Lush e la bellezza della coerenza tra furoshiki e solidarietà

Quando frequentavo le scuole superiori, oltre a pensare ai ragazzi, ai trucchi e ai cantanti in voga, ero anche una di quelle studentesse che credo si possano definire socialmente impegnate: leggevo moltissimo, mi informavo, andavo alle manifestazioni per la pace nel mondo e per i diritti delle donne e mi arrabbiavo se i miei compagni le riducevano a occasioni per bigiare (o marinare) e andare a fare un giro in centro.

A quei tempi, avevo molti sogni e quando qualche adulto mi diceva che, col tempo, avrei imparato a essere più indulgente, a considerare le mezze misure, a smussare certi angoli, mi irritavo con l’intransigenza tipica degli anni dell’adolescenza.

Allora, adottare mezze misure equivaleva per me a scendere a compromessi: per questo trovavo il tutto inaccettabile e trovavo orribile anche solo l’idea di poter cambiare. Oggi, sono adulta anch’io, so che quelle persone avevano ragione e capisco anche che il cambiamento di alcuni miei punti di vista non è necessariamente un peggioramento.

Ancora oggi non amo i compromessi e spesso (per non dire sempre) li trovo inaccettabili: pur in mezzo al mare di errori che ho compiuto, posso affermare con orgoglio di non essere mai scesa a compromessi, soprattutto negli ambiti che reputo questioni di principio inderogabili.

Ho pagato il prezzo in prima persona, sempre: ho però anche imparato a smussare alcuni angoli che erano assai aguzzi quand’ero adolescente e che mi portavano solo a inutili conflitti. La ragazzina che sognava di cambiare il mondo è ancora in me, ma ha imparato che tra il tutto e il niente ci sono mille sfumature.

Oggi ho capito che, se non posso cambiare tutto e subito come pensavo, sognavo e speravo allora, posso comunque fare la mia parte giorno dopo giorno: ciò non è un compromesso e sicuramente è meglio, infinitamente meglio, del non fare nulla oppure dello stare seduti a lamentarsi.

Certo, non è sempre facile fare la propria parte, per mille motivi oppure per mille scuse, eppure tento di aggiungere tasselli sempre nuovi, anche se a volte sono molto piccoli. E mi concedo la possibilità di lavorare su me stessa, nella speranza di evolvermi e migliorare.

Un esempio? Il mio rapporto con ricorrenze e feste comandate: non le amo perché trovo che abbiano perso il loro significato originale e originario e trovo che la colpa sia di noi tutti. Da qualche anno, mi impegno dunque nel cercare di ritrovare il loro significato in piccole cose, piccoli gesti, piccoli segni.

A Natale, per esempio, mi sono concentrata sul concetto della condivisione: per questa Pasqua (a proposito, auguri a tutti coloro che stanno leggendo), qualcuno mi ha dato spunti interessanti per riflettere sul concetto di coerenza.

La coerenza è un concetto che mi sta molto a cuore e devo dire che noto con dispiacere che oggi è cosa rara e poco praticata, non solo a livello personale, ma anche a livello aziendale.

Osservando i brand che incontro e dei quali parlo, a volte ho dovuto prendere nota del fatto che, nel tempo, alcuni di essi abbiano manifestato mancanza di fedeltà rispetto ai propositi manifestati in partenza: ciò mi addolora, non mi piace e mi fa tornare a essere l’adolescente un po’ intollerante di una volta.

Potete stare certi di una cosa, quando noto incoerenza, il brand in questione non avrà più spazio qui: mi si imbroglia una volta sola.

Per fortuna, ciò capita raramente, mentre accade molto più spesso il contrario (fortuna? un briciolo di fiuto?), ovvero che i brand che scelgo brillino per coerenza: ho parlato poco tempo fa di Lush e torno molto volentieri sull’argomento perché sono proprio loro che mi hanno fatto riflettere sulla bellezza della fedeltà a un’ideologia.

Avevo concluso il mio primo post su Lush affermando che, nonostante le mie scelte non siano tutte cruelty free (non ho problemi ad ammettere che su questo blog trovate testimonianze di aziende che impiegano ingredienti e materiali di origine animale), pretendo che, quando un’azienda si definisce etica, faccia di tutto per esserlo: Lush lo fa e apprezzo molto i loro sforzi che non conoscono sosta né momenti di opportunismo.

Proprio in occasione della Pasqua, sono stata invitata insieme ad altre colleghe a un pomeriggio nel negozio di via Torino a Milano per due workshop divertenti e originali.

Il primo workshop è stato dedicato al furoshiki, un’antica tradizione di origine nipponica: si tratta di un quadrato di stoffa tradizionalmente utilizzato in Giappone per trasportare vestiti, regali e altri beni.

Il termine furoshiki fu coniato attorno al 1600, sebbene questo tipo di incarto fosse già in uso nei secoli precedenti: esistono fonti che parlano di questa usanza già attorno al 700 dopo Cristo.

Sebbene in Giappone il furoshiki sia ancora usato, il suo utilizzo è progressivamente diminuito a causa della diffusione dei sacchetti di plastica: col nuovo millennio, è emerso un rinnovato interesse motivato soprattutto dai risvolti in termini di sostenibilità ambientale rispetto ad altri tipi di involucri e il furoshiki ha superato i confini nipponici per invadere pacificamente tutto il mondo.

I furoshiki moderni sono infatti realizzati in vari tessuti, ma nel 2006 il ministro dell’ambiente giapponese ha dato un messaggio ben preciso presentando un foulard appositamente ideato per promuovere la riduzione dei rifiuti in quanto realizzato dal riciclo di bottiglie in PET.

Ed è questa la direzione intrapresa anche da Lush che, nel pieno rispetto della propria etica e del proprio credo, vuole proporre una valida alternativa ai classici involucri tra i quali la carta da regalo: il furoshiki è riutilizzabile all’infinito, cosa che riduce gli sprechi e abbassa l’impatto ambientale, ed è un’alternativa elegante per preparare pacchi dono. Piegati e annodati in vari modi, i foulard possono diventare di volta in volta una sporta per la spesa, un contenitore o un accessorio moda come una vezzosa borsetta in stoffa.

I furoshiki di Lush possono essere in cotone biologico o in greenspoon, un materiale innovativo che deriva dal riciclo della plastica: bastano 3 flaconi da 250 ml per ottenere un foulard.

Questo è dunque l’ennesimo passo di un’azienda che ha scelto di rispettare l’ambiente: molti prodotti sono privi di confezione (come nel caso di quelli solidi) oppure sono dotati di un imballaggio riciclato al 100%. Sempre nell’ottica del riciclo, Lush incoraggia e incentiva il fatto di riportare i vasetti vuoti in negozio.

Il secondo workshop ci ha invece dato l’opportunità di vedere dal vivo come nasce una maschera fresca, in particolare Terra Madre: per un pomeriggio, siamo diventati mastri impastatori Lush.

Terra Madre è a base di cacao, menta e fango di Rhassoul (un’argilla naturale): come tutte le maschere fresche di Lush, va conservata in frigorifero per non più di un mese in quanto non contiene conservanti. È fatta a mano, esattamente come abbiamo fatto noi giovedì scorso, ed è adatta a quasi tutti i tipi di pelle, ma non è solo per questo che è stata scelta per il nostro workshop.

Lush acquista infatti le fave di cacao necessarie per questa maschera dalla Peace Community di San José in Colombia, un gruppo che si mantiene estraneo a tutti i conflitti e ai traffici che, purtroppo, dilaniano e devastano il paese sudamericano.

La comunità è composta da oltre 2000 contadini che hanno fatto un giuramento di non violenza: tutto quello che chiedono è che venga rispettato il loro diritto alla pace. Il gruppo segue una serie di regole condivise: non imbracciare le armi, non associarsi né supportare nessun gruppo armato, non produrre né fare uso di droghe o alcool.

Lush è il principale acquirente di fave di cacao prodotte dalla comunità: esse vengono poi spedite in Europa per la trasformazione in burro e polvere di cacao attraverso un processo di produzione totalmente tracciabile, equo e solidale nonché 100% organico.

Il sostegno dato da Lush è fondamentale e non solo dal punto di vista economico: permette che i riflettori restino accesi su una comunità che, ovviamente, dà fastidio a tutte quelle fazioni che vorrebbero il controllo sul territorio con scopi non esattamente pacifici.

A questo punto, chiudo con due riflessioni, una scherzosa e una seria.

Quella scherzosa: da giovedì scorso, giorno del nostro workshop, mi chiedo come i mastri impastatori Lush riescano a resistere alla tentazione di divorare i preparati ai quali lavorano. Vi giuro che, preparando Terra Madre, sembrava di lavorare a una torta al cioccolato e sono stata fortemente tentata di assaggiare l’impasto.

Riflessione seria: la coerenza non è cosa impossibile. E Lush dimostra, ancora una volta, coi furoshiki e col sostegno concreto alla Peace Community, come si possa coniugare business ed etica, cosmetica e solidarietà, bellezza e coscienza.

Ecco perché mi stanno simpatici ed ecco perché, a mia volta, nel mio piccolo, continuerò a sostenerli.

Manu

 

 

 

Tutte le foto sono miei scatti realizzati in occasione dell’evento di giovedì 2 aprile

 

 

 

Per maggiori informazioni e per approfondire:

Qui il sito Lush, qui la pagina Facebook, qui Twitter, qui Instagram e qui il canale YouTube.

Se volete ulteriormente curiosare tra le proposte di primavera in edizione limitata, guardate qui; se siete interessati ai furoshiki, cliccate qui; se invece siete interessati alle maschere fresche, date un occhio qui (sì, c’è anche Terra Madre).

Se volete saperne di più (e io spero tanto di sì, che vorrete saperne di più) sulla Peace Community di San José in Colombia, potete leggere l’approfondimento qui.

A proposito della coerenza di Lush e delle sue policy: qui trovate la Lushopaedia (per sapere tutto degli ingredienti usati dall’azienda e in particolare qui trovate l’approfondimento sul fango di Rhassoul), qui trovate un approfondimento sul rifiuto ai test sugli animali e qui un approfondimento sui prodotti auto-conservanti.

Il mio precedente articolo su Lush: qui.

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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