Sonia Rykiel, non solo la regina del tricot

Ammiro le persone che dimostrano di avere carattere e personalità.
Mi piace che una persona si distingua nel mestiere che fa, qualunque esso sia. Resto ancor più affascinata quando si tratta di donne in quanto diventano fulgidi esempi da seguire.
Per questo motivo ammiravo tanto Mariuccia Mandelli, la stilista che aveva scelto Krizia come proprio pseudonimo, nome preso in prestito dall’ultimo Dialogo incompiuto di Platone, quello incentrato sulla vanità femminile.
Nel 2013, dopo una sfilata, avevo avuto l’immenso onore di poterle stringere la mano: lo scorso dicembre, a 90 anni, se n’è andata. Nel mio cuore c’è un posto che sarà suo per sempre e ora, al suo fianco, ne riservo uno per Sonia Rykiel: appena ho saputo della sua morte, ho subito pensato alla signora Mandelli e mi è venuto istintivo unirle indissolubilmente nel fatto di essere donne di grande carattere e personalità, stiliste che hanno saputo diffondere e difendere la loro opinione a proposito della femminilità e dei possibili modi di interpretarla.

Sonia Rykiel, classe 1930, iniziò a disegnare abiti nel 1962 quando, durante la gravidanza, non riusciva a trovare vestiti che le fossero comodi.
Soprannominata regina del tricot, concentrò la propria creatività sulla lana, dandole la stessa importanza che altri stilisti riservavano a tessuti pregiati e riuscendo a portare la maglieria oltre la dimensione artigianale.
Il pezzo che le fece ottenere il titolo di regina del settore fu un piccolo pullover attillato a righe: il capo finì sulla copertina di Elle e diventò un simbolo di liberazione e seduzione nonché di uno stile sofisticato e ribelle. Le donne – e prime fra tutte celebrità quali Audrey Hepburn, Catherine Deneuve, Lauren Bacall, Brigitte Bardot – se ne innamorano.

La sua filosofia? No, ai total look, no ai diktat, no ai limiti imposti dall’età.
Per lei era la moda a doversi mettere al servizio del corpo femminile e non viceversa (e questo è uno dei motivi per cui l’ammiro); ogni donna doveva essere libera di creare il proprio guardaroba, celebrando liberamente le proprie forme.
I capi di Sonia Rykiel conquistarono la ribalta della moda perché parlavano un linguaggio schietto e perché coglievano i desideri delle donne degli anni ’70: lei regalò loro libertà di movimento e di espressione.
«È la donna che anima l’abito. Non può essere il contrario. La provocazione è la donna, mai quello che indossa», così era solita dire.

Nel 1985, ricevette la Légion d’honneur, l’onorificenza più alta attribuita dalla Repubblica Francese. Nel 1987, le celeberrime Galeries Lafayette ospitarono Vingt ans de mode, la prima grande retrospettiva a lei dedicata; nel 2008, fu invece il prestigioso Musée des Arts Décoratifs a dedicarle una mostra, sempre monografica e sempre a Parigi.
La Rykiel non ebbe paura di sperimentare anche per quanto riguarda la possibilità di collaborazioni inedite e nel 2009 firmò una collezione per H&M.
Nel 2012, rivelò di avere la malattia di Parkinson tenuta nascosta per molti anni, fino a quando le era stato possibile, proprio in nome di quel carattere forte che l’animava. La rivelazione avvenne attraverso la pubblicazione di un libro autobiografico intitolato N’oubliez pas que je joue, dove non esitò a descrivere tutti i segni visibili della patologia sul suo fisico, dai tremori alle difficoltà di deambulazione.

Ed è stato il Parkinson a portarla via il 25 agosto.
Ai suoi funerali, a Parigi, c’era anche Lionel Jospin, ex primo ministro e suo amico; come ultima dimora della stilista, la famiglia ha scelto il cimitero di Montparnasse.
Lì riposano, tra gli altri, grandi personalità della cultura e dello spettacolo tra i quali Charles Baudelaire, Guy de Maupassant, Samuel Beckett, Marguerite Duras, Simone de Beauvoir, Jean-Paul Sartre, Serge Gainsbourg, Susan Sontag, Philippe Noiret. Un luogo affine alla personalità e allo spirito di una donna che ha amato la moda, l’arte, la musica, i libri, la letteratura (fu autrice di nove romanzi), la buona cucina e il cioccolato e che era molto di più della regina del tricot.
Folgorò anche Andy Warhol che la ritrasse e le dedicò un’intervista.

Sonia Rykiel è stata dunque un emblema di unicità, anticonformismo e ribellione.

Non solo dal punto di vista professionale, ma anche sotto il profilo personale e perfino nella malattia che – purtroppo – avvicina il suo destino a quello di André Courrèges, altro stilista che amavo molto e che è mancato all’inizio di quest’anno.

In un’intervista a Elle, Madame Rykiel non nascose di amare il potere e aggiunse di aver «lavorato per ottenerlo».
«Penso che le donne e gli uomini di potere siano uguali. Ce ne sono di incapaci e di formidabili», affermò nella stessa occasione. «Ma se mi chiedete di citarne una esemplare, non so chi dire. Soprattutto tra le politiche. Non sanno conservare quel potere di seduzione e quella dolcezza, tipicamente femminili. Si comportano troppo da uomini».
Esattamente ciò che ho sostenuto a mia volta in un post recente: come pensava la stilista, anch’io sostengo che le donne, per essere accettate e per ricoprire certi ruoli, non debbano affatto comportarsi come gli uomini, ma trovare il proprio modo.

E a mio avviso, una delle sue dichiarazioni più belle fu qualcosa che disse a Elle sempre in quella stessa intervista, una frase che mi pare possa ben riassumere l’essenza del suo lavoro e della sua vita.
«Non mi considero una femminista. Amo così tanto gli uomini. Non amo il femminismo di bandiera, anche se ho sempre difeso la mia libertà. Non penso che tra donna e uomo vada cercata la parità. Ma l’uguaglianza.»

Non credo ci sia nient’altro da aggiungere se non un affettuoso augurio: bon voyage, Madame Rykiel.

Manu

Il ritratto di Sonia Rykiel viene dalla pagina Facebook del brand.
Si tratta dell’invito alla sfilata della collezione autunno/inverno 1978-1979
e mostra Sonia Rykiel ritratta da Sarah Moon

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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