La tuta da Thayaht ai giorni nostri, un capo che non invecchia mai

Vi faccio una confessione, miei cari amici.
Anche in veste di docente, provo grande dispiacere quando riscontro poco interesse verso la storia del costume da parte di quei giovanissimi che frequentano le accademie di moda.
Ebbene sì, capita, e se mi dispiace è perché credo che sia per loro un’occasione persa: chi studia la moda e ambisce a diventare un professionista in tale settore deve invece essere molto interessato ad acquisire quegli strumenti preziosi che permettono di leggere il passato per interpretare il presente e immaginare o progettare il futuro.
Credo che l’equivoco di base sia considerare la storia come qualcosa di polveroso se non morto, mentre al contrario la storia vive ed è una grande maestra proprio perché, se letta e padroneggiata con attenzione e passione, ci offre grandi possibilità.
Anche perché la storia della moda ha una caratteristica significativa: è ciclica ed è molto spesso fatta di ritorni e reinterpretazioni, dunque sorrido quando magari si considera rivoluzionario e moderno qualcosa che in realtà esisteva già secoli scorsi (o anche più, come nel caso di capi che risalgono a Greci, Romani, Egizi) e che qualche stilista contemporaneo ha più o meno semplicemente rielaborato e riproposto.
C’è perfino qualcuno che ha considerato ‘diavolerie moderne’ cose che esistevano già mille e più anni fa, come per esempio il costume a due pezzi (certo esisteva in una forma diversa, come ho raccontato e mostrato qui).
Ebbene sì: dobbiamo molti dei capi che indossiamo ancora oggi a geniali creatori che li hanno pensati tanti anni fa, magari… cento anni fa.

Non scrivo il numero a caso ma prendendo come esempio la tuta: avevo promesso in un post recente di tornare a parlarne ed eccomi qui a mantenere la promessa.

Tornare a parlarne, sì, perché avevo già accennato alla storia della tuta in un post del 2016 dedicato al lavoro di Francesca Fossati.
Ora, però, ho voglia di raccontarvela proprio bene, perché la tuta (overalls / dungaree / jumpsuit per chi preferisce l’inglese o ancora salopette per chi ama il francese) ha una genesi davvero interessante e che riesce a fondere tanti diversi elementi.

Vi dico subito il nome di colui al quale si può attribuire la paternità della tuta: si tratta dell’artista italiano Ernesto Michahelles (1893 – 1959). Leggi tutto

Francesca Fossati, (ex) abiti da lavoro diventano raffinata sartoria

In pieno svolgimento di Milano Moda Donna e in un momento in cui tutto il sistema moda si interroga a proposito della possibilità di un cambio epocale (ovvero smettere di presentare le collezioni con circa sei mesi di anticipo rispetto alla distribuzione in negozio), desidero parlarvi di un evento che ha catturato la mia attenzione per diversi motivi.

La stilista Francesca Fossati ha voluto realizzare un evento aperto al pubblico (e non ai soli addetti, dunque diverso dai classici format della Milano Fashion Week) e ha voluto presentare la collezione primavera / estate 2016 (e non quella autunno / inverno 2016-17, ovvero ciò che stilisti e marchi stanno facendo in questi giorni). Inoltre, il suo evento – che si tiene in via della Moscova 60 – proseguirà fino a sabato 12 marzo.

In pratica, Francesca sta già applicando due teorie caldeggiate da molti: aprire gli eventi moda a tutti senza distinzioni e cancellare il divario esistente tra il momento della presentazione e quello della messa in vendita.

Ieri, venerdì 26 febbraio, sono stata alla presentazione della sua collezione di alta sartoria che nasce da una ricerca a mio avviso molto interessante: parte infatti dall’analisi e dal recupero progettuale degli abiti da lavoro fino agli anni ’50 del secolo scorso.

Non per nulla, Francesca è stata definita – con un’espressione che mi piace molto – una dressteller: per lei, ogni creazione è un racconto, è la storia unica della donna che lo indossa, è un percorso infinito di intuizioni al singolare in cui forme preziose e materiali pregiati creano un mondo ricco di tradizione e innovazione. Leggi tutto

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