Montagna 1 – Manu 0, ovvero mi toccherà imparare a pattinare

Credo di poterlo affermare senza tema di smentita: carichiamo le vacanze di grandi aspettative.
Forse troppe aspettative. Talvolta sproporzionate.
Ci aspettiamo che esse sortiscano chissà quale miracolo, che ci rigenerino completamente e che ci divertano alla follia. Ci aspettiamo di ritornare nuovi nuovi, come bimbi appena nati.
Chissà, forse è così perché le aspettiamo tutto l’anno oppure perché abbiamo un costante bisogno di sperare in qualcosa che cambi radicalmente la nostra routine.

Naturalmente, io non rappresento un’eccezione e, come tutti, ripongo grandi speranze nel periodo di pausa.
Non mi aspettavo, dunque, di ritrovarmi dopo le vacanze così.
Ovvero disorientata.
Un po’ svuotata.
Ammaccata.

Non mi vergogno ad ammetterlo.
Non mi vergogno ad ammettere che le vacanze, le mie, non sono forse andate come mi aspettavo.
Non mi vergogno ad ammettere che non immaginavo un rientro così: un po’ sottotono. Me lo aspettavo più positivo, più energico.

In fondo, le vacanze non erano andate male e, durante gli ultimi giorni, avevo addirittura maturato un paio di idee su altrettanti post con i quali avevo intenzione di far ripartire il blog.

Il primo post si concentrava su alcune notizie che avevano attirato la mia attenzione durante la pausa.
Si trattava di notizie diverse e distanti tra loro, ma solo apparentemente: in realtà, ogni storia mi aveva attratta per lo stesso motivo, ovvero perché parlava della vita e dell’importanza di tutelarla e rispettarla, in ogni sua sfumatura.
Parlava dell’importanza di difenderla dalla cultura dell’odio, una (non) cultura che sembra crescere sempre più, come un orrendo blob, una massa informe che inghiotte ogni cosa (soprattutto nel web), proprio come avveniva nell’omonimo film di fantascienza (fantascienza?) del 1958.

Il secondo post doveva invece essere un personale bilancio delle vacanze con alcune riflessioni legate al mio rapporto con la montagna (sono stata a Carona, in Alta Val Brembana).

Poi, sono tornata.
E sono stata sopraffatta dalle brutte notizie e da fatti dolorosi.
Il terremoto in Centro Italia.
La morte di una persona a me cara e che consideravo una dei miei mentori. Si chiamava Patrizia Fissore e c’eravamo conosciute anni fa a Belgioioso, in occasione della manifestazione vintage che vi si svolge.

Sopraffatta è proprio l’aggettivo esatto.
Tanto sopraffatta dal dolore da non riuscire a scrivere né del terremoto (perdonatemi) né di Patrizia (perdonami, amica mia).
Sono cadute, naturalmente, anche le intenzioni che avevo maturato a proposito di quei due post dei quali accennavo.

Per interi giorni, mi sono sentita paralizzata.
E incapace di scrivere qualsiasi cosa, eccezion fatta per un paio di stati su Facebook, uno esplicitamente dedicato a Patrizia, un altro con i versi di una poesia di Ungaretti (San Martino del Carso) che amo molto.

“Di queste case / Non è rimasto / Che qualche / Brandello di muro / Di tanti / Che mi corrispondevano / Non è rimasto / Neppure tanto / Ma nel cuore / Nessuna croce manca / È il mio cuore / Il paese più straziato”

Ho preso in prestito parole altrui perché non ne avevo più di mie a fronte di tanti lutti.
Altro che tornare nuova e rigenerata dalle ferie…

Poi, ieri, ho deciso che dovevo ripartire.

Ho sentito che dovevo farlo, in qualche modo, da qualche parte. Subito, perché altrimenti, poi, non ne sarei più stata capace e quella paralisi non sarebbe stata temporanea.

Ho sentito che lo dovevo anche a Patrizia, una delle persone che hanno sempre creduto in me spingendomi avanti, con dolcezza e forza.

E ho sentito che un piccolo bilancio delle vacanze, forse, meritava di essere scritto, perché durante i giorni trascorsi in montagna ho capito qualcosa che oggi è ancora più vero.

Chi mi conosce sufficientemente bene lo sa: tanto amo il mare, tanto detesto (cordialmente, per carità) la montagna.
D’altro canto non ne faccio mistero e dichiaro spesso i miei sentimenti.
Quando dico che il mare mi manca ogni singolo giorno in cui non lo vedo e quando sostengo di avere acqua salata nelle vene insieme al sangue.
Quando – tra serio e faceto, come al mio solito – affermo che se il buon Dio avesse voluto farmi adatta per la montagna e per sport quali le camminate, lo sci, il pattinaggio su ghiaccio non mi avrebbe dotata di delicati e microscopici piedini numero 35-36.

Eppure quest’anno, costretta per una serie di circostanze solo a brevi vacanze in montagna, tali convinzioni sono state messe a dura prova e tra me e la montagna si è instaurato un insolito quanto inaspettato feeling.

E (finalmente) ho capito una cosa: la montagna è una metafora della vita.
Bella scoperta, Manu, penserà chi la ama da sempre.
Ma abbiate pazienza, vi prego: è stato un passo importante, per me.
So anche che è una conclusione nemmeno così originale o nuova, in quanto vi sono già arrivati tanti pensatori.
A ogni modo, le camminate (non tante, lo ammetto, e semplici) mi hanno fatto capire che la montagna non fa regali né sconti: esige che si fatichi.
E a volte, anche se ci si impegna o anche se si parte con propositi lodevoli, capita che il tempo muti e allora occorre cambiare progetti, abbassare la testa (umilmente) e rimandare (momentaneamente).

Ho capito che se la montagna mi aveva sempre annoiata era perché non la ascoltavo, perché stavo a lamentarmi anziché accettare la sfida.
Ho capito che, senza esagerare, ce la posso fare anch’io: le camminate non sono solo per gli scalatori esperti. Ci sono le sfumature.
Ho capito che se si superano i propri limiti e si riesce ad arrivare alla meta… beh, è una soddisfazione unica che regala bellezza immensa, quella che mi fa pensare che ci sia ancora salvezza.

Tutto questo non vi sembra una straordinaria metafora della vita?
Scommetto di sì e sapete, ho finito con il chiedermi perché non mi fosse mai piaciuta: a me non piacciono le cose facili, quindi la montagna avrei potuto capirla anche prima.

Che ironia, vero?
Ho passato anni a detestarla, ma lei, la montagna, al contrario, ha continuato a fare finta di nulla e non sembra ricambiare la cordiale antipatia: al contrario, con generosità, signorilità e spirito materno, mi ha aperto le sue braccia accogliendomi e facendomi dono della sua lezione più preziosa, quella della bellezza che passa attraverso il duro lavoro di conquista, quella delle difficoltà che cambiano, deviano, rallentano i nostri progetti e, talvolta, le nostre stesse vite.
Una lezione che conosco da tempo, è vero, ma che credo non si ripassi mai a sufficienza.

Montagna uno, Manu zero.
Stai a vedere che questo inverno mi tocca prendere ripetizioni di pattinaggio su ghiaccio.

Intanto, il ripasso si rivela utile soprattutto oggi, in questo rientro difficile, in questi momenti di smarrimento.

Se vi ho raccontato tutto ciò è perché ho deciso di provare a ripartire da qui, nonostante continui a sentirmi ammaccata, nonostante il dolore sia sempre presente.
Riparto da questa lezione.
Riparto dal mio sempre più deciso no alla violenza in ogni sua manifestazione, dalla mia precisa volontà di rispettare la vita in ogni sua forma, dalla convinzione che la bellezza salverà il mondo.
E dall’idea che chi non è ancora fuggito da questo (folle) blog condivida le stesse speranze e le stesse convinzioni.
È bello non essere soli. E serve. Tanto.

Manu

 

 

Tutte le foto sono miei scatti; le foto che mi ritraggono sono opera di Enrico, la mia metà.
Location: Piazza Brembana, Carona, Pagliari, cascata Sambuzza, Cambrembo, cascata del torrente Armentarga, Agriturismo alle Baite.

Chiudo così il racconto fotografico: vedete cosa dice la vignetta? È esattamente ciò che faccio io: partire con la lista di cose da fare. Solo che la mia è elettronica. Solo che la mia riguarda il lavoro, tipo tonnellate di cose da leggere, cercare, studiare nonché altre attività varie da espletare. Volete sapere una cosa? L’ho fatta anche stavolta. Volete sapere un’altra cosa? Stavolta, non so perché né come, l’ho ignorata, appallottolata virtualmente. Sapete un’ultima cosa? Ho fatto bene. Non avrei potuto farmi regalo migliore.
Chiudo così il racconto fotografico: vedete cosa dice la vignetta? È esattamente ciò che faccio io: partire con la lista di cose da fare. Solo che la mia è elettronica. Solo che la mia riguarda il lavoro, tipo tonnellate di cose da leggere, cercare, studiare nonché altre attività varie da espletare. Volete sapere una cosa? L’ho fatta anche stavolta. Volete sapere un’altra cosa? Stavolta, non so perché né come, l’ho ignorata, appallottolata virtualmente. Sapete un’ultima cosa? Ho fatto bene. Non avrei potuto farmi regalo migliore.

 

 

 

 

 

Se dopo aver visto i miei scatti vi siete innamorati di Carona, potete trovare maggiori informazioni qui e qui.

Se siete interessati al piccolo borgo di Pagliari, guardate qui.

Se siete interessati all’Agriturismo Alle Baite, qui trovate il sito.

 

 

 

 

 

Ciao Patrizia, questo post è dedicato a te 

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

Silvia
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Ciao,
Mi chiamo Silvia e vorrei chiederti un’informazione.
Sto lavorando a un progetto per l’università proprio sull’odio e soprattutto sull’odio in rete. Visto che ne parli anche tu hai testi da consigliarmi?
Grazie e complimenti,
Silvia

Manu
Reply

Ciao Silvia,
Sono felice di fare la tua conoscenza.
Prima di tutto, desidero complimentarmi io con te per il lavoro che stai portando avanti: credo sia importante, utile e interessante.
E sono felice di indicarti un articolo dell’autorevole Time che ha dedicato la copertina del numero uscito il 29 agosto proprio a questa tematica.
La copertina dice “Why we’re losing the Internet to the culture of hate” e l’articolo firmato dal giornalista Joel Stein si intitola “How Trolls Are Ruining the Internet”.
Prova a dare un’occhiata. Credo ti sarà utile.
Grazie e ti auguro buon lavoro per questo tuo impegno.
Manu

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