YOOX ospita in esclusiva Franca Sozzani Private Collection

Quando ho fondato questo piccolo spazio web, ho voluto raccontare nella pagina Chi sono il mio pensiero circa abiti e moda.

Ho raccontato come io consideri la moda una forma di cultura, una modalità di libera espressione e di comunicazione personale e sociale, un linguaggio istantaneo e immediato che amo e rispetto.

Ho raccontato come io pensi che l’estetica non può e non deve essere slegata dall’etica e dai contenuti: la moda non è mera apparenza, può (e per me deve) essere anche sostanza ed essenza.

Ho raccontato come io – altamente imperfetta – abbia scelto una dimensione che molti credono essere basata esclusivamente sull’apparenza; ho raccontato come io abbia deciso di lavorarci portando testardamente avanti la mia visione basata (anche) su contenuti e sostanza.

Ho raccontato infine che per me i vestiti non sono fatti per farci apparire più giovani o più magri – o non solo per quello: i vestiti sono suggestioni e sogni tradotti in stoffa e noi, a nostra volta, possiamo sceglierli affinché ci rappresentino, attraverso la nostra interpretazione e personalizzazione, attraverso sottrazioni o aggiunte, per comunicare con gli altri e per raccontare chi siamo.

Sarò stupida, illusa, pazza, visionaria, cocciuta, ostinata ma nessuno mi fa cambiare idea: ancora oggi, continuo a credere che la moda non sia solo un bel vestito o il bel visino di una modella.
Continuo a credere che sia molto di più.
E continuo a credere fermamente che la moda debba essere inclusiva, ovvero essere rappresentativa della società in cui viviamo e di tutte le persone che la compongono.

Se tutto ciò è vero, se la moda è linguaggio, allora un guardaroba è un codice.
E costruire il proprio guardaroba, pezzo dopo pezzo, anno dopo anno, è come lavorare alla scrittura di un codice.

Un guardaroba può diventare il racconto di una vita, ancor di più nei casi in cui una persona è universalmente considerata una icona o un modello.
Succede anche che questo racconto diventi così strutturato – e conseguentemente anche impegnativo e ingombrante – da indurre il desiderio di disfarsene.
Può accadere per molti motivi: perché si è a un punto cruciale della propria vita, perché si vuole condividere quel racconto con altri ma non più indossando quei capi, perché si desidera passare un testimone ideale.

Esattamente un anno fa, per esempio, ho raccontato di Anna Dello Russo: trent’anni di carriera come fashion editor, ha deciso di catalogare scrupolosamente il suo amato guardaroba (o meglio archivio) per poi venderlo all’asta.
Il tutto perché, come ha dichiarato, Anna aveva bisogno di leggerezza e perché «i vestiti sono fatti per parlare e il mio archivio è il mio alfabeto di moda che ora voglio passare a una nuova generazione».
Proprio in tale ottica, i ricavi dell’asta sono andati all’associazione Swarovski Foundation Scholarship Program, organizzazione a sostegno dei futuri talenti della moda.

In tempi recentissimi, è stata la celeberrima attrice Catherine Deneuve a compiere un’operazione simile: alla fine di gennaio di quest’anno, è stata battuta un’asta con 129 mise firmate Yves Saint Laurent e indossate dalla Deneuve durante tutta la sua carriera.
Parrebbe che l’asta abbia fruttato oltre un milione di dollari e non si sa come la Deneuve spenderà la cospicua cifra, ma ciò che si sa è che la decisione di alleggerirsi del lussuoso quanto impegnativo guardaroba è legata a un cambio di casa: l’attrice ha infatti lasciato una dimora in Normandia, nel nord della Francia, dove il guardaroba era conservato e, non senza malinconia, ha deciso di vendere i capi.
La Deneuve è stata musa e amica del grande stilista scomparso nel 2008: si erano incontrati per la prima volta a metà degli Anni Sessanta e da allora lui aveva creato centinaia di pezzi unici, realizzati appositamente per lei.

A proposito di attrici e guardaroba, vi segnalo con piacere anche una mostra, tra l’altro a ingresso gratuito: fino al 29 settembre, Palazzo Morando a Milano ospita “Rosanna Schiaffino e la moda – Abiti da Star”, una quarantina di abiti del guardaroba dell’attrice scomparsa nel 2009.
Il guardaroba della Schiaffino è stato acquisito nel 2018 da Palazzo Morando: la mostra è l’occasione per presentare al pubblico gli abiti dell’attrice che testimoniano i suoi cambiamenti di stile dettati non solo dall’epoca, ma anche dalla carriera e dalla vita privata.
Fin dagli esordi come attrice, infatti, fondamentali furono le scelte degli abiti e degli stilisti che caratterizzarono l’immagine della Schiaffino: nel corso del tempo, al suo guardaroba si aggiunsero tra l’altro anche capi di Yves Saint Laurent.
Non ho ancora avuto l’opportunità di visitare la mostra ma, per tutti i dettagli, vi lascio volentieri il link all’articolo di Paola Baronio, una collega che stimo.

Nel caso della Schiaffino, il suo guardaroba serve dunque oggi a onorare e ricordare il suo ruolo di icona e se vi parlo di tutto ciò proprio oggi è per arrivare a parlare infine di un’altra donna che ha avuto un ruolo fondamentale nella moda e nel costume degli ultimi trent’anni: mi riferisco a Franca Sozzani.

Credo sia del tutto superfluo raccontare chi sia Franca Sozzani poiché credo che ciò che ha fatto nella sua vita sia noto a chiunque ami la moda, il costume e la comunicazione.
Non mi sono cimentata in elenchi di dati biografici nemmeno quando la direttrice di Vogue Italia è purtroppo prematuramente scomparsa nel 2016, limitandomi piuttosto a un sentito omaggio: oggi, però, mi pare doveroso ricordare come, dal 1988 fino a pochi giorni prima della sua scomparsa, Franca Sozzani sia riuscita a concretizzare la missione che si era data, ovvero quella di riuscire a far riconoscere l’edizione italiana di Vogue non solo come voce autorevole per quanto riguarda la moda, ma anche come mezzo attraverso il quale diffondere servizi fotografici di grandissimo impatto e impegno, editoriali che hanno affrontato questioni sociali che vanno oltre la moda, dai cambiamenti climatici fino alle questioni razziali come con l’indimenticabile The Black Issue, l’edizione di luglio 2008 che vide, in copertine diverse e in tutti i servizi, l’impiego esclusivo di modelle di colore e le creazioni di designer africani.

Oggi, 11 febbraio, è il giorno in cui esce a livello mondiale “Franca: Chaos and Creation” a cura di edizioni Assouline: si tratta di una biografia di Franca Sozzani curata dal figlio, Francesco Carrozzini, che ha scelto per questo libro lo stesso titolo del film di cui è stato regista nel 2016 (e del quale ho parlato già nel mio post appena citato), un ritratto a tutto tondo della madre, presentato a Venezia due mesi prima della sua scomparsa.

Uno dei canali sui quali si può acquistare il volume (vedete qui in alto la copertina) è lo store online YOOX il quale non si limita a questa vendita ma, sempre a partire da oggi, rende disponibile in esclusiva la Franca Sozzani Private Collection, un’ampia selezione della collezione privata dell’iconica quanto visionaria direttrice di Vogue Italia.

Si tratta di 397 abiti e 190 accessori delle collezioni di prêt-à-porter e haute couture dei più importanti stilisti internazionali che Franca Sozzani ha amato e indossato e che ora diventano accessibili al pubblico per una buona causa: sostenere il Franca Sozzani Fund for Preventive Genomics (qui) del Brigham and Women’s Hospital di Harvard, istituzione che promuove lo screening genetico preventivo ed è stato fondato dallo stesso Francesco Carrozzini.

Il prossimo passo sarà l’istituzione di una cattedra alla Harvard Medical School, progetto che vedrà la luce entro i prossimi tre anni, in parte per merito dei fondi raccolti con questa operazione su YOOX che – mi fa piacere sottolinearlo – è nata dall’amicizia che lega Carrozzini a Federico Marchetti, il fondatore dello store online.

Gli abiti che compongono la Franca Sozzani Private Collection sono presentati in cinque sezioni che evocano lo stile inconfondibile di Franca Sozzani e che ripercorrono la sua carriera e gli episodi della storia della moda che l’hanno vista protagonista per quasi trent’anni: The Eclectic (stampe dall’animalier al floreale, dettagli etnici, ricami multicolore, patchwork sorprendenti), The Black Tale (tutto in nero, semplice ed essenziale ma anche romantico e drammatico), The Londoner (i due volti di Londra, quello rigoroso e classico, fatto di pattern grafici come il Principe di Galles, e quello swingin’ degli energici Anni Sessanta), The Unconventional (la libertà di osare, stravolgere i canoni, brillare uscendo dagli schemi, ovvero essere chaos and creation) e infine The Dream Dimension (lavorazioni ricercate, tessuti evanescenti, decorazioni preziose).

Volete dare un occhio alla Franca Sozzani Private Collection?

Ecco il link mentre qui trovate il libro che sarà presentato negli store 10CorsoComo di New York (oggi) e di Milano (il 19 febbraio).

E se posso osare un consiglio… non aspettate troppo se ambite ad accaparrarvi un pezzo di sogno o di storia, dipende dai punti di vista.

O, forse, non ha poi senso fare distinzione.

Manu

 

 

«In tutti questi anni a Vogue Italia ho creato qualcosa che non ha solo a che fare con la moda.
Ha a che fare con la società, la cultura. Con tutto quello che accade intorno a noi.
Perché il modo in cui ci vestiamo è profondamente connesso con la vita che scegliamo di vivere.»

Franca Sozzani

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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