Editori, pagamenti, promesse: qualche retroscena

Un post così, qui su A glittering woman, non l’avete mai letto, nemmeno quando me la sono presa con i sorrisetti ironici verso la moda.
Sarà che oggi è il 14 luglio e questa è la mia piccola presa della Bastiglia.
Chi è riuscito a farmi perdere la pazienza, nonostante io predichi di solito positività, ottimismo e potere della costruttività? Ora ve lo svelo: vi espongo la mia personale visione del perché l’informazione (o almeno quella in campo moda, la dimensione che conosco e che posso testimoniare) qui da noi in Italia è messa maluccio.
Davanti a certi testi poco curati, frettolosi, poveri di passione e ricchi di refusi e imprecisioni, mi sono sempre chiesta perché. Ora, da redattrice, credo di saperlo: perché esistono editori i quali pagano poco e male chi scrive e questo abbassa la qualità. Furetti da sottobosco, li ha definiti qualcuno: espressione quanto mai azzeccata per questi editori che credono di essere dei gran furbi.
Attenzione, non voglio generalizzare: preciso che si tratta di alcuni editori e lo sottolineo con forza. Alcuni sono così – non tutti, per fortuna.
Ogni riferimento è puramente casuale: si dice così, no? Forse sto parlando di cose capitate a me, forse a qualche caro amico: credo non sia importante.
Il punto è che si lavora e che non si sa se si verrà mai pagati. Nell’ipotesi migliore, ciò avviene a 90 giorni data fattura fine mese: scusate la pignoleria ma il fine mese fa una gran differenza e rende il termine del tutto uguale ai 120 giorni data fattura. Ovviamente parliamo di cifre che fanno piangere. Una miseria. Briciole.
Vi faccio un esempio pratico: se io consegnassi oggi (14 luglio) il pezzo per un mensile che va in stampa e in edicola a inizio agosto, potrei emettere la fattura nel mese di pubblicazione (mettiamo il 5 agosto) ed essere pagata, se tutto va bene, al 30 novembre. Dal 14 luglio al 30 novembre che poi diventa sicuramente inizio se non metà dicembre: più o meno cinque mesi dopo, sì, avete capito bene. Quasi la metà di un anno.
Intanto i giornali vanno in edicola e gli editori tengono pagine Facebook, si danno un’aria patinata, colloquiano coi lettori. E chi scrive, invece, annaspa, per non dire annega.
Ecco, la situazione è questa: sappiatelo quando leggete un articolo e manca un accento o un apostrofo o l’uno è messo al posto dell’altro.

Ovviamente, questo non giustifica lavori fatti in maniera sciatta, mai, sono la prima a essere d’accordo.
Ma siccome troppi editori (non tutti, lo ripeto) pagano (o spesso non pagano) come ho descritto, a scrivere rimangono talvolta solo i disperati. E i disperati fanno quello che possono, spesso arrabattandosi tra troppi micro lavori tutti pessimamente pagati, tanto che a metterli insieme non ci si tira fuori un compenso decente. E comunque non ci si tira mai fuori un rapporto equo tra tempo / fatica investiti e compenso ricevuto.
Insomma, anche se la sciatteria professionale non mi piace, vi dico che – umanamente – posso arrivare a capire.
Questa è la verità, questo è lo stato delle cose. Non chiediamoci perché siamo messi maluccio e perché la cultura sia fuori moda.

Ora, però, faccio una domanda: è questo lo scenario che davvero vogliamo?
E credetemi se vi dico che la cosa che più mi fa arrabbiare non è nemmeno il pagamento a 90 – 120 giorni né i ritardi ulteriori (fatti all’ordine del giorno e che portano in realtà il tutto a 150 – 180 giorni effettivi), ma la mancanza assoluta di chiarezza che spesso e volentieri accompagna queste situazioni.
Voi direte: “bravi scemi che non vi fate fare un contratto e che non prendete accordi prima”. Per carità, avete ragione: anch’io la pensavo così durante i miei lunghi anni da dipendente, ma ora ho scoperto verità che avrei preferito non dover scoprire.
Ho scoperto, per esempio, che i contratti sono spesso chimere ancor più dei promessi pagamenti. L’alternativa? Ribellarsi e quindi non lavorare, tanto c’è la fila di gente che aspetta la grande occasione.

Vedete, qualcuno mi ha detto più volte “stai attenta a ciò che sogni, perché potrebbe avverarsi”.
Ho sospirato per tutto il lato A della mia vita sulle riviste di moda (come racconto nella sezione “Chi sono” del blog), ho sognato di poterci scrivere anch’io, ma non osavo credere che quel sogno potesse avverarsi. E invece è successo, si è avverato e io non ne ho paura, anzi.
Dovrebbe averne, invece, chi tenta di strapparmelo: non vendo il mio sogno, mi dispiace, ne ho troppo rispetto. E a certe cose dico un bel “no” accompagnato da un “grazie”, perché alle grandi occasioni e alla fandonia della visibilità non credo più.
No grazie, perché il mio sogno non merita questo trattamento, perché l’ho accolto senza paura e perché non posso permettermi il lusso di occupare tempo che non so se e quando verrà retribuito.
Dunque io faccio parte di quelli che si ribellano e che – ovvio – rischiano di non lavorare.

Credo capirete, a questo punto, perché tante persone con la passione per la scrittura decidano di aprire un blog, sottoscritta inclusa.
Qui rispondo alla mia coscienza e a voi, amatissimi lettori, senza imposizioni, senza false speranze, senza promesse vuote: sono il direttore responsabile nonché il team di redattori e, sebbene il discorso soldi non cambi più di tanto, ammetto che libertà e dignità non hanno prezzo. Amen.
Ma a voi, cari editori, piacerebbe se io venissi a comprare uno dei vostri giornali e vi dicessi “passo a pagare tra 90 giorni”? Data fattura fine mese, ovviamente.
Rispondo io: no, non vi piacerebbe.
Concludo con un appello accorato ai tanti editori onesti. Questi figuri (gli editori che promettono e non mantengono) rovinano la vostra categoria, esattamente come i cattivi redattori rovinano la mia: coalizziamoci, isoliamoli – gli uni e gli altri, quei redattori e quegli editori – e diciamo no alla mediocrità.
Cultura, passione, professionalità e qualità non possono e non devono morire.

Manu

 

 

P.S. (1): Ho letto che un pioniere del giornalismo, Luigi Barzini, lanciò la spiritosa frase “Piuttosto che lavorare, meglio fare il giornalista”. Chissà cosa penserebbe dello scenario attuale.

P.S. (2): Le vignette di Pat Carra provengono dal web. Mi sono sembrate un accompagnamento perfetto.

P.S. (3): Parlando di editori scorretti (e torno a sottolineare che non tutti sono così), mi sembrano quanto mai di attualità alcuni video circolati recentemente in rete, opera di quei geniacci di Zero Pirate Filmmakers. Avevo già condiviso tali video sulla mia bacheca Facebook, ma rieccoli: facciamoci due risate (un po’ amare, in verità).

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

Rosamaria
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GRAZIE!!!!!!! (maiuscole necessarie)

Manu
Reply

Grazie a te per aver letto, per il commento e per l’entusiasmo 🙂
Capisco che sei d’accordo con me. E temo tu possa essere in una situazione simile, anche se spero di no.
Incrocio le dita per noi – comunque e in ogni caso – e ti saluto con simpatia,
Manu

Sabrina
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Questa volta non ti farò dei “semplici” complimenti, cara Manu. Questa volta devo, mio malgrado, sottoscrivere ogni singola parola e condividere. E speriamo di non dover scrivere a mia volta di questi loschi individui, che sarebbe anche ora di cambiare prospettiva e punto di vista.
Ti abbraccio e ti mando un sorriso
Sabrina

Manu
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Hai proprio ragione, sai, Sabrina carissima?
Sarebbe ora di parlare di argomenti più creativi, più belli, più divertenti, più costruttivi.
Che noia trovarsi tra i piedi le solite facce (diverse ma sempre uguali) ed essere costrette a scrivere di loro, perché ci prudono le mani e picchiettare sulla tastiera, almeno, ci fa sentire vive. E meno impotenti.
Speriamo che ci sia un po’ di pulizia, finalmente, affinché ci si possa occupare di persone e fatti più interessanti, più utili, e non di individui che non avrebbero mai dovuto aprire giornali o che non dovrebbero condurli.
Ti abbraccio anch’io e ti invio il più luminoso dei sorrisi 🙂
Manu

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