Tra curiosità storiche e dritte preziose, siete pronti a fare le valigie?

Ricordo che, lo scorso anno, introducendo un brand di borse al quale tengo molto (Demanumea – qui), partii facendo un excursus sulla nascita dell’oggetto borsa che, in realtà, non nasce per le donne ma per gli uomini.

La borsa nasce infatti per un uso semplice ed estremamente pratico, ovvero come contenitore destinato a custodire il denaro: la sua origine è dunque legata alla nascita della moneta e, in un tipo di società in cui era l’uomo a svolgere attività legate al commercio e dunque all’uso del denaro, la borsa era soprattutto un accessorio maschile.

Buffo, vero?

La sua storia, però, si è poi evoluta con risvolti più vivaci e frivoli rispetto a quelli meramente economici, rendendo così la borsa un accessorio costantemente in bilico tra utilità e vezzo, tra funzione contenitiva ed esteriorità.

Un’evoluzione interessante e ricca di curiosità è quella dalle borse destinate al viaggio: in questo caso, la funzione contenitiva diventa chiaramente fondamentale e si declina in bauli, cappelliere, sacche, borsoni, zaini, valigie, trolley e altri involucri ancora, tutti destinati a ospitare ciò che vogliamo portare con noi in occasione di uno spostamento fisico e geografico.

Visto che siamo in piena estate e l’argomento valigie è particolarmente in auge, ho pensato di rispolverare uno studio che ho condotto lo scorso anno per SoMagazine.

Avete voglia di venire con me?

Prometto di non infilarvi in una valigia troppo piccola, ma in compenso vi racconterò un po’ di curiosità sulle valigie e i loro antenati 😉

Photo credit <em>Urban Finder</em>
Photo credit Urban Finder

Per moltissime persone, prepararsi al viaggio è sinonimo non solo della scelta della destinazione, ma anche di cosa portare con sé: da sempre, che si tratti dell’uomo d’affari con la sua valigetta ventiquattrore, del globetrotter con lo zaino oppure del nomade del deserto con le sue bisacce, ogni tipologia di viaggiatore porta un bagaglio che contiene tutta una serie di oggetti – i cosiddetti effetti personali – che lo identificano e che ne definiscono la storia e le necessità primarie.

Quando si abbandona la propria casa, si tende a portare con sé quegli oggetti che rappresentano i simboli rassicuranti di ciò che è per noi conosciuto e quotidiano: il bagaglio, primo atto volontario della partenza, diviene così un ponte tra la nostra vita precedente (o quotidiana) e quella nuova (temporanea o definitiva) che ci attende altrove.

In quest’ottica, il bagaglio è dunque lo specchio del viaggiatore e ne sottolinea il carattere, lo stato sociale ed economico, i gusti, le aspettative, la finalità del viaggio nonché la meta.

Inoltre, il bagaglio non può che essere strettamente legato ai mezzi di trasporto: in definitiva, si può affermare che a ogni tipo di viaggiatore corrisponda un diverso tipo di bagaglio.

A proposito, sapete da cosa deriva il termine bagaglio?

Dal francese bagage, termine che indicava il convoglio carico di equipaggiamenti al seguito degli eserciti ed è dunque un termine di derivazione militare.

La storia dei bagagli permette di ricostruire il modo in cui si viaggiava in passato e anche lo spirito con cui ci si spostava nelle diverse epoche: uno dei materiali che ha spesso caratterizzato i bagagli è la pelle e noi italiani siamo stati antesignani e maestri in tale uso che è diventato un’autentica arte.

Le più antiche testimonianze della lavorazione delle pelli si ritrovano in Toscana già nel XII secolo quando vennero istituite dalla Repubblica Fiorentina le cosiddette Arti Minori tra le quali quella dei Calzolai, dei Cuoiai e dei Sellai.

La lavorazione si svolgeva a Firenze inizialmente nella zona del Ponte Vecchio: lì le pelli venivano immerse, prima di essere conciate, nelle acque dell’Arno, poi in seguito tale procedimento fu spostato altrove poiché causava disagi agli abitanti. Ecologia d’antan 🙂

Esisteva una distinzione tra pellami più resistenti, dati dalla concia di animali come manzo e bufalo, e pellami più raffinati derivanti da vitelli, capre, camosci: sono di questo periodo borse quali le scarselle, da portare appese al collo o alla cintura, e le bisacce, borse da viaggio usate dai messi e dai pellegrini che potevano essere portate anche sul dorso del cavallo.

La parola scarsella è ancora in uso in alcune regioni (tra le quali il Veneto) con il significato di tasca o saccoccia, sia in senso generico o metaforico (tenere le mani in scarsella) sia con riferimento al denaro che vi può essere riposto (mettere mano alla scarsella, avere la scarsella piena).

Le borse degli artigiani fiorentini furono apprezzate e molto richieste anche dai mercanti esteri: il Made in Italy, insomma, piaceva già allora 🙂

Un altro centro di prestigio fu Venezia dove operavano artigiani detti bolzieri, facenti parte dell’Arte dei Lavoratori del Cuoio: in una città fondamentalmente commerciale come Venezia, essi erano molto impegnati nella realizzazione di varie tipologie e dimensioni di borse, da quelle per il denaro a quelle per piccoli oggetti quotidiani fino a quelle da viaggio e destinate alle merci.

<em>Scarsella</em> di fattura francese, Museo del Bargello, Firenze
Scarsella di fattura francese, Museo del Bargello, Firenze

Altro capitolo molto importante nella storia di bagagli e valigie è quello del baule.

Uno dei più antichi esemplari scoperti accompagnò il faraone Tutankhamon nel suo ultimo viaggio, quello nell’aldilà: nella tomba del sovrano egizio sono stati infatti trovati cofanetti e casse contenenti stoffe, cosmetici e una varietà di oggetti d’uso quotidiano.

Anche Greci e Romani si servirono di bauli durante i loro lunghi spostamenti per mare o per terra e, nel loro caso, si trattava di cofani di legno e bronzo, spesso decorati con avorio e metalli preziosi: essendo oggetti di grandi dimensioni, tali bauli erano adatti a essere stipati sulle navi mercantili e spesso venivano usati anche come panche o letti durante la navigazione.

Nel Medioevo, il bagaglio dei pellegrini che percorrevano a piedi le strade d’Europa e della Terrasanta era decisamente più essenziale: questi uomini si mettevano in marcia con poche cose, una bisaccia con sandali di ricambio, un libro di preghiere, la borraccia ricavata da una zucca, un bastone.

Ma fu nel Settecento che il bagaglio divenne più simile a quello che abbiamo in mente oggi: era il secolo del Grand Tour, viaggio di formazione attraverso l’Europa che era un vero e proprio must per tutti i giovani aristocratici, soprattutto inglesi e tedeschi.

L’esperienza durava parecchi mesi (io ne ho parlato anche qui) e ci si portava al seguito scorte alimentari, indumenti, libri, lettini avvolgibili.

Sempre nel Settecento, ogni famiglia aristocratica che decideva di intraprendere un viaggio partiva con carrozze stracariche di bauli e cappelliere: uno di questi viaggio poteva prevedere anche 30 o 40 bauli stipati in più carrozze. E poi ci sono certi mariti che si lamentano delle nostre moderne valigie!

Tra Settecento e Ottocento, diventarono inoltre frequenti le traversate oceaniche: funzionari, commercianti e avventurieri si recavano nelle colonie americane o asiatiche per lunghi periodi, per motivi diplomatici o di affari. Il corredo da viaggio di questi passeggeri era vario e complesso e prevedeva anche il letto, materiale da cucina nonché ingenti scorte di cibo e di bevande.

In pieno Ottocento, la rivoluzione dei trasporti a vapore (treni e navi più veloci) favorì ulteriormente gli spostamenti turistici.

Occorre dire che, fino alla diffusione degli aerei che imposero limiti di peso, i bauli rimasero la borsa da viaggio per antonomasia e ce n’erano diversi modelli, ognuno con una precisa specializzazione: esisteva per esempio il baule-farmacia e c’erano perfino quelli appositamente ideati per essere caricati su mongolfiera.

Louis Vuitton, baule guardaroba verticale
Louis Vuitton, baule guardaroba verticale

E proprio parlando di bauli, è impossibile non citare un certo Louis Vuitton, figura importante nel rapporto che lega bagagli, valigie e viaggi: la valigeria è probabilmente il settore più rappresentativo dell’azienda nata a Parigi proprio con un negozio di bauli.

Tutto iniziò nel 1835 quando, a soli quattordici anni, Monsieur Vuitton lasciò il suo paese natale, Anchay, per raggiungere la capitale francese.

Dopo svariati lavoretti e spostamenti, Monsieur Vuitton raggiunse la sua meta: lì venne assunto come apprendista imballatore da Romain Maréchal, produttore di scatole e casse.

Nel 1854, Louis Vuitton aprì il suo negozio nel quale vendeva bauli da viaggio che attirarono presto l’attenzione dell’alta società, tanto che l’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, lo nominò suo personale costruttore di bauli.

Cinque anni dopo, nel 1859, aprì un laboratorio ad Asnières-sur-Seine, poco fuori Parigi: ancora oggi, negli stessi edifici, si trova l’atelier della casa di moda che vi crea accessori da viaggio su misura. E l’atelier è visitabile (guardate qui).

Altri storici oggetti da viaggio pensati da Louis Vuitton furono il baule-armadio verticale (organizzato internamente con cassetti e appendi-abiti così da poter trasportare il proprio guardaroba senza dover disfare le valigie) e poi ancora altri più curiosi come il baule-doccia, il baule-altare e quello per il servizio da tè creato nel 1926 per un maharaja indiano.

Ulteriore curiosità: nel 1927, Gaston-Louis Vuitton, nipote di Louis, consegnò allo scrittore Ernest Hemingway un baule-biblioteca.

Ma parliamo di un argomento scottante: già nei primi anni di attività, Louis Vuitton dovette proteggersi dai tentativi di falsificazione.

Per distinguere i suoi bauli originali da quelli falsi, nel 1888 inventò la tela Damier, caratterizzata da una sorta di scacchiera fatta di quadrati chiari e scuri. La celebre tela Monogram – con motivi floreali, forme geometriche e l’acronimo LV – fu invece inventata nel 1896 dal figlio George subentrato alla guida del laboratorio alla morte di Louis Vuitton avvenuta nel 1892.

Paradossalmente, oggi il motivo Monogram è diventato uno tra i più falsificati al mondo: chissà cosa ne penserebbe Monsieur Vuitton.

Sopra e sotto: tre immagini dalla mostra <em>Volez, Voguez, Voyagez – Louis Vuitton</em> che si è svolta dal 4 dicembre 2015 al 21 febbraio 2016 al Grand Palais di Parigi (fonti: AP Photo, Thibault Camus & Louis Vuitton)
Sopra e sotto: tre immagini dalla mostra Volez, Voguez, Voyagez – Louis Vuitton che si è svolta dal 4 dicembre 2015 al 21 febbraio 2016 al Grand Palais di Parigi (fonti: AP Photo, Thibault Camus & Louis Vuitton)

Ma torniamo alla nostra storia: tra le due guerre mondiali, un nuovo fenomeno rivoluzionò il bagaglio, ovvero la diffusione e il successo dell’automobile.

I bauli non erano certo pensati per essere trasportati in automobile e dunque lasciarono presto il posto a valigie di dimensioni più piccole e più facilmente caricabili.

E qui va sottolineata un’altra curiosità: fu così che il termine baule passò a indicare l’apposito vano dell’auto dedicato al carico dei bagagli.

Rispetto ai Grand Tour e alle traversate oceaniche, i viaggi si fecero più brevi e, conseguentemente, gli oggetti da portare con sé diminuirono insieme alle dimensioni dei bagagli: l’esperienza del viaggio diventò così comune che la Società delle Nazioni (ovvero l’antenata dell’odierna ONU) ufficializzò nel 1937 i termini turista e turismo, identificandoli come sinonimi di chi viaggia per periodi di oltre 24 ore.

E fu proprio in quegli anni che debuttò la valigetta ventiquattrore destinata agli uomini d’affari.

L’addio definitivo ai gloriosi bauli che avevano accompagnato per molto tempo uomini e donne nei loro viaggi arrivò con la fine degli anni Cinquanta: negli Stati Uniti, si affermò il trasporto aereo a scopo civile e l’uso delle valigie di pelle, capienti ma leggere, prese a questo punto il sopravvento.

Tuttavia, circa dieci anni dopo, in un certo senso il baule si prese una rivincita: l’invenzione delle valigie rigide in polipropilene reinventò e riportò infatti in auge il concetto stesso alla base del baule.

Nel 1987, con il primo trolley brevettato da Robert Plath, pilota della compagnia americana Northwest Airlines, spuntarono anche le rotelle: e da allora, generazioni di viaggiatori ringraziano!

Phot credit <em>Urban Finder</em>
Phot credit Urban Finder

Raccontata questa storia ricca di tante curiosità, vi pongo un quesito: che viaggiatori siete? Amate i borsoni, le sacche, le valigie morbide o rigide? Oppure viaggiate leggeri e usate solo trolley e zaini?

Se siete tra i nostalgici di bauli e vecchie borse in pelle, potete provare a rintracciare esemplari interessanti in qualche mercatino vintage.

In effetti, quei bagagli restano il simbolo romantico di epoche in cui viaggiare era davvero un’avventura: a volte il tutto era poco pratico, è vero, se non altro per i nostri standard attuali, ma volete mettere il fascino di una cappelliera con relativo prezioso contenuto?

Se siete invece viaggiatori pragmatici e moderni, vi consiglio di tenere d’occhio i canali social Urban Finder.

Urban Finder è una app che è stata creata per aiutare ogni persona a scoprire ciò che cerca in una data città (come suggerisce l’aggettivo Urban), trovando le soluzioni più adatte rispetto ai propri gusti e alle proprie esigenze, così come vi ho raccontato qui.

È un Personal Finder, insomma.

Mentre la app è attualmente in fase di re-styling, è nato un gruppo che si chiama UF Lovers, ovvero un gruppo di vari professionisti del mondo digital chiamati a condividere esperienze: lo scopo è quello di creare una rete di relazioni che possa arricchire la app stessa.

Con mia grande felicità, sono stata invitata anch’io a far parte del gruppo e ho così due interessanti opportunità: da una parte, prendo parte a una serie di incontri tra gli UF Lovers (qui il più recente, lo scorso 28 giugno) e dall’altra sono un po’ pioniere e un po’ tester di Urban Finder.

Vi segnalo dunque con piacere che, per tutta l’estate, i canali social Urban Finder saranno il mezzo attraverso il quale noi UF Lovers condivideremo una serie di contenuti che ci stanno a cuore: uno degli argomenti sarà quelle dello valigie, con contenuti che spazieranno dalla preparazione di un bagaglio perfetto a consigli su dove comprare set di borse che soddisfino varie esigenze di viaggio.

Prendete, per esempio, il post che è stato pubblicato ieri nella pagina Facebook: parla di libri, esattamente di libri da mettere in valigia.

«Avete già deciso che libri mettere in valigia? Non è una scelta facile: meglio farla a pancia piena! Il vostro Personal Finder vi consiglia 3 magnifiche librerie dove potete anche mangiare.»

Non è accattivante? Libri e cibo, un abbinamento che mi piace – cibo per l’anima e per il corpo – e un taglio decisamente originale per parlare di valigie & company.

Per godere di questi contenuti che, a mio avviso, saranno tutti interessantissimi, seguite la pagina Facebook e il profilo Instragram di Urban Finder.

Così, a valigie pronte, potremo guardare sereni verso le nostre nuove vite, anche se solo temporanee.

E ricordate: le vacanze sono #nostress e quindi dite un bel #ciao a obblighi e imposizioni.

Solo positività e se qualcuno osa parlarvi di prova costume… leggete qui cosa ne penso.

Se vi va, naturalmente 🙂

Manu

 

 

 

 

Se invece volete dare un occhio al mio articolo dello scorso anno su valigie & co. per SoMagazine, lo trovate qui

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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