Milano Fashion Week: Alberto Zambelli SS 2015

Sono profondamente convinta del fatto che possedere talento sia un dono innato che fa parte del nostro patrimonio genetico. Credo anche che tutti nasciamo con uno o più talenti, in quanto esistono moltissime forme e moltissime declinazioni di quella che possiamo considerare una straordinaria ricchezza.

Avere talento non è dunque un merito, così come non è un demerito non averne: il merito subentra nell’essere capaci di riconoscere quale sia il nostro talento, sta nel seguirlo, nel coltivarlo, nel fidarsi di lui e di dove può condurci.

Già, perché se è vero che avere talento è un dono, è altrettanto vero che esso richiede devozione, sacrificio, impegno per crescere e svilupparsi. È come una fiamma che ha bisogno di essere alimentata per restare accesa, è come un diamante grezzo che ha bisogno di essere lavorato per brillare, è come una pianta che ha bisogno di essere curata per fiorire: nulla è gratuito, nemmeno il talento, ed è qui che fa capolino il merito, ovvero la nostra capacità di gestirlo.

Il talento deve essere rispettato: sprecarlo è un peccato, è uno schiaffo al destino, perché rientra tra le cose che – per fortuna – non si possono né vendere né comprare.

E non si trasmette neanche per osmosi: ne so qualcosa io che, pur frequentando molte persone di talento, non sono mai stata contagiata dalla loro bravura e dal loro genio – purtroppo! C’è però da dire che, se ci si affianca al talento non con invidia bensì con gioia e curiosità sincere, allora in un certo senso sì, è contagioso, esattamente come lo sono tutte le cose positive e un po’ ci ricopre col suo mantello luccicante.

Tra le tante persone di talento che ho incontrato, Alberto Zambelli mi ha sempre impressionata per quello che reputo un dono genuino, molto spontaneo e poco costruito. Non sto affermando che lo stilista non abbia lavorato e che non lavori duramente: sto dicendo che la sensazione che trasmette è che il suo sia un talento nato già forte che lui riesce ad assecondare con estrema naturalezza.

A mio avviso, infatti, il rischio che si corre nel coltivare un talento è quello di esagerare, di sfociare in un manierismo artificioso e innaturale oppure nell’imitazione di modelli già esistenti: imprigionare quella fiamma, lavorare grossolanamente quel diamante, potare in modo sgraziato quella pianta. Il risultato? Si perde in spontaneità attraverso un esercizio troppo disciplinato: il talento si spreca anche così. Un pizzico di sregolatezza non guasta mai: mi rattrista vedere il genio che si piega alla necessità del dover piacere a tutti.

È un equilibrio difficile, insomma, e a me sembra che Alberto Zambelli stia riuscendo a mantenerlo molto bene.

Dopo aver frequentato il prestigioso Istituto Marangoni di Milano, Alberto ha iniziato il suo percorso lavorativo sviluppando le collezioni maglieria del gruppo Ittierre per le linee D&G, Versace ed Extè: nel 2007 ha vinto il concorso Fashion Incubator indetto dalla CNMI – Camera Nazionale della Moda Italiana e nel 2013 ha fondato il suo brand omonimo che si è distinto da subito per le linee pulite ed architettoniche, per il rigore sartoriale, per l’utilizzo di materiali nobili e per i dettagli preziosi.

Un bel ritratto di Alberto Zambelli
Un bel ritratto di Alberto Zambelli

Ricordo perfettamente l’emozione che provai la prima volta in cui vidi le sue creazioni: entrare nel giardino dell’Hotel Sheraton Diana Majestic a Milano e trovare le modelle da lui vestite fu come entrare in una favola, in una sintonia ideale.

E cosa dire della successiva presentazione a Palazzo Clerici? Ancora una volta, i suoi abiti risultarono perfetti per la magia della Sala degli Specchi.

Creare sintonia e magia, creare attimi sospesi e perfetti non è da tutti: ecco cosa è capace di fare il talento.

Mi ha dato grande gioia assistere al passo successivo del percorso di Alberto: lo scorso 22 settembre, dopo le due precedenti presentazioni, sono stata invitata alla prima sfilata dello stilista. La sfilata ha avuto luogo nella sala che si trova in cima allo Scalone dell’Arengario, un altro luogo incredibile situato in piazza Duomo, nel cuore di Milano.

Questo debutto in passerella è stato reso possibile grazie a un ennesimo progetto di supporto al talento (il N.U.DE, acronimo di New Upcoming Designers) portato avanti dalla Camera Nazionale della Moda Italiana con l’intento di promuovere e far conoscere i giovani stilisti.

Per la collezione dedicata alla primavera / estate 2015, Alberto Zambelli ha deciso di rivisitare la Pop Art nei volumi, nelle superfici e nei grafismi: la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 si alternano tra vitali geometrie e l’abituale pulizia di linee, producendo un’ironica ed elegante femminilità.

Il tema principale dell’intera collezione è la contaminazione culturale fra Oriente e Occidente che viene espressa – ancora una volta – attraverso materiali preziosi.

Un esempio è l’uso dei tessuti dévoré: questa lavorazione deve il suo nome a un termine francese che significa letteralmente divorato e indica una tecnica di stampa tessile il cui scopo è quello di eliminare (divorare, appunto) una parte del tessuto. Dopo la lavorazione, il fondo risulta trasparente, favorendo la visualizzazione del disegno costituito dalle fibre non divorate: lo stilista fa un uso molto moderno dei tessuti dévoré sposandoli con motivi figurativi quasi grafici, bianchi e neri.

Le sete sembrano liquide grazie ai movimenti dati dai tagli puliti e i tessuti jaquard hanno un effetto optical. Le organze danno idea di impalpabile leggerezza e alcuni capi sono lavorati a cornely, macchine capaci di realizzare ricami unici.

La tavolozza dei colori è pulita ed essenziale quanto lo sono le linee: brillano il latte, il nude, il salmone, il cedro, il viola lavanda e ovviamente il nero.

Come sempre, Alberto Zambelli dedica grande attenzione anche gli accessori.

Le scarpe di sapore maschile, stringate e con plateau alto, portate anche con gli abiti da sera, sono di Paloma Barceló; i gambaletti e i micro-calzini, in nylon trasparente con bordi evidenti, sono firmati Ileana Calze. I miei preferiti? I gambaletti con le figure umane stilizzate, la stessa stampa che si ritrova sull’organza degli abiti, delle gonne, delle camicie.

Sono particolarissimi anche gli occhiali firmati Moa Ottica e rivestiti in un esclusivo Crystal Fabric, un tessuto scintillante ideato da Swarovski, completati da lenti a specchio sfumate e colorate.

Sono tutte collaborazioni non nuove per lo stilista che conferma così l’amore per la qualità e per il gioco di squadra.

“Mi ritengo un esploratore in continua evoluzione – dichiara lo stilista – Attraverso ogni mia collezione amo raccontare una storia che parla di culture opposte che si attraggono e si contaminano.”

Alberto Zambelli non è solo dotato di talento innato, levigato attraverso studio e sacrificio, ma è anche un fine interprete e conoscitore dei tempi moderni: mai come oggi, a mio avviso, la creatività sta nella contaminazione e nel riuscire a far convivere gli opposti.

Manu

 

 

 

Ringrazio la maison e l’ufficio stampa per l’uso delle foto di sfilata

tutte realizzate da Alessandro Lucioni / Imaxtree.com

 

 

 

Per maggiori informazioni e per approfondire:

Qui il sito, qui la pagina Facebook e qui l’account Instagram di Alberto Zambelli

Dove trovare i suoi capi in Italia: da Mauro Grifoni a Milano (via Santo Spirito 17), da Ruggero Abbigliamento a Lonato del Garda in provincia di Brescia (via Marziale Cerutti 11) e da Pasquina Padì ad Acquaviva delle Fonti in provincia di Bari (via Roma 29)

Durante la stessa edizione di Milano Moda Donna, Alberto ha anche partecipato a un’installazione collettiva: qui trovate il mio articolo

Se volete leggere i miei articoli sulle precedenti collezioni di Alberto Zambelli, qui trovate quello sull’autunno / inverno 2014 – 15, qui quello sulla primavera / estate 2014

La sezione New Talents del sito della Camera Nazionale della Moda dove potete trovare anche Alberto Zambelli: qui

 

 

 

 

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Questo articolo è stato scritto mercoledì 7 gennaio 2015, un giorno molto triste per chiunque creda nella libertà di pensiero e di parola, nella libertà di espressione, nella libertà di stampa.
Mi sono chiesta per tutto il giorno cosa fare.
Tacere.
Parlare.
Interrompere o continuare il mio lavoro.
Alla fine ho deciso: si continua. Perché sebbene sia vero che non salvo l’esistenza di nessuno e che mai un mio articolo farà la differenza su questioni di vita o di morte, sebbene io mi occupi di cose spesso considerate futili, è altrettanto vero che ogni volta in cui rinunciamo a dire la nostra opinione, ogni volta in cui ci ritiriamo in silenzio, qualsiasi sia l’argomento, moriamo un po’: non posso permetterlo, a maggior ragione, ora più che mai.
“Non ho paura delle rappresaglie, preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio”: così aveva detto Stéphane Charbonnier, direttore di Charlie Hebdo, barbaramente trucidato insieme a nove colleghi, vignettisti e giornalisti di una satira senza bavaglio, e a due poliziotti.
Mi inchino davanti a loro e, nella mia infinita piccolezza, con le dovute differenze e proporzioni, con immenso rispetto e con enorme tristezza, vado avanti.
Il presente articolo (nel quale parlo di contaminazione culturale in ambito moda) è il mio umile omaggio a questi uomini e alla libertà di pensiero e di parola, è il mio rifiuto a vivere in ginocchio e ad arrendermi a un mondo senza libertà. Faccio il tutto attraverso il mezzo che mi è più familiare: non ne conosco di migliori per rendere omaggio a coloro i quali credevano nella libertà di ridere di noi stessi e del mondo.

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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