turati, Lina Schwarz e Laura Orvieto.

Dopo aver messo in agenda la mostra ben prima della sua inaugurazione, ho pensato che sarebbe stato bello visitarla insieme agli studenti di uno dei corsi che sto tenendo in Accademia del Lusso, scuola in cui insegno: il corso verte sulla storia del design italiano e nessuno più di Rosa Genoni potrebbe rappresentare l’origine del moderno concetto di Made in Italy.

E ho pensato un’altra cosa, ovvero che sarebbe stato bello poter visitare la mostra insieme a colei che tanto si è adoperata perché potesse avere luogo e perché potesse essere ricca e affascinante com’è.

Così è stato e dunque, lunedì 29 gennaio, io e gli studenti siamo stati condotti nel mondo di Rosa Genoni dalla brava e generosa Elisabetta Invernici: brava perché il lavoro che sta facendo è davvero eccellente e pieno di passione; generosa perché ci ha dedicato moltissimo tempo, senza risparmiarsi e donandoci moltissime informazioni.

Elisabetta è una grande professionista e nessuno meglio di lei potrebbe essere persona adatta a portare avanti l’eredità e la memoria della Genoni: dico questo perché, esattamente come la pioniera del Made in Italy, anche Elisabetta vuole condividere bellezza e conoscenza, senza essere scioccamente gelosa del suo lavoro come invece molti sono.

Per lei ciò che conta è che Rosa Genoni venga conosciuta, apprezzata, amata e che la sua eredità venga accolta e raccolta dalle nuove generazioni: ecco perché l’incontro con gli studenti è stato tanto importante, così come è stato importante per me conoscere una vera professionista che mi ha aiutata nel cammino lungo la strada del sapere e dell’approfondimento.

Visto che, come Elisabetta Invernici, anch’io credo nel valore assoluto della condivisione, sono felice di raccontarvi 7 ragioni per le quali penso che la mostra sia molto importante, così come lo è il fatto di continuare a studiare e approfondire il lavoro di Rosa Genoni, collegando il suo nome a fenomeni del tutto trasversali tra i quali pacifismo, emancipazione, politica, pedagogia, innovazione e perfino ecologia.

1 – La prima ragione viene dalla voce viva e diretta della stessa Elisabetta Invernici.
«Questa non è una mostra evocativa costruita su minuziosi amarcord. Anzi, forse non è neppure una mostra nel senso etimologico del termine. È un movimento di pensiero. Un tavolo di lavoro per i giovani chiamati a produrre la propria riflessione. Un centro di ricerca internazionale. Un’occasione di dibattito per esperti della materia. La voce per raccontare che cos’è oggi la moda italiana o cosa si propone di essere.»

2 – Rosa Genoni – donna nata ben 151 anni fa – continua a brillare oggi per il suo modo di fare estremamente pratico e concreto, per il suo stile di vita indipendente (il matrimonio fu solo l’ultimo atto del suo lungo legame affettivo con l’avvocato Podreider), per il suo concetto visionario e modernissimo di moda.
A lei occorre guardare non con inflessioni nostalgiche, bensì occorre far propria quella che fu la sua geniale intuizione: aver colto e fatto proprio il senso rivoluzionario dei suoi anni e aver trasferito questa energia e voglia di cambiamento dalla politica alla moda e viceversa, un atteggiamento che – ancora oggi – è necessario e contemporaneo.
La Genoni è stata una donna capace di abbracciare la modernità: agli albori del Novecento, mentre ancora ci si affannava a superare il principio di non contraddizione (l’architettura si dibatteva tra passato e modernità, musica e pittura si agitavano tra romanticismo e verismo), lei riuscì ad andare oltre comprendendo l’importanza dell’interazione tra le varie discipline.
È riuscita a capire che l’ondata di innovazione avrebbe cambiato il mondo in cui era cresciuta ed è riuscita a trarne vantaggio traducendo tutto questo nella creatività che l’ha contraddistinta come donna, stilista, scrittrice e attivista.

3 – Rosa Genoni aveva capito che, così come un abito può rivoluzionare la visibilità delle donne nella società, allo stesso modo la moda poteva essere un potente veicolo capace di proiettare le identità individuali e collettive fino a delineare l’identità di un’intera nazione.
Sicuramente, la Genoni ha trovato parte della propria dimensione innovativa proprio grazie al periodo storico di grande fermento in cui si è mossa e ha tentato una rivoluzione della moda intuendo che l’Italia potesse esprimere una propria identità in questo campo: a quei tempi c’era solo una moda, quella di Parigi, e tutti se ne lasciavano affascinare traendone ispirazione, mentre Rosa Genoni voleva esprimere una moda differente, riconoscibile come italiana e che fosse estensione di una lunga tradizione culturale, estetica e artistica.
Voleva dare dignità alle arti decorative e far sì che la moda entrasse di diritto a farne parte; voleva che la moda instaurasse uno stretto rapporto con la cultura e che cercasse di capire e di esplorare queste radici con un atteggiamento rispettoso delle tradizioni ma, al tempo stesso, assolutamente visionario.
Tutto ciò è stato fortemente legato all’Unità d’Italia, visto che il nostro Paese era da poco diventato una nazione (1861) ed era ancora alla ricerca di una propria identità: Rosa Genoni lo comprese e scelse di interpretare questa ricerca identitaria attraverso la moda.

4 – Rosa Genoni ha reinterpretato il corpo femminile e lo ha liberato da indumenti come il bustino (a farlo in Francia negli stessi anni fu Paul Poiret), dando modo alle donne di uscire da certe costrizioni imposte dal costume degli anni precedenti.
Questa ricerca di liberazione e di dinamismo della femminilità sono confluiti in quello che è il capolavoro stilistico di Rosa Genoni, ovvero l’abito Tanagra: partì dallo studio delle omonime statuette greche di terracotta del IV secolo a.C. e intuì che i panneggi del passato potevano essere ali liberatorie per il suo presente e futuro.
Ne fece un abito trasformista, ora mantello adattissimo ai ritmi della vita contemporanea, ora sensuale versione da sera: studiò il drappeggio dell’abito su sé stessa e lo indossò presenziando al primo Congresso delle Donne Italiane a Roma, nel 1908.
La Genoni fu una delle relatrici, con un discorso sulla moda e sulle donne, sul femminismo e sul valore della tradizione: usò l’abito Tanagra come espressione del nuovo senso di femminilità da lei concepito e diventò una delle prime a comprendere l’importanza di marketing e comunicazione, esattamente come Poiret al quale assomiglia anche in questo.

5 – La Genoni ha appunto voluto e saputo unire il suo impegno nella moda alle battaglie per l’indipendenza delle donne, per esempio battendosi a proposito delle condizioni di lavoro: è stata capace di usare proprio la moda come veicolo per far parlare le donne, inserendole in uno spazio pubblico e sociale anche attraverso la cura personale e legando la bellezza all’intelligenza.
In questo tipo di impegno, si inserisce a pieno titolo in uno straordinario filone di donne protagoniste dei primi decenni del Novecento, donne che si sono mosse in ambiti come la moda tra cui Madeleine Vionnet (1876–1975), Jeanne Lanvin (1867–1946), Elsa Schiaparelli (1890–1973), Coco Chanel (1883–1971, ho parlato di lei qui) e in ambiti come la cosmesi tra cui Helena Rubinstein (1870–1965), Elizabeth Arden (1878–1966, ho parlato di lei qui) ed Estée Lauder (1908–2004).

6 – Rosa Genoni ha saputo guardare al passato con occhio del tutto particolare, facendone qualcosa di nuovo: esempio eclatante è lo studio delle statuette tanagra che l’hanno portata alla formulazione dell’omonimo abito e ha fatto lo stesso con uno dei capolavori di Botticelli.
«La Genoni guarda un capolavoro del nostro Rinascimento – racconta Elisabetta Invernici – ed è capace  di coglierne un particolare e da quello riparte: questa è la sua cifra stilistica e così Giotto, Piero Della Francesca, Pisanello, ma anche l’antico Egitto e i mosaici bizantini emergono a vita nuova. Se guardiamo insieme il ricamo dell’abito ispirato alla Primavera, scopriamo un messaggio identitario: ai caleidoscopici germogli fiorentini che avvolgono la Flora di Botticelli, Rosa Genoni sostituisce gli umili, stentati fiori della sua Valtellina.»
«Non c’è mai presunzione didascalica – continua Elisabetta – o citazione del passato fine a sé stessa bensì leggerezza, ironia, scoperta. Curiosità. Ecco un altro atteggiamento vincente di Rosa Genoni, quello stato di perenne disponibilità verso il sapere.»

7 – Rosa Genoni è stata anche la prima paladina della sostenibilità e della cosiddetta economia circolare in cui tutto è collegato: è stata una pioniera nel riconoscere che possiamo – e dobbiamo – pensare a un cambiamento pacifico fatto di dialogo interculturale.

Ecco Elisabetta Invernici che parla di Rosa Genoni agli studenti del mio corso di Storia del Design Italiano tenuto presso Accademia del Lusso per poi prestarsi gentilmente a una bella foto di gruppo.
Ecco Elisabetta Invernici che parla di Rosa Genoni agli studenti del mio corso di Storia del Design Italiano tenuto presso Accademia del Lusso per poi prestarsi gentilmente a una bella foto di gruppo.

È per tutti questi motivi che mi sono innamorata di Rosa Genoni, una donna straordinariamente moderna e contemporanea, oggi più che mai; ed è per tutti questi motivi che, nel novembre 2015, la città di Milano ha inserito Rosa Genoni nel Famedio del Cimitero Monumentale, tra i personaggi che hanno scritto la storia del capoluogo meneghino.

Rosa Genoni è «la moda di domani calata nella storia di ieri», dice Elisabetta Invernici: è una frase che mi piace talmente tanto da averne voluto fare il titolo di questo post.

Perché come ben afferma Maria Grazia Chiuri, la bravissima stilista che sta facendo brillare l’Italia in seno a maison del calibro di Valentino e Dior, la moda «è capire i tempi, altrimenti si riduce a essere solo vestiti».

Proprio tutto ciò che pensava Rosa Genoni e che – nel mio piccolo penso anch’io.

Manu

 

 

Rosa Genoni 1867-1954, una donna alla conquista del ‘900 per la moda, l’insegnamento, la pace e l’emancipazione

Mostra ideata e curata da Elisabetta Invernici con il contributo di Raffaella Podreider, nipote-biografa di Rosa Genoni, e con l’allestimento di Fulvia Premoli

Archivio di Stato
Palazzo del Senato
Via Senato 10 – Milano

Fino all’11 febbraio 2018 per la sezione moda e fino al 17 marzo 2018 per la sezione politico-sociale
Dal lunedì al giovedì dalle 10 alle 17
Venerdì dalle 10 alle 14.30
Sabato dalle 10 alle 13.30
Domenica chiuso

Qui la mostra nel sito dell’Archivio di Stato

Ingresso libero

 

 

Rosa Genoni, pioniera della moda italiana, artefice di pace e umanità: una storia affascinante a cura di Elisabetta Invernici

Dalle montagne dell’alta Valtellina passando per le lotte a favore dell’emancipazione femminile fino a entrare di diritto nell’Olimpo della moda: di umili origini (primogenita di ben diciotto tra fratelli e sorelle), partita giovanissima da una piccola cittadina ai piedi delle Alpi (Tirano dove nasce nel 1867), Rosa Genoni ha avuto una vita a dir poco straordinaria, unendo l’amore per la bellezza all’impegno per la pace e per il riscatto dei lavoratori.

La sua gavetta nel mondo delle sartorie milanesi comincia a soli dieci anni come piscinina (come erano chiamate le giovanissime che lavoravano in sartoria), ma ben presto la Genoni dimostra di avere una marcia in più: frequenta le scuole serali e poi si iscrive a un corso di francese, lingua la cui conoscenza è indispensabile perché, nella moda, all’epoca la Francia detta legge.
Proprio la capitale francese segna la vita di Rosa che, fin dagli esordi, cerca di affrancarsi dallo stile parigino per trovare ispirazione nel grande patrimonio artistico e decorativo italiano.
Arte e bellezza, quindi, senza dimenticare le condizioni delle mestieranti delle sartorie, sfruttate e sottopagate: avvicinatasi ai circoli socialisti, il suo impegno sociale non sfugge ai dirigenti del Partito Operaio Italiano che, nel 1884, le propongono di recarsi a Parigi per partecipare a un convegno internazionale sulle condizioni dei lavoratori.

Tornata a Milano, dal 1893 la troviamo impegnata per il miglioramento delle condizioni delle lavoratrici: entra a far parte della Lega Promotrice degli Interessi Femminili e poi si avvicina alle posizioni di Anna Kuliscioff della quale sostiene le battaglie per l’emancipazione delle donne lavoratrici e per la tutela dei minori.

È in questo periodo che Rosa viene assunta dalla rinomata Maison H. Haartdt et Fils, allora principale casa di moda milanese con filiali a Sanremo, Lucerna e St. Moritz, proprietaria di un palazzo di cinque piani con duecento dipendenti.
Qui ricopre il ruolo di première (la sarta che dirige il lavoro) e poi quello di direttrice, dando inizio a una vera rivoluzione dello stile, affrancandosi da quello parigino e dando vita a uno stile autoctono basato sull’arte decorativa italiana.

Le sue creazioni, ispirate alle opere dei pittori rinascimentali italiani, conoscono il successo e meritano il Grand Prix della Giuria alla Esposizione Internazionale di Milano del 1906.
Due di queste creazioni, il celebre abito da ballo ispirato alla Primavera di Botticelli e il manto tratto da un disegno di Pisanello, sono stati donati dalla figlia Fanny Podreider alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti a Firenze.

Nel 1905, viene scelta per i suoi meriti dalla Società Umanitaria dove inizia a tenere lezioni serali e dirige la sezione di sartoria, biancheria e modisteria (successivamente è anche docente di storia del costume): occupa tale ruolo fino al 1933, anno in cui si dimette per non giurare fedeltà al fascismo.
Sempre per incarico dell’Umanitaria, Rosa Genoni visita le migliori scuole professionali europee (tra cui Parigi, Berlino e Amsterdam) e ne studia i programmi, perfezionando i suoi corsi professionali per essere sempre all’avanguardia.

Nel 1908, partecipa a Roma al Primo Congresso delle Donne Italiane esprimendo la necessità dell’affrancamento dalla Moda Francese in un lungo intervento molto apprezzato.
Auspica la nascita e lo sviluppo di una Moda Italiana con l’affermazione sempre più rilevante, sia dal punto di vista artistico che economico, dell’alto potenziale dell’artigianato italiano.

Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale è sostenitrice della neutralità.

Nel 1928, regolarizza la sua unione sposandosi con l’avvocato Podreider e inaugura con suo marito un laboratorio di sartoria, un asilo nido e successivamente un ambulatorio ginecologico per le detenute di San Vittore in memoria della di lui madre, Carolina Podreider.

Nel 1936, rimane vedova: quattro anni dopo, si trasferisce a Varese.

Del 1948 è ancora una sua appassionata lettera al conte Folke Bernadotte, mediatore dell’ONU in Medio Oriente per la controversia israelo-palestinese, lettera nella quale auspica la pace tra le parti.

Rosa Genoni muore a Varese il 12 agosto 1954.

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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