El Tredesìn de Marz: la primavera a Milano riscopre tradizione e leggenda

L’aspetto ogni anno con impazienza prestando attenzione a tutti i piccoli segnali che preannunciano il suo arrivo.
Non mi riferisco a una persona, bensì alla primavera: amo e aspetto talmente tanto questa stagione che lo scorso anno le ho perfino dedicato diversi post qui sul blog.
Sono andata a rileggerli e in uno di essi ho trovato un brano che desidero riportare qui: perdonatemi se mi cito e se mi ripeto, ma sono parole che dipingono bene il mio stato d’animo, oggi come allora.
E non mi importa se Google mi penalizzerà per aver duplicato un (mio!) testo: esistono cose che mi stanno decisamente più a cuore dell’indicizzazione e del posizionamento sui motori di ricerca.

Sono sempre stata un’estimatrice della bella stagione, così come ho sempre detestato il freddo e lungo inverno.
Ogni anno, quando iniziano i primi sentori di primavera, vivo puntualmente le stesse sensazioni: sento scorrere linfa nuova nelle vene e posso finalmente togliermi di dosso un’immaginaria e pesante coltre di torpore.
È come se, durante l’inverno, io congelassi una parte di me in una sorta di letargo per concentrare tutte le risorse verso lo sforzo di sopravvivere: terminata quella che per me è una vera e propria emergenza, le energie mentali e le emozioni tornano a fluire liberamente.
Quando andavo a scuola, sebbene fossi un’alunna piuttosto diligente, l’inizio della bella stagione coincideva con una certa insofferenza a stare chiusa fra quattro mura, costretta su banchi che improvvisamente diventavano stretti: ricordo anche che pregavo mamma affinché facesse il cambio dell’armadio consentendomi di indossare le gonne più leggere, il blazer blu coi bottoni dorati, i mocassini.
Non sono cambiata poi molto da allora e, ancora oggi, il tepore primaverile continua a darmi quella sensazione di solletico dei sensi che mi rende quasi insopportabile l’abituale routine e mi fa venire voglia di spazi liberi e di orizzonti più ampi: mi viene voglia di scappare dal traffico congestionato, dal cemento, dagli angoli di cielo ritagliati tra un palazzo e l’altro.

Così scrivevo a maggio dello scorso anno.
Quest’anno, non è ancora arrivato quel momento in cui, varcando il portone di casa, mi accorgo che l’aria è finalmente cambiata; non è ancora arrivata quella mattina in cui le mie narici si riempiono d’un tratto e a sorpresa di un odore diverso, più leggero e sottile, quell’odore al quale non so dare un nome. È semplicemente l’odore che, per me, segnala l’arrivo della primavera.
Non c’è un giorno preciso in cui ciò capita né è sempre lo stesso, perché le stagioni arrivano realmente – o finiscono – non sempre come è formalmente segnato sul calendario.
Qualcuno penserà magari che quest’anno l’inverno non si è fatto sentire con la solita irruenza: non importa, attendo lo stesso la primavera e non vedo l’ora di annusarla come se fossi una bestiolina che si risveglia dopo il lungo letargo.

Con gioia, dunque, vi parlo di una serie di eventi che si svolgeranno a Milano, la mia città: l’associazione culturale verdeFestival ha organizzato quattro appuntamenti che compongono la rassegna Primavera di verdeFestival e che sono stati pensati per dare il benvenuto alla bella stagione. Leggi tutto

A Milano c’è un giardino incantato

La foto ufficiale della mostra – ph. credit Davide Cappelletti

“Che cosa c’è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo.”
In molti l’avranno già riconosciuta: è una delle frasi che William Shakespeare fa dire a Giulietta nel secondo atto della sua tragedia più famosa.
Queste parole hanno sempre colpito la mia fantasia e mi sono tornate in mente quando il mio amico Pierangelo Tomaselli mi ha sottoposto un progetto nato dalla sua collaborazione col fotografo Davide Cappelletti.
Si tratta di una mostra che racconta lo scorrere del tempo in un giardino incantato: attraverso oltre 100 foto scattate con molta pazienza nell’arco di sei mesi, sono state create delle sequenze che mostrano la vita dei fiori in momenti differenti per orario, stagione e condizioni atmosferiche.
È il tempo, quindi, il filo conduttore, il tempo come artefice del divenire e come forza trasformatrice capace di agire sui fiori, autentici protagonisti che vengono ritratti dal miracolo dello sbocciare fino alla poesia dolcemente malinconica del loro appassire.
Davide Cappelletti, milanese, classe 1971, non scatta semplici fotografie: parla attraverso la luce e i colori e lo fa mettendoci anima e cuore. Nei suoi lavori, si ispira ai primissimi fotografi e alla loro visione: essi si riproponevano di dare alla fotografia quella manualità e quel senso estetico tali da elevarla allo status di opera d’arte al pari di pittura e scultura. (Piccolo inciso: guardate la foto qui sopra… Secondo me, Davide riesce magnificamente a raggiungere il suo intento.)
Il progetto nasce dal peregrinare di Davide e Pierangelo, entrambi cittadini del quartiere Rogoredo di Milano: nelle loro passeggiate alla scoperta di nuovi percorsi, si sono imbattuti in un orto tra altri orti, ma che da essi emergeva. Coltivato a fiori più che a ortaggi, ai due è sembrato uno spettacolo di forme e colori differenti ad ogni visita: è stato per loro impossibile non soffermarsi ad osservare e catturare attimi unici.
Conosciuto il giardiniere e ottenuto il libero accesso al giardino, hanno coinvolto altre persone nel progetto che stava prendendo forma nelle loro teste: le fotografie sono andate aumentando e l’energia è dilagata. Pur con tanti sforzi e con pochi mezzi, l’idea è diventata sempre più concreta e oggi è una mostra.
Attraverso il racconto della vita nel giardino, le immagini mirano a comunicare la magia di un angolo di quartiere che cela inattese sorprese accompagnate anche dal racconto “Il giardino incantato” scritto da Daniela Troncacci. “Tra i rami di cespugli rigogliosi, occhi curiosi scrutano, al di là dell’ombra delle fronde, e scorgono la magia di un ameno angolo di mondo, dove qualcosa di straordinario, eppure antico, accade ancora”: così scrive Daniela in un brano del suo racconto che dà anche cenni sul linguaggio dei fiori.
Visto che la Natura ci insegna che nulla finisce e tutto ricomincia, così anche “Il giardino incantato” può essere ovunque: questo è il primo passo di un allestimento che gli organizzatori si ripropongono di portare fuori dal quartiere Rogoredo.
Intanto, se siete a Milano in questi giorni, non perdete la prima tappa: io non mancherò, portando nel cuore i versi shakespeariani che mi sono cari.

Manu

Mostra fotografica “Il giardino e il suo tempo – Forme e colori”
Spazio Socio Culturale Coop, via Freiköfel 7, Milano (quartiere Rogoredo)
Dal 10 al 18 ottobre 2015
Orari di apertura: dal lunedì al venerdì dalle 16 alle 18 | sabato e domenica dalle 10 alle 18
Ingresso libero – mezzi pubblici MM3 Rogoredo oppure autobus 84
La mostra, promossa dall’associazione culturale verdeFestival, gode del patrocinio del Consiglio di Zona 4, del Comune di Milano e di ExpoinCittà

Qui trovate la pagina Facebook della mostra e vi saluto con un regalo: qui potete leggere il racconto “Il giardino incantato” scritto da Daniela Troncacci

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