A me gli occhi, dal National Geographic agli anelli di Alysha Laurene

Dovete sapere che, tra le mie tante e diverse passioni, nutro da sempre interesse e curiosità nei confronti della scienza e della divulgazione scientifica. Quando nel 1998 nacque la versione italiana di National Geographic, fui una dei primissimi abbonati.
Tra le numerose declinazioni della scienza, mi attrae fortemente la biologia e, in particolare, sono affascinata dal funzionamento del corpo, umano e animale: recentemente, proprio il National Geographic ha catturato il mio interesse grazie a uno splendido articolo firmato da Ed Yong a proposito di occhi e vista.
I cinque sensi sono gli strumenti attraverso i quali esploriamo il mondo e, tra di essi, la vista è per me fondamentale, è il senso su cui faccio più affidamento: sono letteralmente ossessionata dagli occhi e da qualsiasi cosa li riguardi, così ho divorato l’articolo scoprendo moltissime cose, per esempio che, d’istinto, siamo portati a pensare che gli animali vedano come noi.
In realtà, se si va a studiare la loro visione, si scopre che non è così. E d’altra parte, pur avendo tutti quanti lo stesso sistema visivo, noi esseri umani vediamo in modi diversi a causa di fattori che vanno dalla densità di coni e bastoncelli nella retina fino all’integrazione sensoriale del nostro cervello.
Si può insomma affermare che gli occhi siano tra gli organi più diversificati esistenti in natura: il perché di tanta diversità è da ricercare nell’evoluzione nonché nelle più disparate esigenze di ogni singola specie.
Vi faccio qualche esempio tratto dall’articolo.
La sfinge della vite (Deilephila elpenor) ha occhi eccellenti per raccogliere le minime tracce di luce e fanno sì che l’animale possa distinguere i colori dei fiori carichi di nettare anche solo al tenue bagliore delle stelle.
Gli occhi dell’aquila di mare testabianca (Haliaeetus leucocephalus) hanno un potere di risoluzione eccezionale: due volte e mezzo quello degli occhi umani. Hanno retine con due regioni ad alta densità di fotorecettori (noi ne abbiamo una sola) e vedono davanti e di lato contemporaneamente.
La cubomedusa (Tripedalia cystophora) è larga solo 10 millimetri ma ha ben 24 occhi, alcuni semplici sensori di luce, altri dotati di lenti in grado di mettere a fuoco: un contrappeso mantiene l’occhio superiore puntato sempre in alto per individuare cibo e rifugio.
L’occhio sinistro del calamaro Histioteuthis heteropsis è grande il doppio del destro, guarda verso l’alto ed è ideale per individuare prede con la luce che viene da quella direzione: l’occhio più piccolo punta invece in basso, verso l’oscurità, per individuare prede e predatori bioluminescenti.
Il mantello della capasanta Argopecten irradians è cosparso di un centinaio di occhi di uno straordinario azzurro brillante, mentre il record quanto a dimensioni appartiene al calamaro gigante: gli occhi di un Architeuthis dux possono essere grandi fino a 30 centimetri.
Il gatto ha più bastoncelli sensibili a basse intensità di luce rispetto agli esseri umani e pupille a fessura che al buio si dilatano consentendo la caccia notturna: tuttavia, ha meno coni sensibili ai colori e così non distingue tra il rosso e il verde.
Non esiste dunque un occhio perfetto in assoluto e capace di fare tutto al meglio, così come non è detto che gli occhi più semplici siano peggiori o inferiori rispetto a quelli complessi: gli occhi (semplici) delle stelle marine – uno all’estremità di ogni braccio – non possono vedere i colori, i dettagli fini o gli oggetti in rapido movimento, è vero, ma una stella marina non è un’aquila che ha invece bisogno di individuare con precisione e da lontano veloci prede in corsa (e lo fa tramite un occhio complesso e sofisticato). La stella marina deve poter vedere le barriere coralline, immobili porzioni di paesaggio, e i suoi occhi fanno esattamente quello: non le serve nulla di più evoluto.
Il fatto straordinario è che l’evoluzione ha portato ogni essere vivente a essere dotato dell’occhio che, appunto, non è perfetto ma che sicuramente rappresenta la soluzione ottimale per il suo tipo di vita.
E la cosa si spinge fino agli estremi, come dimostrano i caracidi ciechi delle caverne del Messico. Durante il Pleistocene, alcuni di questi pesciolini d’acqua dolce si inoltrarono in caverne profonde: lì, nella totale oscurità, gli occhi erano inutili e i loro discendenti si sono evoluti in pesci ciechi. Ciò è avvenuto perché avere gli occhi e farli funzionare richiede notevole dispendio di energia, in particolare perché i neuroni che trasportano i segnali dai fotorecettori al cervello devono essere sempre pronti a innescarsi: ecco perché ciascun animale non ha occhi migliori di quelli che gli servono e perché le specie che non ne hanno più bisogno li perdono.
Sprecare energia per un sistema sensoriale inutile significa essere a rischio di estinzione: come afferma Ed Yong, gli occhi sono forse la migliore testimonianza dell’infinita creatività nonché della parsimonia (talvolta un po’ spietata) dell’evoluzione.

Spero che anche voi siate affascinati da tutto ciò quanto lo sono io, ma, a questo punto, forse vi state giustamente ponendo un quesito: cosa c’entra tutto ciò con un blog che parla fondamentalmente di moda?
E io ve lo dico: da tempo, tengo d’occhio (è proprio il caso di dirlo!) diversi designer, italiani e stranieri, che creano gioielli che hanno come protagonisti gli occhi.
Sì, avete letto bene, gioielli con occhi in vetro o in resina, e non mi offendo se trovate la cosa un po’ macabra, inquietante o creepy, ovvero raccapricciante, come dicono gli anglosassoni: confesso che a me, invece, diverte e incuriosisce moltissimo.
Confesso anche che le cose bizzarre e inconsuete mi hanno sempre attirata, tant’è che sono un’ammiratrice del cosiddetto cabinet de curiosités o wunderkammer, particolare ambiente in cui, principalmente dal XVI secolo al XVIII secolo, i collezionisti erano soliti conservare raccolte di oggetti straordinari e curiosi per le loro caratteristiche intrinseche.
Penso anche all’usanza di quegli amuleti detti evil eye in vetro blu e bianco che si trovano ovunque in Grecia, Turchia, Egitto, Marocco, una tradizione molto antica.
E così, dopo aver letto l’articolo di Ed Yong e vedendo confermata la mia infinita ammirazione nei confronti dell’occhio, ho deciso di acquistare il mio primo eye ring: ho scelto Alysha Laurene, una creativa che ha il suo negozio su Etsy, marketplace dove persone di tutto il mondo si riuniscono per vendere e comprare articoli fatti a mano e oggetti vintage.
Dopo un intenso scambio di corrispondenza e a seguito di un lungo viaggio, ho ricevuto la scatoletta qui sopra: da Atlanta, in Georgia, U.S.A., a Milano, ecco gli anelli creati da Alysha e racchiusi in un packaging molto speciale pensato per me, con tanto di false dita a indossarli.

Cosa vi posso dire? Io li adoro e li trovo anche molto ironici: quello verde-marrone, tra l’altro, assomiglia molto ai miei occhi.
Credo che, ora che ho iniziato, questi anelli non resteranno soli nella mia collezione. E credo anche che l’ipotetico curatore di un cabinet de curiosités li avrebbe fatti suoi molto volentieri.
E poi, visto che io, da essere umano, ho naturalmente e ovviamente solo due occhi, mentre ho appreso che la capasanta Argopecten irradians ne ha un centinaio… beh, posso averne almeno di finti, alla faccia dell’evoluzione?

(Per inciso: come farò d’ora in poi a mangiare le capesante gratinate pensando a quel centinaio di occhi?)

Manu

 

 

L’articolo di Ed Yong è pubblicato su National Geographic Italia di febbraio 2016: potete trovare alcuni estratti qui e qui e vedere qui il video.

Dove ho comprato i miei anelli: il negozio virtuale Jellymami di Alysha Laurene sul marketplace Etsy. Qui indosso uno dei miei tre anelli.

Chi sto tenendo… d’occhio (!): Stefano Prina (qui la pagina Facebook), Kt Ferris Creations (qui il suo sito e qui la pagina Facebook), RXV Rings (qui il suo sito, qui il negozio su Etsy e qui la sua pagina Facebook).

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

Cristina
Reply

Ho trovato questo articolo molto interessante e originale dal quale traspare la tua incredibile curiosità!
Confesso di non aver mai visto prima anelli vedenti però devo ammettere che ne sono attratta! Mai dire mai
Buona serata Manu
P.S.: spero di non finire anche in questo tunnel

Manu
Reply

Cristina cara,
devo dirti grazie di vero cuore.
Mi fa piacere ciò che scrivi a proposito dell’originalità del post (mi sono divertita molto a scriverlo) e della mia curiosità: sei un’ottima osservatrice.
In effetti, ho sempre rifiutato di chiudermi all’interno di uno schema prestabilito e cerco di alimentare testa e cuore in tanti modi: mi rende felice il fatto che traspaia e arrivi. E poi mi piace il tuo “mai dire mai”: credo che sia la formula alla base di una crescita e di un’evoluzione continue.
Quanto al tunnel… mi sento un po’ in colpa, un po’ responsabile! Mi sa che, prima o poi, dovrò offrirti un caffè per farmi perdonare per tutti questi ipotetici “tarli” che vado alimentando 😉
Comunque, sempre parlando di tunnel, io sono dentro a talmente tanti che, ormai, mi sembra più che altro di trovarmi in un enorme labirinto 😀
Un abbraccio,
Manu

Stefania
Reply

Che cose bizzarre… Ci sono persone che si inventano un sacco di stranezze! Belle però…

Manu
Reply

Hai ragione, cara Stefania: quelle che ho mostrato sono cose piuttosto bizzarre (mi riferisco agli anelli occhiuti o AnellOcchi come li ha ridenominati una mia amica) e sì, è vero, esistono persone in grado di inventare tante stranezze.
Sai, visto che sono affascinata da questo argomento, sto portando avanti diverse ricerche e così colgo l’occasione di questo tuo commento per condividere un paio di cose a mio avviso interessanti.
Seguo su Instagram bijoureview l’account di un’esperta che si chiama Kyle Roderick: grazie a lei sto scoprendo che la passione per gli occhi in gioielleria è cosa assolutamente non nuova.
Figurati che gli occhi comparvero, per esempio, in gioielli denominati “lover’s eye miniature” la cui origine si fa risalire a Giorgio IV di Hannover (1762 – 1830), re del Regno Unito.
Tutto iniziò quando Giorgio IV pensò di inviare alla sua amata Maria Fitzherbert (donna di origini non nobili) un pegno d’amore, un gioiello con un piccolo ritratto eseguito a mano. Fu però scoraggiato dai suoi ministri e dalla corte, così il miniatore fu incaricato di dipingere solo l’occhio del principe, al fine di mantenere il suo romanticismo il più segreto possibile. La leggenda vuole che Giorgio IV portasse a sua volta una spilla con la miniatura dell’occhio di Maria nascosto sotto il bavero.
Il gioiello clandestino con gli occhi degli amanti diventò di moda tra il 1790 e il 1820 e cercando sul web se ne trovano parecchi. Oggi ci sono artisti della gioielleria che li ripropongono: qui, per esempio, Kyle racconta la leggenda e mostra un anello opera di Petr Axenoff, designer russo di gioielli.
Altro illustre esempio di passione per occhi e gioielleria viene dal grande Salvador Dalí che creò una spilla che si chiama “Eye of Time”. La spilla – dal sapore naturalmente surrealista – è in realtà un orologio funzionante con un meccanismo firmato Movado: ha una congiuntiva fatta in rubino, una lacrima in diamante, montatura in platino e fu concepita nel 1949 e realizzata attorno al 1951 dai gioiellieri Alemany & Ertman di New York. La si può vedere qui e leggerne anche tutta la storia.
Trovo tutto ciò indicibilmente affascinante e sono felice che il tuo commento mi abbia dato l’occasione di condividere queste preziose informazioni.
Gli anelli di epoca moderna si differenziano perché, abbandonato il lato più romantico o surrealista, si concentrano su un aspetto che definirei da… tavola anatomica. Un po’ inquietante, forse, come ho scritto nel post, ma a me diverte tanto 😀
Grazie di cuore e buona serata,
Manu

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