Belle scoperte che amo condividere: il Museo dell’Arte della Lana di Stia

Dalla pagina Facebook del Museo dell’Arte della Lana di Stia (AR)

Mi sto appasssionando sempre più a un fenomeno che reputo molto interessante: quello dei musei d’impresa.

Che cosa si intende con questa espressione?

Prima di tutto, va sottolineato che essa mette insieme due realtà – il museo e l’impresa – che, finora, sono stati comprensibilmente distanti nell’immaginario comune: si tratta di rendere disponibili e accessibili a tutti archivi, documenti, materiali, oggetti, prodotti, macchinari che raccontano la storia dell’impresa e dei suoi protagonisti.

Forti della loro storia, tante imprese italiane (grandi, medie e piccole) stanno decidendo di investire nella valorizzazione del proprio patrimonio industriale, mettendolo a disposizione della collettività e andando a costruire un ponte sospeso tra passato e futuro, un ponte che unisce persone, lavoro, cultura, tradizione e innovazione.

Molti musei di impresa ruotano attorno al Novecento, un passato che è già storia ma storia recente, tanto che la memoria si salda all’esperienza viva e, spesso, alla viva testimonianza di persone ancora presenti.

Ho avuto l’opportunità di scoprirne e visitarne due e, per entrambi, ho condiviso la mia esperienza attraverso il blog: mi riferisco alla splendida Galleria Campari di Milano (precisamente di Sesto San Giovanni) e a un luogo incantevole che si chiama Petit Écho de la Mode e si trova a Châtelaudren, cittadina situata nel dipartimento della Côtes-d’Armor in Bretagna, Francia.

Nata nel 2010 grazie al progetto di riqualificazione dello stabilimento storico originario, la Galleria Campari è un museo aziendale, interattivo e multimediale, che ospita mostre e iniziative volte a esplorare le diverse intersezioni tra il marchio Campari e ambiti quali l’arte, il design e la moda: vi sono stata varia volte e ne ho parlato qui, a proposito di una mostra, e qui, a proposito della proiezione di un film-documentario.

Inaugurato nel 2015, Le Petit Écho de la Mode era un tempo la sede dell’omonimo giornale: grazie a un’opera di ristrutturazione molto intelligente e molto ben condotta, è oggi un centro culturale polivalente che ruota attorno alla storia e alla tradizione di quella rivista. Ospita mostre ed eventi e consente la consultazione dell’archivio: l’ho visitato lo scorso agosto in occasione di un viaggio in Bretagna e ho condiviso tutti i dettagli qui.

Nell’ottica di due mie grandi passioni (quella per la condivisione di tutto ciò che profuma di bellezza e cultura e quella per il mio Paese, l’Italia), desidero oggi condividere la scoperta di un altro bellissimo museo d’impresa: lo scorso novembre, grazie a una cara amica di nome Loredana, ho potuto visitare il Museo dell’Arte della Lana situato nel complesso del Lanificio di Stia, in Casentino.

Il Casentino è per me una delle zone più belle della Toscana: è una delle quattro vallate principali della provincia di Arezzo ed è quella in cui scorre il primo tratto del fiume Arno.

Oltre alle meraviglie naturali, architettoniche e gastronomiche, questa zona offre al mondo un’altra eccellenza: il panno casentino, tipico tessuto di lana la cui tradizione è testimoniata sin dalle epoche etrusca e romana.

Si tratta di un tessuto che viene sottoposto a diversi processi tecnici, follato (ovvero infeltrito) per renderlo impermeabile e garzato per ottenere un lato peloso e renderlo così morbido e soffice: la garzatura aumenta anche la quantità di aria trattenuta, aumentando le proprietà di isolamento termico del tessuto ma garantendo la traspirazione. Arriva infine l’operazione di rifinitura che si chiama ratinatura e che conferisce al tessuto precedentemente garzato una superficie riccioluta sul diritto.

Con il panno casentino si fanno bellissimi capi invernali, dai cappotti ai giacconi passando per i cappelli, declinati in colori che comprendono i classici colori verde (bandiera) e arancio (becco d’oca) e poi giallo, rosso, viola e molte altre tinte vivaci che vengono valorizzate ed esaltate proprio dall’aspetto riccioluto.

Il panno casentino è strettamente legato a questo complesso industriale: tra il 1916 e il 1918 veniva prodotto all’interno del Lanificio di Stia dove è documentata la presenza di una macchina di produzione tedesca, ovvero una ratinatrice che oggi, restaurata, è esposta all’interno del Museo.

(Qui sotto: album 10 foto, sfogliabile con le frecce laterali)

 

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Come ho già detto, il Museo dell’Arte della Lana è situato nel complesso del Lanificio di Stia, restaurato dopo decenni di abbandono: mirabile esempio di archeologia industriale, l’edificio ha ripreso oggi vita non più come luogo di produzione, ma come centro di diffusione della cultura tessile del Casentino, per lasciare memoria di questa antichissima tradizione, ma anche per mettere di nuovo a disposizione della comunità l’edificio dove generazioni di abitanti di Stia hanno lavorato – esattamente quel tipo di ottica che appartiene ai musei d’impresa.

La produzione laniera ha accompagnato lo sviluppo e la crescita di Stia attraverso i secoli: il suono della campana e il fischio della sirena scandivano il tempo non solo per i lavoratori, ma per tutti gli abitanti del paese e, finché ha continuato a echeggiare nella vallata, la sirena è stata garanzia di un lavoro sicuro per gli abitanti del paese che potevano permettersi un tenore di vita superiore rispetto a quello degli altri paesi del Casentino.

Nei primi decenni del Novecento, il Lanificio era infatti una delle principali realtà tessili italiane e il complesso ha una notevole rilevanza architettonica: ha una superficie utile di circa 23.000 mq ed è composto da vari edifici costruiti tra il XVIII e il XX secolo.

La prima Società di Lanificio di Stia fu costituita nel 1852, quando già da alcuni decenni si era sviluppata una moderna attività imprenditoriale organizzata in modo tale da concentrare in un unico stabilimento le varie fasi della lavorazione della lana.

Nei primi Anni Sessanta dell’Ottocento, il Lanificio occupava circa 140 operai e si ricorda come il primo in Toscana a impiegare macchinari importati dall’estero: tra il 1862 e il 1888, sotto la direzione di Adamo Ricci, fu completata la meccanizzazione di tutto il processo produttivo e razionalizzato il complesso degli stabilimenti.

Dalla fine dell’Ottocento, la famiglia Lombard divenne proprietaria del Lanificio e ne affidò la direzione al veneto Giovanni Sartori che ammodernò la fabbrica, portandola ai livelli dei più importanti lanifici italiani; si adoperò inoltre per creare una concreta copertura previdenziale a favore di tutti i lavoratori in difficoltà.

Con la direzione di Sartori, il Lanificio giunse all’apice del suo prestigio – lo dimostra il fatto di essere fornitore ufficiale di Casa Savoia – e al più alto livello di occupazione.

Alla fine del primo conflitto mondiale, gli operai impiegati erano 500, i telai circa 136 e la produzione era di oltre 700.000 metri di stoffa: in seguito alla crisi iniziata negli Anni Sessanta, il Lanificio fallì nel 1985 e chiuse definitivamente nel 2000.

Pier Luigi della Bordella, uomo di grande cultura generale e specifica nel campo tessile, appassionato ricercatore di storia locale, ha studiato e ricostruito la vicenda storica del Lanificio di Stia e dell’industria laniera in Toscana: frutto delle sue ricerche è il volume L’Arte della Lana in Casentino, fondamentale fonte di informazione per tutto ciò che è raccontato nel Museo dove sono esposti molti documenti della sua preziosa e unica collezione.

Allo stesso tempo, Bordella ha operato con intelligente determinazione per creare a Stia un museo sulla storia del tessile e un centro studi e incontri a esso collegato.

(Qui sotto: album 4 foto, sfogliabile con le frecce laterali)

 

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Il primo nucleo del Museo viene realizzato a partire dal 1996, con la mostra temporanea Sul Filo della Lana, da Pier Luigi della Bordella e da Gabriele Grisolini, ex dipendente del Lanificio e fondatore dell’azienda Tessilnova: sono stati esposti documenti, foto d’epoca e oggetti da loro raccolti e appartenuti al Lanificio, dando poi vita alla Mostra Documentaria sullo Storico Lanificio di Stia, allestita provvisoriamente in alcuni spazi di proprietà Grisolini.

Per trovare una sede stabile e ampia per il museo, nasce l’idea di recuperare il complesso di edifici ormai dismessi che costituivano il Lanificio e Pier Luigi della Bordella si adopera affinché quest’ultimo torni di proprietà della famiglia Lombard.

Simonetta Lombard ha aderito con entusiasmo all’iniziativa e ha acquistato nuovamente gli edifici costituendo una Fondazione per lasciare un segno duraturo dell’opera della sua famiglia e, in particolare, del padre Luigi.

La Fondazione ha elaborato un progetto di ristrutturazione per la realizzazione di un centro di diffusione della cultura tessile: tale progetto si è concretizzato nel 2010 con l’apertura del Museo dell’Arte della Lana.

La visita del Museo dell’Arte della Lana di Stia si articola in cinque sezioni (Un’arte antica quanto l’uomo, La natura e le fibre, L’Arte della Lana ovvero le fasi della lavorazione artigianale della lana, Il Lanificio di Stia, La fasi della lavorazione industriale della lana): ne risulta un cammino nella storia dell’arte della lana, dai primordi della civiltà umana fino alla Rivoluzione Industriale, passando poi per l’età d’oro del Lanificio di Stia.

Il percorso espositivo è una vera e propria esperienza sensoriale che consente di toccare, annusare, ascoltare, imparare, provando in prima persona la manualità di alcuni gesti propri dell’arte della lana: all’interno delle sale che ospitavano in passato i cicli produttivi delle lavorazioni tessili, i visitatori possono ancora riconoscere l’odore degli oli per la lubrificazione della lana per la cardatura, quelli intensi dei filati e dei tessuti appena tinti o quelli metallici e acuti dei macchinari tessili e, con un po’ d’immaginazione, si può riuscire anche a percepire le essenze del lavoro e della fatica che sono ancora attaccate alle pareti.

Per far riascoltare ai visitatori gli assordanti rumori che rimbombavano negli stanzoni durante le lavorazioni, sono stati creati dei percorsi sonori che ridanno voce ai vari macchinari.

Anche il tatto è fondamentale per comprendere pienamente le lavorazioni tessili e le qualità di una stoffa: in collaborazione con l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti sono stati realizzati dei percorsi tattili utilissimi per tutti i visitatori.

Complementari al percorso museale, infine, sono i laboratori didattici.

Tutte le proposte didattiche del Museo dell’Arte della Lana sono improntate alla sperimentazione per meglio comprendere le fasi di lavorazione della lana: nell’aula didattica sono eseguiti i procedimenti che trasformano il vello della pecora in tessuto.

Il Museo, come lo fu in passato il Lanificio, è insomma luogo delle mani, spazio del fare dove si impara provando; non è un luogo da visitare passivamente, ma una palestra che permette di allenarsi con partecipazione e divertimento.

(Qui sotto: album 10 foto, sfogliabile con le frecce laterali)

 

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Purtroppo, nel 2005, Simonetta Lombard è scomparsa, lasciando la Fondazione sua unica erede: io credo sarebbe felice di vedere com’è oggi il Museo che, oltre a rappresentare la memoria storica dell’attività del Lanificio, è appunto uno spazio vivo.

Gli ampi e luminosi spazi non sono semplicemente un contenitore e offrono una testimonianza ricca di significati per la popolazione locale e non solo. È un luogo significativo per una persona come me, italiana, e per chiunque, come la coppia straniera che era in visita quello stesso giorno: evidentemente, il modello italiano piace, affascina e costituisce tuttora un esempio mirabile e ricco di interesse.

E ritornando al mio discorso iniziale, ovvero quando parlavo di viva memoria e viva testimonianza, vi segnalo che nel sito del Museo dell’Arte della Lana e in particolare nella sezione dedicata alla storia del Lanificio, potete trovare le testimonianze di alcune persone che vi hanno lavorato: ve lo dico, leggendole io mi sono commossa…

Ringrazio la mia preziosa amica Loredana per avermi permesso di conoscere un capitolo così interessante di storia della nostra Bella Italia: a mia volta, oggi, ho voluto condividerlo con chi frequenta questo spazio web.

Con un invito: appena potete, andate a visitarlo.

Manu

 

 

Museo dell’Arte della Lana
Via Sartori, 2
52015 Pratovecchio Stia (AR)
Tel. 0575 582216 – 338 4184121
info@museodellartedellalana.it

Qui trovate il sito web e qui la pagina Facebook

Orari e aperture

Orario estivo = dal 1 giugno al 30 settembre
Orario invernale = dal 1 ottobre al 31 maggio

Martedi – mercoledi – venerdi: 10:00 – 13:00

Giovedì – domenica
10:00 – 13:00 / 16:00 – 19:00 in orario estivo
10:00 – 13:00 / 15:00 – 18:00 in orario invernale

Sabato
16:00 – 19:00 in orario estivo
15:00 – 18:00 in orario invernale

Mese di agosto aperto dal martedi alla domenica nel seguente orario: 10:00 – 13:00 / 16:00 – 19:00

Chiuso: il lunedi, 1 gennaio, domenica e lunedi di Pasqua, 25 aprile, 1 maggio, 15 agosto, 1 novembre, 25-26- 31 dicembre

La biglietteria chiude mezzora prima dell’orario di chiusura

Tariffe

€ 5 intero (dai 18 ai 65 anni, gruppi di almeno 15 visitatori su prenotazione fuori dall’orario di apertura)
€ 3 ridotto (da 6 a 18 anni e oltre i 65 anni; gruppi di almeno 15 visitatori in orario di apertura, soci Touring Club Italiano, insegnanti con Edumuseicard)
Gratuito fino a 6 anni, portatori di handicap con accompagnatore, soci della Società di Mutuo Soccorso tra gli Operai del Lanificio di Stia

Supplemento € 2 visita guidata (almeno 15 visitatori)
Supplemento € 2 laboratorio didattico (almeno 15 visitatori)

Le visite guidate e i laboratori didattici vengono effettuati solo su prenotazione

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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