Bakarà, dalla Sicilia al mio armadio passando per Instagram

Per curiosità personale (caratteristica che mi accompagna da sempre) e per esigenze lavorative, uso il web per informarmi, per studiare e per fare ricerca.

Passo in rassegna centinaia se non migliaia di immagini, vaglio nomi, persone, volti, marchi, prodotti alla ricerca del dettaglio che mi colpisca, che attiri la mia attenzione distinguendosi e catturando il mio cuore.

Sono talmente abituata a fare questo vaglio ed è cosa talmente naturale che a volte non smetto nemmeno nei momenti di relax, magari alla sera, sul divano, iPad alla mano.

Una delle risorse che preferisco utilizzare per condurre tali ricerche è Instagram e lo è per due motivi: se vedo qualcosa che mi piace ho l’opportunità di entrare in contatto veloce e diretto col marchio che mi interessa; è uno strumento sufficientemente democratico, nel senso che si trovano account con milioni di follower così come piccoli account con pochi seguaci e, magari, cose splendide. Tutti possono aprire un account su Instagram, tutti possono farne la propria vetrina: è facile e immediato e si può incontrare chi, come me, usa questo social come un mare nel quale fare una buona pesca (e questo è un suggerimento affettuoso che mi permetto di dare a tutti i creativi che stanno leggendo).

A volte, dunque, finisco con il contattare chi suscita il mio interesse e lo faccio – diciamo così – in via ufficiale, presentandomi e raccontando del mio lavoro da editor; a volte, invece, procedo in incognito, segretamente e silenziosamente.

Perché? Non esiste un criterio preciso e sempre valido, diciamo che entrambi i casi possono dipendere da un mix di motivi: questione di naso, sensazioni, gusto personale, umore del momento, tempo a disposizione e via discorrendo.

A volte faccio dei test o degli esperimenti, lo confesso, e, visto che non sono certa al 100% circa il buon esito, preferisco agire con molta discrezione. Oppure, molto semplicemente, vedo una cosa, me ne innamoro e decido di tenerla per me. Egoista? Forse, ma neanche una editor pur molto appassionata, in fondo, può sempre privilegiare l’aspetto lavorativo. Giusto?

Può capitare che questi test abbiano un esito particolarmente positivo; un oggetto acquistato inizialmente per scopi squisitamente personali mi entusiasma in modo tale da fare riaffiorare l’attitudine alla notizia solo momentaneamente (ed egoisticamente) messa a riposo.

E allora mi dico “no, non posso tenerlo solo per me” e vince la voglia di condividere bellezza e talento, di dare una mano a chi lo merita.

Ecco, questo è esattamente ciò che è successo quando ho incontrato (proprio su Instagram) le borse di Bakarà, brand nato dall’estro di due giovanissime sorelle siciliane, precisamente palermitane.

Se leggendo Bakarà vi è subito venuto in mente il (quasi) omonimo gioco da casinò (baccarà o baccarat), preciso subito che qui l’unica scommessa è quella di Federica (laureata in economia) e Roberta (studentessa di moda e comunicazione a Londra) che di cognome fanno Garofalo e che hanno deciso di realizzare il loro sogno nel cassetto: fare moda e lavorare insieme.

Federica e Roberta Garofalo
Federica e Roberta Garofalo

Tutto è iniziato nel 2012 nell’azienda di famiglia che si occupa di produzione di abbigliamento da lavoro personalizzato nonché di gadget per eventi: durante un pomeriggio in cui erano immerse nei tessuti, Federica e Roberta hanno trovato una cartella colori accattivante in un materiale particolare. Si sono guardate con un lampo d’intesa e hanno deciso di provarci, di provare a inventare delle borse.

Avrete notato che, negli ultimi anni, c’è stato un autentico boom del neoprene e oggi diversi brand propongono borse in questo materiale: Bakarà lavora con l’Airtex, un morbido poliestere la cui trama ha un particolare effetto tridimensionale. Tra le innumerevoli caratteristiche, questo tessuto ad alto contenuto tecnico ha la particolarità di risultare estremamente leggero e resistente; inoltre è traspirante, si può stropicciare e si può anche lavare senza che si rovini.

Rivelando spirito d’iniziativa e determinazione (da quel pomeriggio sono passati diversi mesi spesi in un lungo studio fatto di prototipi e analisi di mercato), le due sorelle hanno dato il via a un progetto che si rivolge a chi ha voglia di borse dal taglio minimal, senza fronzoli né esagerazioni.

Sono nate shopping bag, buste e un modello chiamato Kubie che – com’è piuttosto facile intuire dal nome – ha la forma di un cubo dotato di doppi manici da polso e ganci nascosti per attaccare la tracolla. La tracolla è applicabile anche alle buste.

Oltre al materiale, un altro punto di forza delle loro creazioni è il colore: ogni modello è infatti declinato in una palette accattivante. Le finiture, tra cui i manici e i bordi delle shopper, sono in similpelle di origine rigorosamente non animale (scelta volontaria in un’ottica etica e sostenibile), declinata nel colore nero; per garantire la forma e la rigidità, la struttura delle Kubie è in similpelle accoppiata con l’Airtex.

Lo stile che ne risulta è un mix tra anima casual e chic: le borse sono vivaci e sbarazzine, adatte a far compagnia a donne di tutte le età e adatte a essere indossate dal mattino alla sera, soprattutto nel caso delle shopping bag, perfette per riporvi tutto il nostro piccolo mondo, così come piace fare a noi donne. E pensando a una borsa da usare tutto il giorno, il fatto di usare un materiale leggero e traspirante diventa un gran vantaggio.

Le Bakarà Bag sono insomma un ottimo esempio di come talvolta le idee vincenti sono quelle semplici e comode, con pochi dettagli ben studiati (un altro esempio è la catena nera decorativa presente sulle shopper): aggiungete inoltre che le creazioni sono interamente Made in Italy e che sono personalizzabili.

La personalizzazione consiste nella possibilità di avere la borsa ornata da due caratteri (2 lettere, 2 numeri, 1 lettera + 1 numero) oppure da una breve parola tra le 4 e le 8 lettere: nel primo caso, la personalizzazione può essere ricamata, stampata o stampata a rilievo; nel secondo caso, la parola può essere stampata o stampata a rilievo.

La produzione Bakarà è gestita completamente all’interno con i sarti e i ricamatori dell’azienda di famiglia: Federica e Roberta creano il disegno, dall’idea al perfezionamento, dopodiché, grazie alla stretta collaborazione con i professionisti citati, tutti gli eventuali errori di progettazione vengono minuziosamente studiati e corretti.

Le proposte Bakarà: le shopping bag (e i dettagli delle finiture e dei materiali), le Kubie e le buste
Le proposte Bakarà: le shopping bag (e i dettagli delle finiture e dei materiali), le Kubie e le buste

Essendo due giovani donne abituate a un linguaggio attuale e a mezzi moderni, Federica e Roberta hanno scelto di distribuire le loro borse attraverso un e-commerce che permette al loro giovane brand di raggiungere tutta l’Italia: non mancano comunque diversi negozi offline che hanno già dato la loro fiducia. Qualche Bakarà è andata anche all’estero, per esempio in Portogallo, in Inghilterra e ad Abu Dhabi.

Insomma, Bakarà è un progetto ambizioso e desideroso di diventare grande: Federica e Roberta hanno le idee chiare e sul sito dichiarano “Ci ispiriamo a noi stesse perché crediamo che sia l’unico modo per essere originali senza bisogno di assomigliare ad altri”. Lo credo anch’io e trovo che sia un concetto tutt’altro che presuntuoso: lo trovo molto coraggioso, perché a mio avviso è invece l’omologazione a essere la strada più ovvia, semplice e banale.

Ma, a questo punto, vengo al mio esperimento e alla mia personale esperienza con il brand.

Avevo voglia di una shopping bag pratica ma non banale e, appena ho visto quelle di Bakarà, sono stata incuriosita anche dal materiale.

Poi, ho iniziato a pensare alla personalizzazione.

Ho pensato che avrei potuto far stampare o ricamare le mie iniziali, oppure che avrei magari potuto far stampare il mio nome. So che qualcuno starà inorridendo e starà pensando a una botta di egocentrismo: molto probabilmente lo è, non lo nego, tuttavia desidero fare una riflessione.

Perché accettiamo di portare i loghi e i nomi altrui in bella vista, magari come stampa allover a coprire un’intera borsa, e ci fermiamo invece davanti all’idea di portare in giro il nostro nome? Perché far scrivere il proprio nome appare esagerato, sfacciato e megalomane, mentre è normale essere veicolo pubblicitario di un marchio? (Sia ben chiaro, non sto criticando nessuno e ribadisco che è solo una riflessione che mi piace condividere: io per prima ho borse di brand celebri che mettono il marchio in bella vista.)

Alla fine ho deciso: ho fatto incidere il mio nome, anzi il nomignolo con il quale mi chiamano tutti e con il quale mi firmo anche qui – ovvero Manu; visto che la cosa è abbastanza egocentrica, torno ad ammetterlo, per bilanciare la scelta ardita ho puntato su un colore discreto, un elegante tortora.

Fare l’ordine sul sito è stato estremamente semplice, personalizzazione inclusa: l’e-commerce è chiaro e funziona bene, la spedizione è gratuita.

La mia borsa è stata preparata nel giro di una settimana: sono molto soddisfatta perché il materiale è davvero morbido, la similpelle è di buona qualità, tutti i dettagli sono ben curati (cuciture incluse, cosa alla quale presto molta attenzione).

Inoltre, sebbene lo borsa abbia un aspetto robusto e resistente, è al tempo stesso leggera, dettaglio niente affatto trascurabile: soprattutto quando le borse offrono una buona capienza, la leggerezza è essenziale perché a pesare (notevolmente, in alcuni casi) è poi il contenuto.

Mercoledì scorso, ho portato la mia Bakarà in giro per la prima volta e vi dirò una cosa: una mia cara amica, persona molto elegante e dai gusti tutt’altro che vistosi, l’ha molto apprezzata e si è segnata il nome del brand. Non si è scandalizzata nemmeno davanti alla personalizzazione, segno che il mio ragionamento a proposito di loghi e nomi non è forse così strampalato.

Direi che, tornando all’assonanza con il gioco, Bakarà non risulta essere un azzardo, bensì una scommessa riuscita e ben ponderata.

A proposito del nome: vi svelo il piccolo segreto che contiene. Se si tolgono le A, rimane la B di borsa, la K di Kika ovvero il soprannome di Federica e la R di Roberta: le ragazze volevano un nome che avesse un significato tutto loro. Penso che ci siano riuscite.

Per tutti questi motivi ho deciso di non tenere l’esperimento per me ma di condividerlo.

Bakarà è uno di quei casi in cui sarebbe stato un peccato tacere, perché con questo post posso sostenere il Made in Italy, il coraggio di un’idea e il lavoro di due giovanissime che hanno talento e che vogliono costruire la loro strada. Per inciso: le borse costituiscono il nucleo centrale dell’attività, ma c’è anche una linea mare e una collezione di t-shirt.

Insomma, il tempo passato su Instagram non è stato inutile. Non con loro.

Manu

 

 

 

 

Per maggiori informazioni e per approfondire:

Qui trovate il sito di Bakarà (completo di e-commerce), qui la pagina Facebook e qui l’account Instagram.

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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