Il nuovo vocabolario della moda italiana e la contemporaneità
Il talento, il made in Italy e uno dei musei più interessanti di Milano: prendete questi tre elementi, metteteli insieme e mi fate felice. È ciò che sta succedendo alla Triennale che ospita una mostra unica nel suo genere, nata dal desiderio di celebrare l’Italia della moda contemporanea.
La mostra si chiama Il nuovo vocabolario della moda italiana e manda in scena – fino al 6 marzo 2016 – marchi e creativi che negli ultimi 20 anni hanno rinnovato e recuperato il DNA non solo culturale ma anche tecnico della nostra migliore tradizione, riuscendo a riscriverlo in un linguaggio originale e – appunto – estremamente contemporaneo.
Il nuovo vocabolario della moda italiana analizza la natura più recente della moda attraverso il lavoro dei suoi protagonisti: si va dal prêt-à-porter allo streetwear, dalle calzature alle borse, dai gioielli ai cappelli per scrivere un inedito vocabolario di stile nonché di laboriosità e produttività perché – non dimentichiamolo mai – la moda produce reddito e dà lavoro.
Il vocabolario racconta un tratto di storia del made in Italy, precisamente a partire dal 1998: perché proprio il 1998? Perché è l’anno che, convenzionalmente, segna il passaggio definitivo alle nuove forme della comunicazione, quelle digitali.
Partecipano alla mostra oltre cento realtà tra le più importanti del nostro panorama, stilisti e marchi selezionati dai curatori (Paola Bertola e Vittorio Linfante), da un comitato scientifico e da un nutrito gruppo di esperti.
Ma perché intitolare la mostra vocabolario? Perché – esattamente come fa o farebbe un vocabolario – essa desidera sintetizzare, catalogare, illustrare e definire le caratteristiche principali dello scenario attuale.
Lo spiegano molto chiaramente i due curatori: “Se da una parte il fatto in Italia è riconosciuto nel mondo come eccellenza, dall’altra è tipicamente rappresentato da marchi e stilisti affermatisi sino agli anni Novanta, negando in un certo senso la sua capacità di rigenerazione. Eppure, confermando la storica attitudine all’auto-organizzazione italiana, una nuova generazione sta scrivendo da tempo un linguaggio riconfigurato della moda italiana. Questo grazie alla valorizzazione di risorse accessibili in Italia e scomparse altrove: l’attitudine progettuale diffusa, i patrimoni di cultura materiale, le piccole reti di laboratori, le manifatture periferiche”.
Il termine vocabolario è dunque usato nel suo significato di repertorio di termini e locuzioni, vocabolario come mezzo per definire il nuovo linguaggio del made in Italy.
Per esprimere con forza tale concetto, il percorso è strutturato attraverso voci – precisamente Lemmi – che sintetizzano i vari concetti: qualche esempio? Materia, Costruzione, Ornamento, Dettaglio, Laboratorio: ogni Lemma è caratterizzato da installazioni che illustrano il prodotto e il relativo processo creativo.
La mostra è inoltre articolata in 3 macro sezioni: Vocabolario (dove i prodotti sono organizzati intorno a concetti chiave), Narrazioni (dove viene tracciata la mappa del sistema di comunicazione che ruota intorno alla moda attraverso la fotografia, l’illustrazione, i nuovi media, l’editoria) e Biografie (dove si concentra la narrazione delle storie dei singoli stilisti e marchi).
Lunedì 23 novembre ho avuto il piacere di visitare la mostra in occasione della serata inaugurale: concludo dunque dandovi i 6 motivi per i quali – secondo me – vale la pena andare a visitarla.
1 – Perché se prestigiosi musei italiani iniziano a guardare alla moda con lo stesso occhio col quale la si guarda all’estero grazie a musei altrettanto prestigiosi (cito il Metropolitan Museum di New York e il Victoria and Albert Museum di Londra), allora la moda avrà finalmente l’opportunità di essere considerata nel modo in cui merita, ovvero come una delle voci più importanti della nostra economia nonché espressione della cultura del nostro tempo.
2 – Perché la Triennale di Milano è il luogo perfetto per una simile celebrazione. Ospitata all’interno del Palazzo dell’Arte, è un’istituzione culturale internazionale che produce mostre ed eventi collegati all’architettura, al cinema, alla comunicazione: dedica grande attenzione ai temi sociali, all’arte contemporanea, agli stilisti che hanno cambiato il gusto e il costume, all’intero sistema del design.
3 – Perché Il nuovo vocabolario della moda italiana è dedicato a Elio Fiorucci, grande genio innovatore della moda italiana – e la dedica è giusta e doverosa.
4 – Perché è un’ottima occasione per scoprire – o rivedere per chi già conosce – ciò che è successo nella moda italiana negli ultimi 20 anni, periodo durante il quale sembrerebbero esserci stati nomi meno rilevanti rispetto al passato. In realtà, non è così e la mostra si trasforma in un mezzo efficace per spiegare tutto ciò e per far sì che chi non sa, non ha seguito o non conosce possa ricredersi.
5 – Perché costituisce una vero e proprio elenco ragionato della creatività italiana nel settore moda.
6 – Perché dà spazio a progetti editoriali indipendenti – dalla carta ai pionieri digitali.
E, infine, permettetemi un piccolo moto di orgoglio personale rispetto ai motivi 5 e 6.
Per quanto riguarda gli stilisti e i brand in esposizione, quasi tutti i loro nomi mi erano già noti con pochissime eccezioni; sono tanti i nomi dei quali ho scritto e non solo qui sul blog. Giusto per fare alcuni esempi, prendendo spunto dalle foto che potete trovare qui sotto, cito CO|TE, Stella Jean, A-lab Milano, Chicca Lualdi, Francesca Liberatore, Vincent Billeci, Leitmotiv.
Tra i siti di informazione indipendente, ce ne sono ben due coi quali ho collaborato, quello di Stefano Guerrini (presente con StefanoGuerrini.vision che comprende WeBelieveinStyle e WeBelieveinStyle.maison, nuovissimo progetto del quale ho parlato recentemente) e quello di Andrea Raffaelli (presente con Il Blog del Marchese).
E se non ho saputo fornirvi fin qui sufficienti motivi, spero siano gli scatti che ho realizzato lunedì 23 novembre a convincervi definitivamente.
In mostra, ovviamente, trovate molto, molto di più.
A me non resta che confermare – ancora una volta – la mia promessa di amore eterno verso il talento, la Vera Moda e chi lavora alacremente per portarla avanti. Prometto di amare, sostenere e diffondere la cultura del saper fare.
Manu
Per maggiori informazioni e per programmare una visita alla mostra Il nuovo vocabolario della moda italiana
Qui trovate il sito della Triennale, qui la pagina Facebook, qui l’account Twitter, qui l’account Instagram e qui il canale YouTube.
Orari di apertura della Triennale: da martedi a domenica, dalle 10:30 alle 20:30. Chiuso il lunedì.
Un’altra mostra della Triennale della quale mi sono occupata recentemente: il progetto Toyssimi raccontato qui per SoMagazine.
Il progetto WeBelieveinStyle.maison raccontato in un articolo recente qui sul blog.
Se vi va, potete seguire A glittering woman su Facebook | Twitter | Instagram
Manu
Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.
Glittering comments
Ho solo cappelli della Moretti in fondo gioco in casa considerata che lei è una giovanissima modenese. Purtroppo il made in Italy e famoso all’estero invece gli italiani si riempiono gli armadi di stracci provenienti dalla distribuzione di massa. Anche nel mio post di oggi urlavo metaforicamente contro l’assurdità della standardizzazione. Mi fa piacere quando leggo di blogger (rare) come te che mantengono queste posizioni! Ce la faremo sono ottimista!
… E sono anch’io ottimista come te, cara Angela.
Sono ottimista perché vedo un’unica direzione tracciata dalla mostra, dai marchi e dagli stilisti che la compongono, dalle tante testate che ne parlano, dal tuo blog, dal mio e da molti altri ancora. Guardiamo tutti nella stessa direzione, abbiamo tutti lo stesso scopo: sostenere e diffondere la capacità, il talento, la passione.
Siamo sempre di più a lottare contro l’omologazione e la standardizzazione che sì, sono assurde. Perché ostinarsi a fare massa quando ognuno di noi potrebbe e può essere sé stesso?
Pian piano, goccia dopo goccia… noi siamo ostinate, vero?
Ti abbraccio e ti ringrazio, di cuore.
Manu
P.S.: invidio – e non poco – i tuoi cappelli della Moretti…
stupende qst foto…devo andare a vederla 🙂
baci
E allora buona visita: sono certa che non resterai delusa.
Grazie per l’apprezzamento,
Manu