Radiant Vision, Keith Haring torna alla Reggia di Monza

Dopo il successo di ben quattro tappe americane (precisamente Cooperstown NY, Saint Louis Missouri, Naples Florida, Doylestown Pennsylvania), arriva anche in Italia la mostra Keith Haring – Radiant Vision ospitata presso l’Orangerie della Reggia di Monza dal 30 settembre al 29 gennaio 2023.

Keith Haring (1958 – 1990) è molto probabilmente il più celebre artista pop degli Anni Ottanta e viene raccontato attraverso oltre 130 opere inedite in Italia perché provenienti da una straordinaria collezione privata.

Le opere sono state divise in nove sezioni:  litografie, serigrafie, disegni su carta e manifesti illustrano l’intero arco del (purtroppo) breve eppure molto prolifico percorso di Haring, esaminando diversi aspetti della sua vita e della produzione artistica, tra cui i disegni in metropolitana e la street art, le mostre in alcune delle più famose gallerie di New York, l’esperimento straordinario del Pop Shop, il suo lavoro commerciale in ambito pubblicità, il lavoro fatto con i giovani.

Impegnato socialmente su diversi fronti tra i quali i diritti civili, il benessere dei bambini e la consapevolezza a proposito dell’AIDS, Keith Haring ha realizzato poster, opere e performance d’arte pubblica nonché commissioni di beneficenza a sostegno di queste cause assolutamente vitali e fondamentali.

Ma perché nel mio titolo ho parlato di un ritorno?

Perché non è la prima volta che Monza ospita le opere dell’artista statunitense: era il 2007 e sono dunque passati quindici anni da quando la stessa Reggia di Monza aveva ospitato il murale di Milwaukee creato da Haring nel 1983 in occasione dell’apertura del Museo Haggerty.

Sono stata invitata all’anteprima stampa e mi permetto di dare un consiglio, ovvero non perdete questa mostra: vi dico i miei sei motivi, quelli per cui amo Keith Haring e per cui penso che Radiant Vision sia davvero imperdibile.

Primo motivo: Haring è stato – ed è – uno tra gli artisti statunitensi più celebri degli Anni Ottanta perché è riuscito a riscrivere le regole dell’arte contemporanea.

Come?

È riuscito a fondere ambiti apparentemente distanti tra loro come le controculture di New York e l’élite artistica dei quartieri alti; non ha avuto paura di sperimentare arte e comunicazione a 360° e dunque la sua pratica artistica passava dagli interventi in strada, inclusi murali abusivi e affissioni, a incarichi di grande visibilità quali edifici pubblici, striscioni e manifesti pubblicitari.

Giunto a New York, Haring strinse amicizia con un artista di Brooklyn allora emergente, Jean-Michel Basquiat, e i due rimasero amici fino alla morte di quest’ultimo avvenuta due anni prima della sua.

Jean-Michel Basquiat (1960 – 1988) e Keith Haring hanno fatto insieme qualcosa che ha cambiato il corso dell’arte: hanno portato il graffitismo dalle strade metropolitane alle gallerie d’arte.

Secondo motivo: Keith Haring credeva fortemente nel fatto che l’arte potesse e dovesse essere di tutti.

Quando nel 1978 si trasferì dalla Pennsylvania a New York in un momento non certo semplice dal punto di vista sociale ed economico, Haring abbracciò il nascente movimento della street art come una possibilità per riqualificare i quartieri difficili, promuovere la giustizia sociale e portare l’arte direttamente verso le persone.

«Il pubblico ha diritto all’arte – annotò nel suo diario nell’ottobre 1978 – l’arte è per tutti.»

Nel 1980, molti anni prima che la municipalità di New York istituisse la sua Metro Art Commission, Haring iniziò a disegnare con i gessetti negli spazi pubblicitari rimasti vuoti dentro le stazioni della metropolitana.

Negli anni che seguirono, nonostante le numerose multe e perfino un arresto per ‘condotta criminale’, Haring riuscì a completare migliaia di questi lavori a gessetto.

Consacrò definitivamente il proprio talento – e la sua idea di arte per tutti – nell’aprile del 1986 con l’inaugurazione a SoHo del Pop Shop, un punto vendita di gadget vari e t-shirt ritraenti le sue opere, così da mettere il proprio operato a disposizione di tutti.

Terzo motivo: Haring ha saputo legare arte e impegno sociale.

Come ben racconta la mostra Radiant Vision, Haring si impegnò in diversi ambiti umanitari, dedicando molte sue opere a ospedali, organizzazioni di beneficenza e orfanotrofi.

I suoi murali, per esempio, erano faccende comunitarie; mentre dipingeva gli piaceva ascoltare musica dance con il suo stereo portatile anche per incoraggiare i ragazzini a fermarsi e fargli domande.

Ha realizzato numerose grandi opere su commissione che mettevano in risalto il lavoro artistico dei bambini delle scuole di quartiere, in particolare uno striscione alto oltre 27 metri raffigurante la Statua della Libertà con circa 1000 bambini di New York nel 1986 e un murale di 160 metri nel parco di Chicago con 300 bambini nel 1989.

Infine, malgrado la salute sempre più in forte declino, Haring fondò la Keith Haring Foundation, una fondazione che tuttora si propone di continuare la sua opera di sostegno a favore dei bambini e la lotta contro l’AIDS.

La fondazione è una straordinaria eredità che l’artista ha lasciato al mondo.

Quarto motivo: nonostante la sua morte prematura, l’immaginario di Haring è diventato un linguaggio visuale universalmente riconosciuto.

Le sue opere sono popolate da personaggi bidimensionali e i colori molto vividi e accattivanti (che ricordano quelli usati dalla grafica pubblicitaria) nonché la spessa linea di contorno hanno creato un linguaggio veloce ed efficace, di immediata lettura e comprensione: arrivano a tutti, proprio come voleva lui.

La sua iconografia è solo apparentemente infantile e veicola messaggi chiari e immediatamente intellegibili che riguardano diversi temi scottanti quali il capitalismo, il razzismo, l’ingiustizia sociale, l’apartheid, il riarmo nucleare, la droga, l’AIDS, non mancando di affrontare anche argomenti come l’amore, la felicità e il sesso.

La versatilità delle sue opere ha superato i mezzi espressivi tradizionali: per dare sfogo al proprio inesauribile estro artistico, Haring non esitò a sfruttare qualsiasi elemento avesse portata di mano, dai muri alle carrozzerie di automobili, dai teloni in vinile ai capi di abbigliamento.

Haring è universalmente riconosciuto per il segno del bambino che gattona circondato di luce: il Radiant Baby, riprodotto su una infinita serie di poster, t-shirt e altri popolari oggetti di merchandising (lo vedete nella mia foto qui sopra, in alto a destra).

Il primissimo Radiant Baby fu realizzato da un giovanissimo Haring sul muro della sua camera da letto in Pennsylvania, un disegnino fatto con un pennarello color oro sopra l’interruttore della luce: quei raggi di luce sono diventati inconfondibili, un suo tratto caratterizzantee distintivo, tanto che li ritroviamo nel titolo Radiant Vision che accompagna questo progetto espositivo.

Una delle mie opere preferite in mostra grazie a <em><strong>Radiant Vision</strong></em> (sopra) e io all’anteprima del 29 settembre (sotto)
Una delle mie opere preferite in mostra grazie a Radiant Vision (sopra) e io all’anteprima del 29 settembre (sotto)

Quinto motivo: ben oltre i confini temporali del XX secolo, Haring è ancora oggi estremamente attuale e contemporaneo.

In occasione dell’anteprima stampa, ho potuto ascoltare anche Paolo Pilotto, sindaco di Monza, che ha espresso un concetto sul quale concordo al 100%: le opere di Keith Haring si dimostrano in totale sintonia con ciò che accade oggi, tanto da sembrare profetiche.

Le tematiche che questo artista ha affrontato – capitalismo, razzismo, ingiustizia sociale, malattie – sono ahimè ancora oggi aperte e il suo punto di vista aperto ed empatico è straordinariamente adatto a un tempo come il nostro in cui è assolutamente necessario trovare finalmente soluzioni.

Haring fu profetico anche verso sé stesso, forse perché proprio perché era conscio e lucido rispetto a ciò che lo circondava.

In mostra alla Reggia si trova anche l’opera Medusa Head, del 1986, la più grande stampa mai realizzata da Haring, lunga più di due metri e alta quasi un metro e mezzo (la potete vedere nella mia foto qui sotto).

L’opera venne creata in collaborazione con il tipografo danese Borch Jensen che, dopo aver conosciuto l’artista a una cena, lo invitò a sperimentare la macchina da stampa lunga tre metri che aveva appena installato.

Medusa Head è una rivisitazione moderna del racconto di Medusa, la figura mitologica i cui capelli erano composti da serpenti in grado di trasformare gli astanti in pietra: per Haring, che all’epoca era stato testimone degli effetti mortali dell’AIDS, il mostro mitico era un simbolo appropriato della terrificante malattia che uccideva tante persone tra cui alcuni suoi amici.

Purtroppo, un paio di anni dopo, nel 1988, Haring scoprì di avere lui stesso l’AIDS: si spense per le complicazioni della malattia il 16 febbraio 1990, a soli 31 anni.

La Medusa aveva portato via anche lui…

Sesto motivo: Keith Haring ha qualcosa in comune anche con il mondo della moda attraverso un altro personaggio immenso quale Elio Fiorucci.

La mia immensa ammirazione per il genio di Fiorucci non è un mistero: il fondatore del leggendario brand di moda è stato un pioniere e uno sperimentatore in molti ambiti (per esempio è stato il primo ad aprire un concept store in Italia a Milano nel 1967) e ha stretto amicizia con intellettuali e artisti tra i quali Andy Warhol che gli fece conoscere Keith Haring.

Quando nel 1983 decise di far cambiare aspetto allo storico negozio in Galleria Passarella, nei pressi di San Babila, Fiorucci non ebbe dubbi: a occuparsi di rivitalizzare lo spazio doveva essere proprio Keith Haring.

La riprogettazione dello store avvenne come una sorta di performance, con il preciso intento di regalare al pubblico un momento di scoperta: così fu e nel corso di tredici ore, nell’ottobre di quell’anno, Keith Haring – insieme al giovane Angel Ortiz “LA2” – trasferì sulle pareti interne del negozio Fiorucci i suoi disegni che avevano già animato di vita ed energia il grigio della metropolitana newyorkese, con un evento che è rimasto epico nella storia della cultura milanese e italiana.

Per tutti questi motivi – e sono certa che ce ne siano degli altri e che ognuno possa trovare i propri – reputo che Radiant Vision sia una mostra importante e imperdibile.

Aggiungo un ultimo fatto.

Come scrivevo anche in principio, la mostra è un progetto itinerante e attinge a una collezione privata.

Tutto ciò è possibile grazie al lavoro di Pan Art Connections, una organizzazione che media tra collezionisti e musei offrendo collezioni di alto profilo e che vengono da fonte unica: in questo caso la fonte è Gary Cassinelli, un collezionista che iniziò ad acquistare le opere di Haring dopo aver personalmente incontrato l’artista a metà degli Anni Ottanta.

Il presidente di Pan Art Connections si chiama Nicholas T. Kondoprias ed era presente all’anteprima stampa: ho avuto l’opportunità (che si è rivelata un piacere nonché un onore) di parlare con lui dopo aver visitato la mostra, quando mi sono avvicinata per ringraziarlo per aver fatto sì che tutti possano godere di questa straordinaria collezione.

Alle mie parole, Mr. Kondoprias si è illuminato: con sincero slancio e autentico e generoso desiderio di condivisione, mi ha raccontato altri dettagli, come per esempio il fatto che Gary Cassinelli fosse sì chiaramente conscio dell’importanza delle opere che aveva acquistato e che deteneva, ma che non lo fosse altrettanto nel comprendere quanto tali opere potessero essere significative non solo per lui che, appunto, aveva conosciuto Haring, ma per innumerevoli persone.

Ora che le opere raccolte in Radiant Vision stanno girando il mondo e ora che sono già opzionate da vari musei fino al 2025 (!), Cassinelli ha compreso il valore universale di ciò che custodiva nella riservatezza della sua casa e questa è una soddisfazione per lui e per Mr. Kondoprias il quale mi ha detto che, a mia volta, avrei potuto contribuire a questo progetto che ho amato: «spread the word», mi ha detto con un sorriso.

Eccomi qui a mantenere il mio impegno e a spargere parola.

(Piccola nota, grazie per essere una persona così disponibile, con un approccio così facile e immediato nonostante il ruolo importantissimo; molte persone spocchiose – e che contano molto molto molto meno… – dovrebbero prendere esempio da lei, Mr. Kondoprias).

Quindi, cari amici lettori… lo confermo, le opere sono opzionate in giro per il mondo fino al 2025 ed ecco un motivo aggiuntivo per goderne ora a Monza.

Manu

 

 

 

Keith Haring Radiant Vision
Mostra curata da Katharine J. Wright
Reggia di Monza, Orangerie
30 settembre 2022 – 29 gennaio 2023
Orari: martedì – domenica dalle 10 alle 19, chiusura il lunedì

L’esposizione è prodotta da General Service and Security, GCR e Saga MDS in collaborazione con il Consorzio Villa Reale e Parco di Monza.
La Direzione Artistica e di Produzione è affidata a Beside Studio.
La mostra Radiant Vision è un progetto itinerante possibile grazie a Pan Art Connections.

 

 

 

Le foto a corredo di questo articolo sono miei scatti realizzati in occasione dell’anteprima del 29 settembre 2022;
la foto che mi ritrae è uno scatto di Matilde Lanzetti (grazie).

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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