The Szechwan Tale e le relazioni tra Oriente e Occidente

Non mi piacciono i luoghi comuni né mi piace il pensiero omologato.

Ed è proprio la mia scarsissima simpatia verso pregiudizi e cliché ad avermi fatto accettare l’invito per la conferenza stampa e la visita in anteprima di una mostra appena inaugurata da FM Centro per l’Arte Contemporanea: l’accettazione è stata immediata, appena ho letto il titolo della mostra, appena ho compreso che si parla di Cina e della sua straordinaria cultura che molto mi attrae e mi incuriosisce.

Sono infatti addolorata dal fatto che, negli ultimi anni, associamo spesso questo immenso Paese a pensieri negativi che credo sia inutile elencare (tanto li conosciamo tutti…), dimenticando che la Cina ha in realtà molto più da offrire che un pugno di luoghi comuni e di stereotipi.

Ho avuto la fortuna di visitare Shanghai nel lontano 2004, quattordici anni fa: potrei raccontare tante cose, belle e meno belle, e devo ammettere che in occasione di quel viaggio rimasi colpita (anche) dalle profonde contraddizioni che già allora iniziavano a farsi sentire in maniera abbastanza significativa.

Potrei raccontarvi delle enormi difficoltà nel comprendere e nel farmi comprendere (allora l’inglese era parlato da pochissimi), eppure potrei anche raccontarvi come molte persone, spinte dalla curiosità, cercavano di dialogare con me, arrivando a mimare parole e concetti.

Potrei raccontarvi di quando un taxi mi scaricò (letteralmente!) perché non ci capivamo, scatenando il mio panico, ma potrei anche raccontarvi di quella volta in cui mangiavo dei ravioli per strada (avevo seguito la coda di gente del posto in fila davanti a un chioschetto e avevo fatto benissimo…) e un ragazzo seduto per terra vicino a me interruppe il suo pasto per andare a procurarsi un cucchiaio di ceramica che mi porse con gentilezza, vedendomi in evidente difficoltà con le bacchette.

Ecco, forse della Cina si può in parte pensare questo, che sia un Paese dalle mille contraddizioni, ed è vero, a mio parere; sarebbe però un peccato fermarsi a un giudizio superficiale, poiché equivarrebbe a fare la stessa operazione che molti fanno con l’Italia e che a noi dà (giustamente!) tanto fastidio.

Se a noi italiani non piace affatto sentire la stupidissima e banalissima definizione «Italia-pizza-spaghetti-mandolino» alla quale qualcuno aggiunge anche «mafia», dovremmo comprendere che ai cinesi non piaccia sentirsi apostrofare con definizioni altrettanto sciocche, omologate e superficiali; noi, che per primi abbiamo sofferto di certi luoghi comuni, dovremmo avere voglia di conoscere un po’ meglio questo popolo con il quale oggi dobbiamo imparare a convivere, possibilmente in buona armonia. E possibilmente con la stessa curiosità che mi portò a mangiare quei ravioli seduta per terra in strada oppure con la stessa curiosità che portava molti cinesi che incontravo a trasformarsi in mimi improvvisati.

Ed ecco perché ho deciso di andare a quella inaugurazione e di parlarvi della mostra qui nel blog.

Fino al 15 luglio, FM Centro per l’Arte Contemporanea presenta The Szechwan Tale – China, Theater and History, una mostra a cura di Marco Scotini – direttore artistico di FM.

La mostra prosegue la linea d’indagine e dialogo tra popoli già tracciata con precedenti esposizioni (Non-Aligned Modernity, dedicata all’arte dell’Est Europa, e Il Cacciatore Bianco/The White Hunter, sull’arte africana) e ripercorre le relazioni tra Oriente e Occidente attraverso i grandi temi del Teatro e della Storia, trattando questi argomenti all’interno di un percorso espositivo unico grazie al quale più di trenta di artisti internazionali e cinesi forniscono una decostruzione dei vari componenti della macchina teatrale – il pubblico, il sipario, l’attore (l’automa, le marionette, le maschere, il teatro delle ombre), i costumi e la scenografia, il testo e la musica – come metafora di altrettanti fenomeni sociali e del loro carattere storico.

Tra contaminazioni e scambi e in un continuo dialogo tra Oriente e Occidente nonché tra passato e presente, le opere – che provengono da prestigiose collezioni private – spaziano dalla pittura alla fotografia, dall’installazione ai video fino ad arrivare ai film/documentari.

Per illustrare il post, ho scelto questi <strong>tre scatti realizzati dal bravissimo fotografo Duilio Piaggesi</strong> e che mostrano la sottoscritta in una sorta di <em>dialogo</em> con le bellissime maschere che fanno parte del percorso della mostra <em>The Szechwan Tale.</em> Duilio e io ci siamo incontrati all’anteprima assolutamente per caso e dal nostro incontro sono nati questi scatti: sono stata a dir poco onorata di posare per un fotografo bravo come lui (<a href="http://www.photoduiliopiaggesi.com/" target="_blank" rel="noopener noreferrer">qui</a> potete trovare parte dei suoi lavori e dei suoi ritratti).
Per illustrare il post, ho scelto questi tre scatti realizzati dal bravissimo fotografo Duilio Piaggesi e che mostrano la sottoscritta in una sorta di dialogo con le bellissime maschere che fanno parte del percorso della mostra The Szechwan Tale. Duilio e io ci siamo incontrati all’anteprima assolutamente per caso e dal nostro incontro sono nati questi scatti: sono stata a dir poco onorata di posare per un fotografo bravo come lui (qui potete trovare parte dei suoi lavori e dei suoi ritratti).

Il titolo della mostra ha due riferimenti importanti.

Il primo è all’opera teatrale The Good Person of Szechwan (L’anima buona del Sezuan) di Bertolt Brecht: scritta dal celeberrimo drammaturgo tedesco a cavallo tra il 1938 ed il 1940, venne messa in scena a Milano al Piccolo Teatro da Strehler nel 1958 in una versione che è rimasta memorabile.

Brecht  (che – curiosità – non è mai stato in Cina benché abbia proiettato diversi suoi testi in ambiente cinese) narra della prostituta Shen Te e della sua lotta tra male e bene: l’opera è considerata una dei capolavori del teatro epico e la regione del Sezuan o Szechwan citata nel titolo è un riferimento al Sichuan, una provincia della Cina Sud-occidentale che è molto cara anche al curatore Scotini.

The Szechwan Tale è infatti una evoluzione del progetto che Marco Scotini ha realizzato ad Anren, antica città del Sichuan, all’interno della prima Biennale di Anren (ottobre 2017 – febbraio 2018), con l’aggiunta di ulteriori artisti cinesi di fama internazionale.

Il secondo riferimento è a un gruppo scultoreo in creta di 114 figure in scala reale ospitato ancora una volta dalla città di Anren e intitolato Rent Collection Courtyard: risalente al 1964 e ispirato alla storia (pare autentica) di ribellione verso un feudatario, è un diorama che ritrae la lotta di classe nelle campagne cinesi prima del 1949 (anno della Rivoluzione che portò al potere il Partito Comunista).

Altra figura fondamentale per The Szechwan Tale è Mei Lanfang (1894-1961), uno dei più importanti attori della storia del teatro cinese moderno, divenuto famoso per i suoi ruoli femminili nell’Opera di Pechino.

Non mancano infine i riferimenti all’opera lirica europea, con la presenza del costume del soprano Gina Cigna, indossato negli Anni Trenta per la Turandot di Giacomo Puccini al Teatro alla Scala.

Ma la mostra è anche interattiva e trasformabile: invita infatti noi visitatori a un ruolo attivo, usando alcuni costumi ed elementi scenici che sono messi a disposizione per poter diventare protagonisti di una performance nella performance.

Quando superiamo la soglia di The Szechwan Tale entriamo sì in una mostra ma, allo stesso tempo, in un backstage, in un camerino o guardaroba (il Memory Wardrobe di Michelangelo Pistoletto), dove incontriamo pezzi di stage vuoti (i Theatrical Piece di Céline Condorelli) da assemblare tra loro e sui quali possiamo salire, recitando, raccontando, cantando; oppure, possiamo sederci per assistere all’azione scenica di qualcun altro.

Questa capacità di essere interattiva e in evoluzione è il secondo ottimo motivo per cui ho scelto di parlarvi della mostra e concludo ora ricollegandomi alla curiosità e al rifiuto dell’omologazione di cui parlavo in principio e che costituiscono il primo motivo.

Mentre ci accompagnava in visita alla mostra, il curatore Marco Scotini ha raccontato della sua volontà di mostrare una Cina ben oltre l’immagine stereotipata che oggi molti occidentali ne hanno, fermi magari a certi pregiudizi oppure abbagliati dai grattacieli delle grandi città che oggi sono diventate metropoli che si sviluppano in verticale.

Ho sorriso: devo ammettere che trovarmi in sintonia con lui, grande intellettuale e pensatore che ho scoperto grazie alla mostra, è stata cosa che mi ha fatto piacere.

Manu

 

 

THE SZECHWAN TALE
China, Theatre and History

Mostra a cura di Marco Scotini
12 aprile – 15 luglio 2018

FM Centro per l’Arte Contemporanea
Via Piranesi 10 – Milano
Tel +39 02 73981
Qui il sito, qui la pagina Facebook, qui l’account Instagram

Main partner Biennale di Anren con il patrocinio del Comune di Milano.
La mostra è inoltre realizzata in collaborazione con Mei Lanfang Memorial Museum di Pechino, Istituto Culturale Italo-Cinese e NABA Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.

Ingresso gratuito

Orari:
* dal mercoledì al venerdì 17-22
* sabato e domenica 11-19

Visite guidate e in altri giorni/orari su prenotazione – con possibilità di visitare i laboratori di restauro.

Inoltre, se siete interessati alla Cina, alla sua cultura e alla realtà milanese di Chinatown, seguite i social che ho indicato qui sopra per avere tutti gli aggiornamenti circa i talk e gli eventi che si terranno per tutta la durata della mostra.

 

A proposito di FM Centro per l’Arte Contemporanea di Milano
È uno spazio espositivo dedicato all’arte e al collezionismo in grado di rispondere alle nuove modalità di presentazione e alle differenti forme della creazione contemporanea.
La sua vocazione è quella di una struttura che raccoglie in un unico contesto tutti i soggetti e le funzioni connesse alla valorizzazione dell’arte, alla sua esposizione e conservazione.
Quale spazio espositivo, deposito, istituto di ricerca e centro di restauro, FM ospita collezioni private e archivi d’artista e dà vita a un programma educativo e culturale innovativo.
Situato all’interno dello storico complesso industriale dei Frigoriferi Milanesi, FM beneficia della direzione artistica di Marco Scotini ed è presieduto da un board internazionale di esperti tra cui Grazia Quaroni (Senior Curator / Head of Collections della Fondation Cartier pour l’Art Contemporain, Parigi), Charles Esche (direttore del Van Abbemuseum, Eindhoven), Hou Hanru (direttore artistico del MAXXI, Roma), Vasif Kortun (docente, curatore e storico dell’arte, Istanbul) ed Enea Righi (collezionista).

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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