Curiel, l’Alta Moda che fa sognare è (anche) un affare di famiglia

Il post di oggi nasce da due considerazioni.

La prima è legata alla velocità che caratterizza i nostri tempi: ogni cosa – o quasi – viene ingurgitata e fagocitata con un ritmo sempre più galoppante, quasi come se esistesse perennemente l’esigenza di non soffermarsi, di non pensare e di passare rapidamente al successivo momento da consumare. Spesso non godiamo l’attimo perché siamo troppo protesi in avanti, già proiettati in un prossimo futuro.

E allora mi chiedo: sarà un bene? Digeriamo davvero tutto ciò che – ripeto – sembriamo ingoiare in fretta e furia? Approfondiamo, interiorizziamo? Oppure lasciamo piuttosto che le nostre esperienze restino in superficie, che galleggino senza farle davvero nostre?

Ve lo confesso, mi pongo sempre più spesso questi interrogativi perché la moderna velocità, a volte, mi impensierisce. E se velocità e dinamismo sono stati concetti al centro di movimenti artistici come il Futurismo, mi domando se non abbiamo reso tutto quanto fin troppo esasperato.

La seconda considerazione è legata al mio lavoro e al suo nucleo: come ho avuto modo di scrivere anche in occasione del reportage sulla recente Milano Fashion Week, occuparmi di moda – scrivendo, insegnando, facendo consulenze – incarna una mia grande passione, la più grande tra tutte quelle che ho.

Eppure, nonostante ciò, nonostante quella che ammetto essere una fortuna, ogni tanto ho anch’io bisogno (come capita a chiunque, credo) di tornare al nucleo più autentico del mio amore, ho bisogno di ricordare a me stessa perché amo tanto questo lavoro.

Ho bisogno di emozionarmi e di dimenticare ciò che mi rende insofferente davanti a certi meccanismi dei quali ho talvolta parlato.

Su tutto ciò si innesta la prima considerazione: così come avviene nella vita di tutti i giorni, anche nella moda tutto corre veloce, troppo veloce. Anzi, forse nella moda il consumo vorace è ancora più evidente, mentre io sento il bisogno di soffermarmi, di assaporare, di ritagliarmi momenti di riflessione.

Sabato 25 febbraio, proprio durante la MFW, ho partecipato all’inaugurazione del nuovo atelier Curiel, storica Maison di Alta Moda: oltre ad ammirare alcuni capi della collezione primavera – estate 2017 attraverso una piccola sfilata privata così come avveniva negli anni d’oro della moda, ho avuto l’immenso onore di conoscere Raffaella e Gigliola Curiel.

È stato un dono, è stata una parentesi unica e irripetibile, diversa da tutto il resto, da tutto ciò che avviene durante una settimana densa consacrata al prêt-à-porter: sono grata per questa opportunità, sono felice di aver fatto ritorno al nucleo più puro di una grande passione. E sono entusiasta di aver vissuto un momento fuori dal tempo, fuori da quel ritmo veloce che diventa frenetico e talvolta caotico specialmente in occasione della MFW.

E allora, oggi, desidero condividere tutto ciò con voi, perché la bellezza condivisa è bellezza moltiplicata.

Gli scatti che ho realizzato presso l’atelier Curiel in occasione dell’inaugurazione di sabato 25 febbraio
Gli scatti che ho realizzato presso l’atelier Curiel in occasione dell’inaugurazione di sabato 25 febbraio

La Maison Curiel è nata con un primo atelier aperto a Trieste alla fine del 19° secolo: mi fa piacere sottolineare che, da allora, ha continuato il suo cammino attraverso ben quattro generazioni di donne.

Dalla fondatrice, Ortensia, alla di lei nipote Gigliola che nel 1945 ha portato l’atelier da Trieste a Milano; da Raffaella, figlia di Gigliola, che ha presentato le sue prime collezioni a New York e a Londra tra il 1965 e il 1970, fino alla figlia Gigliola che, dopo aver studiato presso la prestigiosa Central Saint Martins College of Art and Design di Londra, ha lanciato nel 1998 una sua linea di prêt-à-porter.

Forte di una nuova alleanza con un importante gruppo di portata internazionale, Curiel ha ora inaugurato un nuovo atelier meneghino come primo step di uno sviluppo che prevede aperture a Parigi, Londra, New York e Shanghai: lo spazio risulta molto poliedrico e ospita due saloni principali, un laboratorio di sartoria e gli uffici di Raffaella e Gigliola Curiel.

Gli ambienti sono d’epoca, con saloni affrescati e soffitti a cassettoni, stucchi e pavimenti in parquet, boiserie e tinte delicate quali il bianco e il grigio perla per pareti e tendaggi in shantung: il risultato è un’atmosfera dal fascino piacevolmente rétro che si sposa allo stesso tempo con elementi di design contemporaneo

C’è spazio anche per una serie di immagini capaci di rievocare con forza la figura di Gigliola Curiel (la nipote di Ortensia) ritratta insieme ad alcune sue clienti a una prima della scala negli Anni Cinquanta.

Gli scatti che ho realizzato presso l’atelier Curiel in occasione dell’inaugurazione di sabato 25 febbraio
Gli scatti che ho realizzato presso l’atelier Curiel in occasione dell’inaugurazione di sabato 25 febbraio

Oltre a visitare l’atelier, ho avuto il piacere – come accennavo – di vedere sfilare delle indossatrici con alcuni dei capi della collezione Couture primavera – estate 2017 in una sorta di piccola sfilata privata.

La collezione Very Curiel è un tributo al savoir-faire sartoriale, espresso ai massimi livelli e rivisitato con uno sguardo fresco e moderno: le migliori tecniche d’atelier attraversano il tempo e vengono rese contemporanee da una silhouette svelta e giovane.

Raffaella Curiel non sceglie un tema preciso, perché si concentra piuttosto sull’aggiornamento di uno stile riconoscibile e individuale –  il suo – prefigurando il futuro senza dimenticare la lezione del passato; disegna così 26 creazioni che diventano testimonianza di una cultura profonda della storia – e non solo di quella della moda.

Tale cultura diventa parte attiva nella ridefinizione di un’eleganza di oggi che è in grado di dialogare con ogni generazione: Raffaella realizza una narrazione in forma di abiti che racchiudono il valore dell’esperienza e la ricerca della novità.

Nella collezione Very Curiel le proporzioni sono ragionatissime, sono frutto di un pensiero quasi architettonico e accarezzano il corpo con una seduzione sottile.

Qualche esempio?

Il punto vita ha un taglio lievemente rialzato e regala alla figura uno slancio inatteso; la struttura nitida di giacche minute, preziose come gioielli, si accompagna a gonne danzanti ma dalla costruzione certosina assicurata dalla capacità manuale.

I tessuti consistenti oppure lievi (gazar, organza, pizzo di lana, georgette, jersey di seta, chiffon) sono proposti in toni ottimisti: tra gli estremi del bianco ottico e del nero profondo, si dispiega la sontuosità di un arcobaleno rosso lacca, rosa shocking o corallo, verde chartreuse e smeraldo, blu (cielo e cobalto, zaffiro e oceano), sabbia e topazio.

Le lavorazioni sono sperimentali oppure discendono da saperi lontani.

Una sussurrata ispirazione orientale si ritrova nei ricami che sembrano lacche di antichi vasi cinesi, ma da vicino sono il risultato di resine arabescate sul tessuto, mentre il moulage (tecnica manuale con la quale il tessuto viene drappeggiato e scolpito direttamente sul manichino sartoriale) si rinnova in mise da cocktail rese effervescenti da volant ritagliati uno per uno e moltiplicati.

Sono stati necessari due mesi di paziente lavoro di ago e filo per realizzare il motivo a traforo di un abito dalla linea semplice, scivolata; ventagli di organza plissettata artigianalmente si sovrappongono invece in una magia di trasparenze in una creazione per la sera, momento in cui trionfano anche le piccolissime pieghe cucite una a una e che innumerevoli si rincorrono su un abito nero.

La giacca patchwork è realizzata con cinque pizzi differenti, fatti a mano, scomposti e poi ricomposti; le balze di una gonna diventano il pretesto per un’ingegneristica sovrapposizione di lamine tessili che vibrano a ogni passo.

E, infine, bustier e scollature sono assemblati con strisce di tessuto intrecciate, secondo la procedura del treillage (letteralmente graticolato).

Gli scatti che ho realizzato presso l’atelier Curiel in occasione dell’inaugurazione di sabato 25 febbraio
Gli scatti che ho realizzato presso l’atelier Curiel in occasione dell’inaugurazione di sabato 25 febbraio

Ed è così che la collezione Very Curiel diventa un’attitudine allo chic nonché una conversazione tra opposti che si attraggono fatalmente: conoscenza tecnica e intuizione poetica, cultura europea e linguaggio universale del buon gusto, passato e futuro, il tutto in nome di una moda – quella che anch’io amo – che riesce a sorprendere, incantare e deliziare in quanto risulta contemporanea eppure senza tempo. Riesce a racchiudere apparenza ed essenza, estetica e contenuto.

Ed ecco perché al nome Very Curiel è stato affiancato un piccolo motto – Haute Couture, Haute Culture – che lega in modo indissolubile moda e cultura.

Aprendo la cartella stampa dopo l’emozionante pomeriggio, ho trovato una bellissima frase del sociologo tedesco René König (1906 – 1992): nel suo saggio intitolato Sociologie de la Mode e datato 1969, König espresse un concetto molto importante.

«La mode est un principe universel, un des éléments de civilisation; elle intéresse non pas uniquement le corps de la femme, mais aussi tous ses moyens d’expression.»

La moda è un principio universale, uno degli elementi della civiltà; interessa non solo il corpo della donna, ma tutti i suoi mezzi espressivi: quanta verità!

Credo non esista modo migliore di terminare il racconto di un’esperienza splendida che racchiude in sé tutto ciò che amo nella moda.

E ringrazio per questo Raffaella e Gigliola Curiel.

Manu

 

 

 

La Maison Curiel nel web: qui

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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