Agnese Taverna e la forza dei suoi gioielli dal sapore tribale

A volte è necessario avere pazienza.

Pazienza affinché certe cose seguano il loro corso, affinché una conoscenza abbia tempo e modo di essere approfondita, affinché un cerchio o un percorso si completino.

L’ho imparato negli anni e cerco di tenerlo a mente, fatto importante per una persona come me, impaziente e impulsiva di natura.
Una persona che vorrebbe riuscire a fare tutto subito, ma che – naturalmente – non potrebbe riuscirci nemmeno se le giornate fossero fare di 48 ore.

Esordisco così, oggi, perché quando ho incontrato Agnese Taverna e il suo lavoro, ero certa che avremmo avuto modo di conoscerci meglio, sebbene quel primo istante non fosse forse il momento giusto.

L’incontro con Agnese è avvenuto grazie a uno dei miei progetti preferiti, ovvero Ridefinire il Gioiello, e grazie a Sonia Catena, ideatrice, curatrice e vera anima di tale progetto.

Ridefinire il Gioiello è nato nel 2010 e negli anni è diventato un importante punto di riferimento nella sperimentazione materica sul gioiello contemporaneo e d’arte nonché un’interessante vetrina per artisti e designer.

È un progetto itinerante che promuove creazioni esclusive, selezionate dalla giuria e dai partner per aderenza a un tema (sempre diverso) nonché per ricerca, innovazione, originalità ideativa ed esecutiva: gioielli tra loro molto diversi per materiali impiegati vengono dunque uniti di volta in volta grazie a una tematica comune, sempre interessante e stimolante.

Dal 2014, sono tra i media partner del concorso e, a ogni edizione, attribuisco un premio a un vincitore da me scelto, ovvero un articolo di approfondimento: lo scorso giugno, ho raccontato il mondo di Alba Folcio, la vincitrice che ho selezionato per l’edizione 2016-2017, edizione che ha avuto un tema molto stimolante e a me particolarmente caro, ovvero i libri, i racconti e la poesia.

Dovete sapere che, dopo aver esaminato accuratamente tutti i progetti partecipanti, giunta al momento di scegliere il mio vincitore, avevo infine ristretto la rosa a quattro candidati e Agnese era uno di quei nomi, anche se poi ho infine scelto Alba.

In occasione della prima e soprattutto della seconda tappa di Ridefinire il Gioiello, quella che si è svolta presso la Galleria Rossini di Milano, ho avuto modo di conoscere di persona Agnese, di chiacchierare con lei e di ammirare dal vivo e da vicinissimo la sua opera restandone fortemente colpita e confermandola come una delle mie preferite, così come testimonia anche la foto qui sotto pubblicata in quei giorni nel mio account Instagram.

Giovedì sera, c’è stata l’inaugurazione della seconda tappa di Ridefinire il Gioiello, mostra-concorso della quale sono orgogliosamente media partner e che si occupa di far conoscere, valorizzare e diffondere la cultura del gioiello contemporaneo. Dove? Alla @galleriarossini in viale Monte Nero 58 a Milano. Se avete tempo e modo, passate a dare un’occhiata: è esposta una selezione ristretta dei 41 pezzi in concorso e vi segnalo che, tra i gioielli scelti da Marco Rossini e dalla sua squadra e che resteranno in mostra fino al 29 aprile, c’è anche la mia vincitrice che presto sarà protagonista di un post nel blog. Questa foto riunisce tre dei miei quattro pezzi preferiti per questa edizione del concorso: a sinistra, la collana “L’Altro” di @agnesetaverna e a destra, in alto, la spilla “El Lobo Estepario” di @ritamartinezartjewelry mentre in basso a destra c’è il set “Anello per quattro stagioni” di Alba Folcio. Brave a tutte e tre, per il concept, per l’aderenza al tema del concorso (libri, poesia, racconti, lettura), per i materiali utilizzati e per il risultato estetico ottenuto. Alba è la mia vincitrice, ma non mancherò di tenere d’occhio Agnese e Rita 😊

Un post condiviso da Emanuela Pirré (@aglitteringwoman) in data:

Come spesso accade, ahimè, per essere goduto appieno, un gioiello ha bisogno di essere ammirato dal vivo così da poterne godere tutta la bellezza e sentirne intensità ed emozione.

È per me infatti molto importante poter toccare con mano: è difficile fare una valutazione completa solo attraverso le foto, anche perché i criteri che considero per valutare un gioiello (sia a livello personale come collezionista sia a livello professionale in qualità di editor) sono molteplici e vanno dal risultato estetico alla sensazione tattile trasmessa dai materiali, dall’ergonomia e portabilità ai dettagli esecutivi.

Le mie scelte, insomma, sono un mix di criteri tecnici ed emozionali.

La collana L’Altro di Agnese Taverna aveva catturato la mia attenzione già in foto e grazie al suo concept (potete vedere il tutto qui sotto, tratto dal catalogo di Ridefinire il Gioiello edizione 2016-2017), ma è stato dal vivo che ho potuto percepire tutta la sua energia e la sua forza.

E ho potuto comprendere fino in fondo quel concept intenso e interessante, ispirato a un testo di Jean-Paul Sarte, ovvero il difficile rapporto con noi stessi e con gli altri.

Nei mesi successivi, la conoscenza tra me e Agnese Taverna è andata avanti e tra noi ci sono stati tanti piacevoli scambi e confronti.

E, infine, lei ha voluto creare un pezzo per me e io l’ho atteso con la curiosità di una bambina.

Quando ho ricevuto e aperto la scatola preparata con cura, ho avuto conferma della sintonia nata tra noi, perché Agnese ha creato il pezzo perfetto per me, dal punto di vista estetico e del significato.

Ecco perché dico che, talvolta, occorre aspettare che maturino i tempi e che si consolidi una conoscenza, ecco perché non rivelerò ora gli altri due nomi della mia rosa finale di Ridefinire il Gioiello (anche se le teste più attente ne potranno ricavare facilmente almeno un altro).

Ed ecco perché credo di sapere abbastanza di Agnese Taverna e che sia giunto il momento di cercare di trasmettere la sua arte, sperando di farvene innamorare così come me ne sono innamorata io.

«Nei legni calcinati dal sole e scolpiti dagli elementi, nell’innesto di materiali diversi, assecondo i colori insaturi di laguna e quelli della macchia mediterranea e scovo bellezza.»

Così dice del suo lavoro Agnese Taverna, usando parole che ben descrivono il suo brand Ag Art e che mi hanno dato subito una forte emozione.

Nata a Trieste nel 1990, dopo la laurea in disegno scenico e tecnica teatrale presso l’Accademia delle Belle Arti di Venezia, Agnese ha iniziato a lavorare come macchinista (la persona che si occupa di costruire, montare, smontare, movimentare gli elementi scenografici) presso il Teatro La Fenice di Venezia, un luogo meraviglioso che sicuramente ha affinato ancor di più la sua passione per l’arte.

Negli anni, ha partecipato a diverse mostre collettive nell’ambito del gioiello contemporaneo, presentando le sue creazioni che ruotano attorno all’impiego di materiali naturali o riciclati, lavorati con varie tecniche in modo tale da risultare pezzi mai identici per loro stessa natura.

La sua ricerca parte dal ritrovamento o dalla scelta dei materiali da utilizzare: nel tempo, Agnese si sta concentrando quasi esclusivamente su legni rinvenuti sulla spiaggia o su scarti di legni provenienti da realtà artigianali. Talvolta adopera anche scarti di vetro di Murano.

Durante le sue camminate sulle spiagge della laguna di Venezia, raccoglie legni che le sembrano interessanti, trasformati dall’eterno e inarrestabile movimento del mare: in alcuni casi, si tratta di pezzi che mostrano colori o motivi davanti ai quali lei resta incantata, provando ammirazione per la bellezza che la Natura sa creare.

Agnese cerca di ridare un’altra chance a quella bellezza e una nuova vita a quelli che vengono comunemente considerati rifiuti: osservazione, senso dei materiali, sperimentazione, trasformazione, riciclo, studi sulle culture tribali sono i presupposti fondamentali delle sue creazioni.

Agnese è infatti attratta dalle forme astratte o zoomorfe, anche immaginarie, nonché da idoli e creature tribali: quando guarda un pezzo di legno o una corteccia, cerca di coglierne le particolarità e, osservandone la morfologia e accostandola ad altri materiali, inizia a lavorare i materiali spesso assecondandone la natura che individua.

Il suo processo di creazione contempla talvolta disegni e sketch.

La mia collana con idolo di Agnese Taverna
La mia collana con idolo di Agnese Taverna

Per me, Agnese Taverna ha creato la collana che vedete qui sopra: in questo caso, il legno è stato lavorato con una tecnica giapponese che si chiama Shou Sugi Ban e che usa il fuoco per proteggere il legno nel tempo (sembra un paradosso ma non lo è) ed è nato così il suo nero idolo tribale che è stato poi montato in una collana con perle di pietra lavica anch’essa nerissima.

Carbonizzare superficialmente il legno per proteggerlo: è una tecnica secolare giapponese per trattare il legno, si chiama – appunto – Shou Sugi Ban (o Yakisugi) ed è stata in uso in Giappone per molto tempo, almeno fino a quando le tecniche moderne di conservazione e finitura del legno non hanno soppiantato la metodologia tradizionale.

Come però spesso accade, oggi si tende a riscoprire tecniche antiche considerate più rispettose dell’ambiente ed ecco che anche la tecnica dello Shou Sugi Ban sta ottenendo nuovi estimatori e viene riconsiderata anche al di fuori del Giappone, soprattutto in ambiti come l’architettura o il gioiello, settore in cui Agnese ne è appunta sperimentatrice.

«Quanto è affascinante vedere un materiale mutare – racconta Agnese – lo strato superficiale brucia, ingiallisce e poi d’un tratto annerisce, si ritira, si fa ruvido al tatto e si screpola, si fessura.»

Perfetto è anche il matrimonio con le perle di pietra lavica: la lavorazione di tale pietra (spesso derivante dall’’industria estrattiva delle cave del nostro vulcano Etna), sia per scopi ornamentali sia per ricavarne materiali da costruzione, diede in passato da vivere a molte famiglie siciliane.

Anticamente, lungo i costoni dell’Etna, i pirriaturi estraevano strati superficiali di lava perché più porosi e più facilmente lavorabili: sul materiale estratto interveniva lo spaccapietre che ricavava lastre di pietra e infine lo scalpellino che rifiniva il materiale.

Uno degli usi prevalenti cui era destinata la pietra lavica era la pavimentazione delle strade urbane e rurali.

La mia collana con idolo di Agnese Taverna
La mia collana con idolo di Agnese Taverna

Il matrimonio voluto da Agnese Taverna, quello tra legno bruciato e pietra lavica, è intenso ed esalta la materia in un gioco tattile: il risultato si adagia sul corpo con istintività e allo stesso tempo con la consapevolezza e la conoscenza di saperi antichi.

Gli idoli di Agnese sono creature cariche di magia, di energia spirituale e primordiale: sono opere d’arte da indossare, capaci perfino di evocare un senso di protezione.

Ricordano anche a voi i moai, le imponenti, misteriose e affascinanti statue che si trovano sull’Isola di Pasqua?

Per questo penso che il lavoro di Agnese, ricco di sfaccettature e di personalità, lontano da qualsiasi stereotipo od omologazione, sia estremamente interessante e meriti di essere conosciuto, perché non solo è bello esteticamente ma è carico di capacità, ricerca, implicazioni e significati.

«Mi diverto molto nel creare gioielli, mi fa stare bene – mi ha scritto Agnese in un nostro scambio – e nel frattempo studio nuovi collegamenti che spesso hanno a che fare con lo studio dei materiali e con l’arte del passato, cercando però anche un modo contemporaneo con il quale trasmettere i miei lavori, per esempio attraverso la grafica.»

La grafica è infatti un altro degli ambiti espressivi di Agnese (qui trovate una sua creazione) insieme ai gioielli: oltre alla collana, a me ha dedicato un poster con la scritta Mi adorno perché – mi ha scritto – «a noi piace ornarci di cose belle e interessanti».

Esatto.

L’avevo detto che Agnese mi ha proprio capita e spero, a mia volta, di aver ben compreso e trasmesso il suo lavoro, di avergli reso l’onore che merita.

Manu

 

 

 

 

Per approfondire a proposito di Agnese Taverna:

Qui trovate la sua pagina Facebook e qui il suo account Instagram, qui trovate il suo shop su Etsy, il marketplace nel quale persone di tutto il mondo si incontrano per vendere e comprare articoli fatti a mano.

Potete anche scrivere ad Agnese all’indirizzo tavernaagnese@gmail.com

 

Per approfondire a proposito di Ridefinire Il Gioiello:

Qui trovate il sito del progetto Ridefinire il Gioiello, qui la pagina Facebook e qui Twitter.

Oltre ad aver partecipato a Ridefinire il Gioiello edizione 2016-2017, Agnese Taverna è stata selezionata anche per l’edizione speciale Dolci Conversazioni della quale ho raccontato qui.

Edizione 2016/2017 – qui trovate il mio articolo su Alba Folcio, la mia premiata; qui quello sulla partenza del progetto con le tappe principali e qui quello sulla pubblicazione del bando di concorso.
Edizione 2015 – qui trovate il mio articolo su Loana Palmas, la mia prima premiata; qui quello su Alessandra Pasini, la mia seconda premiata; qui quello su Chiara Lucato, la mia terza premiata; qui trovate il mio articolo sulla serata di inaugurazione e qui quello sulla pubblicazione del bando di concorso. Qui, infine, trovate il mio articolo su un ulteriore incontro tenuto sempre nell’ambito delle tappe dell’edizione 2015.
Edizione 2014 – qui trovate il mio articolo sulla manifestazione 2014; qui quello su Alessandra Vitali, la designer che ho scelto di premiare.

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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