Quando sono compassione ed empatia a finire in croce

Ho letto molte opinioni sulla morte di Andrea Papi, il giovane uomo ucciso da un’orsa nei boschi nella provincia di Trento, sembrerebbe per istinto di difesa verso i propri cuccioli.

Queste letture mi hanno lasciata basita se non sconvolta e a sconvolgermi sono in particolare i commenti social di moltissime persone.

Non mi riferisco certo a chi non vuole la morte dell’orsa, ma a chi manca completamente di qualsiasi forma anche minima di empatia, solidarietà e compassione verso Andrea nonché di rispetto verso la sua famiglia e il loro dolore.

Va bene anzi benissimo la solidarietà verso l’orsa, ma i commenti agghiaccianti verso Andrea, le certezze assolute nel giudicare i suoi comportamenti senza sapere niente né di lui né della sua vita… ecco, come vanno inquadrati?

Anche a me fa orrore chi chiede a gran voce la mattanza degli orsi trentini, ma non dimentico la morte di Andrea, non oso (e non voglio) immaginare gli ultimi istanti della sua vita, non oso immaginare lo straziante dolore dei suoi cari. E soprattutto non giudico una persona che non conoscevo esattamente come non la conosceva chi oggi sputa facili e ovvie sentenze via social.

Tantissimi sono pronti a giudicare, a emettere sentenze e giudizi inappellabili e definitivi, a ergersi a esperti, sempre e comunque, questa volta esperti di orsi e della loro gestione.

In Trentino c’è un evidente e grosso problema, ma io, per esempio, non ho la più pallida idea di come risolverlo perché non è il mio campo e non sono sufficientemente preparata; mi limito quindi a tacere e anche a non giudicare né Andrea né i suoi comportamenti, tanto più che non vivo in quella zona e dunque non vivo sulla mia pelle le consuetudini e la quotidianità di quei luoghi e degli abitanti.

Avrei continuato a tacere sulla questione proprio perché non sono competente, ma ora – basita dalla durezza delle troppe cose lette – mi piacerebbe chiedere ai tanti esperti e ancora di più ai tanti spietati giudici se le loro scelte siano sempre perfettamente assennate e precise, ineccepibili e inattaccabili.

Ecco un assaggio, un collage di alcuni commenti che ho trovato sotto due post che avevano l’intento di dare voce al dolore dei genitori e della fidanzata di Andrea…

Incoscienti…

Gente cogliona…

Per sto… p… di m…

Per colpa di questo Andrea…

Vai a fare il fenomeno… poi non scassare…

Parole rivolte a un morto…

Parole rivolte a genitori che hanno perso un figlio tragicamente, a una donna che ha perso l’uomo che amava e il compagno di vita…

Ho orrore di queste persone e di parole e pensieri totalmente privi di compassione.

Non solo, visto che il mio lavoro ha molto a che fare con l’informazione e il giornalismo, ho fatto qualche ricerca e mi sembra di poter sostenere senza tema di smentita che Andrea non solo era un ragazzo normalissimo, ma era un grande, sincero, rispettoso e appassionato estimatore della Natura (con la N maiuscola, sì), della bellezza, della vita.

Amava gli amici, amava condividere moltissime esperienze con la sua compagna Alessia, era uno sportivo: non era uno sprovveduto né un inesperto, non era affatto avvezzo a esagerazioni o esibizionismi. Insomma, non era certo un “fenomeno”.

Quelle parole nei confronti suoi (e dei suoi cari) sono del tutto fuori luogo e ingiustamente tendenziose, sono semplicemente rivoltanti e lo sono nonostante io non conoscessi personalmente Andrea; non oso dunque immaginare che effetto possano fare a un parente, alla sua compagna, ai suoi amici. A me continuano a girare nella testa e mi tormentano dandomi la nausea.

Tra l’altro, ecco una ulteriore postilla per l’autore di quel commento raggelante: Andrea era così “fenomeno” e così preoccupato di postare che il suo profilo Instagram conta 63 post in 6 anni, dal 2017 a pochi giorni fa…

A me i veri “fenomeni” sembrano i neo esperti non solo di orsi, ma anche di vita, perché quel brutto concetto sottinteso del «se l’è cercata» sarebbe completamente da rivedere e da riconsiderare: anche se fosse vero, anche se ci fosse stato un errore o una distrazione da parte sua… beh, questo basterebbe a dire che ha “meritato” o “cercato” una morte atroce? Attenzione perché diventerebbe un gioco al massacro che non risparmierebbe nessuno perché, come diceva qualcuno molto tempo fa, «chi è senza peccato scagli la prima pietra»…

Un altro aspetto che mi impazzire è che queste persone che pensano e alludono al «se l’è cercata» sono magari le stesse che nei giorni scorsi hanno festeggiato la Pasqua facendo grandi proclami via social su vita, speranza e altri valori cristiani, dimenticando che la compassione rientra tra questi. Oppure sono le stesse che hanno commentato aspramente (e giustamente) comportamenti come quello delle persone che hanno chiesto il selfie alla De Filippi al funerale del marito: quella richiesta è stata irrispettosa e inqualificabile, certo, disumana, certo, ma ci sentiamo migliori di quelle misere persone a dibattere con tanta sicumera sulla morte di un ragazzo?

Il “bello” (si fa per dire) è che tra una settimana Andrea sarà dimenticato e chi oggi lo giudica si dedicherà al prossimo dramma che attirerà attenzione riscoprendosi esperto in un nuovo settore e nuovo problema. Peccato che il dolore resterà alla famiglia e che ciò che è accaduto ad Andrea è irreversibile.

Ma cosa è successo a noi esseri umani?

Non possiamo tacere almeno nel momento più intenso del lutto, mentre degli esseri umani danno l’estremo saluto a un loro caro, a un nostro simile?

Dove sono finite empatia, solidarietà, compassione? Quando sono scomparse?

Oppure è sempre stato così, siamo sempre stati così giudicanti e così poco compassionevoli e ora è solo più evidente perché esistono i social?

Siamo arrivati a un punto in cui siamo sempre bravissimi e prontissimi a trovare colpe, errori, mancanze in chiunque e soprattutto in chi cade: avete notato che non esiste quasi più una vittima che sia tale, che sia innocente, che non si sia messa da sola in pericolo in qualche modo?

Siamo perennemente pronti a screditare, a mettere in dubbio, a sottolineare passi falsi: pensare «se l’è cercata» è diventata una modalità troppo automatica, troppo comune, troppo abituale.

Ho letto una frase riguardante un altro caso ma perfettamente calzante anche su questo.

«Tante cose sa fare il nostro tempo, ma il mettersi nei panni degli altri non fa parte di queste. È un termine perfetto per descrivere l’immedesimarsi, ”mettersi nei panni”, perché serve entrare nell’altro per capire di che cosa è fatta la sua vita, le sue giornate, il suo tempo. Entrarci dentro, comprendere. (…) Riprendiamoci un po’ di delicatezza. La qualità più bella tra quelle che non abbiamo più.»
Sottoscrivo in toto il pensiero di Giulia Toninelli per Mow Mag.

E, sempre in questi giorni, mi è capitato di rileggere un episodio attribuito all’antropologa Margaret Mead (1901-1978).

Un giorno, nel corso di una lezione, uno studente le chiese quale riteneva fosse il primo segno di civiltà in una cultura: lo studente si aspettava probabilmente che Mead parlasse di pentole di terracotta o macine di pietra, ma non fu così, lei disse invece che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito e spiegò che, nel regno animale, se una creatura si rompe una zampa, c’è un solo esito, ovvero inevitabilmente muore. Non può scappare dal pericolo, andare al fiume a bere o cercare cibo e diventa carne per i predatori: nessun animale sopravvive con una zampa rotta abbastanza a lungo perché l’osso possa guarire.

Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto e che lo ha aiutato a riprendersi: Mead spiegò che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è dunque il punto in cui la civiltà inizia e che essere civili è questo.

Questa storia attribuita a Margaret Mead rimbalza da anni nel web e oscilla tra fatto avvenuto e leggenda, ma individua il punto esatto del senso di comunità e cura dell’altro a 360°, fisica e morale, ovvero ciò che implica solidarietà, compassione, empatia, immedesimazione, rispetto e delicatezza, esattamente quei valori di cui noto assenza in questi giorni.

L’esimia antropologa (o chi per lei qualora l’attribuzione non fosse corretta) non parlò né di giudicare come avviene la rottura di quel femore né di individuare colpa in questo bensì di offrire aiuto, assistenza, cura: se il primo segno di civiltà in una cultura è aiutare qualcun altro nelle difficoltà, allora la salvaguardia di questa civiltà è nella cura della comunità (nel suo complesso, nessuno escluso) e naturalmente anche dell’ambiente nel quale la comunità si inserisce (e questo vale per chi chiede a gran voce la mattanza degli orsi).

I giudizi e le sentenze non servono, né ad Andrea né alla sua famiglia né all’orso; serve piuttosto fare chiarezza e soprattutto serve mettere in atto misure serie e rispettose di uomini, animali e ambiente. E non lo dico per fare del buonismo a tutti i costi.

Prendete la famiglia di Andrea che non ha chiesto che sia “giustiziato” l’orso, nonostante l’immenso dolore.
«L’abbattimento dell’orso non mi ridarà Andrea», ha scritto Franca Ghirardini, madre di Andrea, in una lettera.
«Vogliamo giustizia, dignità e ricordarlo com’era, perché un ragazzo non può morire in queste condizioni, era solo un ragazzo che andava a correre, nient’altro», ha dichiarato Carlo Papi, il papà.

Giustizia – chiesta alle autorità alle quali domandano interventi seri che guardino al futuro e non all’abbattimento dell’orso; dignità – perché nemmeno Andrea ha colpe, a dispetto di ciò che sostengono certe persone spietate.

Questa tragedia – tale è, sotto tutti i punti di vista – meriterebbe davvero un po’ più di rispetto, compassione ed empatia, lo ripeto ancora una volta, e anche appunto dignità ma per tutte le vittime, animali e persone.

E se proprio non si riesce a esprimere un grammo di cordoglio senza dovere a tutti i costi aggiungere un giudizio o addirittura il famigerato «se l’è cercata»… beh, forse sarebbe meglio stare in silenzio.

Perché se è vero che «l’orso ha fatto l’orso», come scrivono in moltissimi, è altrettanto vero che mancare di pietà, compassione, empatia, immedesimazione, rispetto e delicatezza verso Andrea dimostra esclusivamente chi siano le uniche vere belve.

Si può discutere su tutto e si può mettere in discussione tutto o quasi, ma sarebbe bello se ci fossero dei punti fermi almeno davanti a questioni fondamentali – e mi sembra che il rispetto davanti alla morte sia una di tali questioni e dovrebbe mettere d’accordo tutti.

Anche perché, prima o poi, gli altri siamo noi, così recita un altro modo di dire: è vero e non dovremmo mai dimenticarlo.

Manu

 

 

Riposa in pace, Andrea.
Ti mando una carezza
e offro la mia solidarietà
ai tuoi genitori, alla tua fidanzata, a tutti i tuoi cari.
Ti dedico questi fiori,
la colza che ho fotografato lunedì,
te li dedico perché ho letto che amavi la Natura.

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

Glittering comments

Daria
Reply

Ciao Manu, sono d’accordo con te e ti dico che io non avrei tolto i nomi, li avrei lasciati… ognuno deve prendersi le sue responsabilità e questi hanno scritto sotto post pubblici. Devono vergognarsi!!!

Manu
Reply

Ciao Daria e grazie per aver condiviso il tuo punto di vista che capisco, ma desidero dirti che ho volontariamente provato a essere diversa, a differenziarmi, a prendere le distanze da certi atteggiamenti.
Se avessi lasciato i nomi in chiaro, avrei creato una pubblica gogna e avrei a mia volta contribuito a portare avanti quella catena fatta di indelicatezza e mancanza di rispetto.
Non rinuncio a denunciare atteggiamenti e pensieri a mio avviso agghiaccianti, ma credo che conoscere nomi e cognomi non aggiunga niente, anche perché queste persone si nascondono spesso dietro pseudonimi, nomi di fantasia o addirittura nomi falsi.
Tanto chi ha scritto certe cose sa di averlo fatto e si riconoscerà comunque. Vergognandosi, voglio sperare.
E lo auguro loro, di vergognarsi, perché vorrebbe dire che possiedono ancora un briciolo di umanità.
Un caro saluto,
Manu

Gepi68
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Ecco un’altra che difende uno che è andato a correre dove ci sono gli orsi! E ora rischia anche l’orso!

Manu
Reply

Sai una cosa?
Credo che tu abbia commentato senza aver letto il mio post.
E ne vuoi sapere un’altra?
Considerato ciò, non ho nessuna voglia di spiegarti nuovamente un concetto che ho già ampiamente esposto, ovvero che per me il “se l’è cercata” è qualcosa di disgustoso e inaccettabile.
Non ho alcuna intenzione di fare l’avvocato di Andrea perché credo che non ce ne sia bisogno; non ho scritto questo post per giustificarlo perché credo che sia folle anche solo cercare di addossargli la colpa di questa tragedia.
Ho voluto scrivere il post per un altro motivo e tu, caro amico o cara amica (chiedo scusa ma non so quale genere usare visto che il tuo nome non mi aiuta), attraverso questo tuo atteggiamento, hai appena dimostrato che purtroppo non mi sbagliavo, ahimè, e che c’è un gran bisogno di parlare di rispetto e compassione.
P.S.: ho mostrato solidarietà anche verso l’orso e gli orsi, sempre per la serie “non hai letto il post”.
Comunque ti auguro una buona notte,
Emanuela – ovvero “un’altra che difende uno”

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