We Wear Culture, dal little black dress di Coco allo street style di Tokyo

We Wear Culture: la cover della sezione dedicata al virtual tour del Metropolitan Museum of Art

Tra i tanti vantaggi del web, uno dei miei preferiti è senza dubbio quello di aver ridotto i limiti fisici e geografici.

Per esempio, possiamo stare comodamente seduti alla nostra scrivania e contemporaneamente fare ricerche grazie a luoghi virtuali, biblioteche e librerie, archivi e musei. Oppure, possiamo rilassarci sul divano mentre chiacchieriamo in live chat con persone che si trovano dall’altra parte del mondo. O ancora, possiamo fare acquisti in pochi click.

Certo, a volte tutto ciò non basta: io, in questo periodo, mi struggo per il fatto di non poter essere a New York fisicamente, precisamente al Metropolitan Museum of Art dove si sta svolgendo la mostra Rei Kawakubo / Comme des Garçons: Art of the In-Between.

Non so cosa darei per visitare l’esposizione dedicata a una delle più importanti stiliste del Novecento, colei che nel 1969 ha fondato il brand Comme des Garçons e che insieme a Yohji Yamamoto e Issey Miyake forma l’eccezionale triade giapponese che, alla fine degli Anni Settanta, ha portato un grandissimo rinnovamento nella moda.

Qui, però, torna in ballo Internet e la sua capacità di essere un mezzo che ci dà infinite possibilità che sta a noi saper sfruttare al meglio: non posso teletrasportarmi a New York, è vero, ma grazie al web posso consultare il sito del Metropolitan, godere di filmati e gallery, leggere articoli, consultare reportage.

Ed è proprio in nome di tutto ciò che, oggi, sono molto felice di parlarvi di un progetto che si chiama We Wear Culture.

We Wear Culture ovvero Indossiamo la Cultura, in quanto ben tremila anni di storia del costume e della moda confluiscono in una sorta di sfilata (o vetrina, chiamatela come preferite) che debutta online in questi giorni.

Disponibile attraverso la piattaforma Google Arts & Culture, il progetto consente di esplorare stili e look di epoche diverse nonché le storie che sono alla base degli abiti che indossiamo oggigiorno: inoltre, pezzi iconici che hanno cambiato il modo di vestire di intere generazioni vengono letteralmente fatti vivere grazie alla realtà virtuale.

L’iniziativa è frutto di una collaborazione con oltre 180 istituzioni culturali di fama mondiale: tra i nomi italiani, figura il Museo del Tessuto di Prato e una selezione di tessuti proveniente proprio dalle collezioni antiche di tale Museo è ora disponibile online.

Le diverse mostre digitali presentano stilisti, icone, movimenti, pionieri, trendsetter fra i quali troviamo nomi del calibro di Alexander McQueen, Marilyn Monroe, Cristóbal Balenciaga, Coco Chanel, Audrey Hepburn, Christian Dior, Helmut Newton, Irving Penn, Yves Saint Laurent, Giovanni Battista Giorgini, le Sorelle Fontana con il loro omonimo atelier, Mary Quant, Manolo Blahník, Gianni Versace, Oscar de la Renta, Agatha Ruiz de la Prada, Vivienne Westwood, Issey Miyake e tanti altri ancora.

Esperti di moda, curatori, stilisti, università e musei da ogni parte del mondo hanno collaborato al progetto per dimostrare che la moda fa parte della nostra cultura e costituisce spesso una forma d’arte: per preservare le collezioni e renderle disponibili a tutti, oltre alla realtà virtuale, Google ha impiegato tecnologie all’avanguardia quali video a 360°, tour con Street View, immagini gigapixel ad altissima risoluzione.

Proprio attraverso video realizzati in realtà virtuale, vengono illustrati alcuni pezzi iconici che hanno cambiato la storia della moda: il little black dress di Chanel; lo stiletto realizzato da Ferragamo per Marilyn Monroe; il completo maglia e gonna di Rei Kawakubo (sì, proprio la stilista per la quale vorrei andare a NY, colei che ha portato l’estetica giapponese sul palcoscenico mondiale attraverso modelli radicali); il corsetto di Vivienne Westwood che fa incontrare il mondo dell’arte e quello della moda.

L’esposizione We Wear Culture offre una visione davvero aperta e democratica in quanto rende la cultura disponibile a tutti, online e anche attraverso una app disponibile per iOS e per Android.

«Quello che indossiamo è autentica cultura e, molto spesso, è un’opera d’arte»: così dice Amit Sood, direttore di Google Arts & Culture, spiegando perfettamente il concetto alla base del progetto We Wear Culture.

Sono d’accordo, visto che considero la moda come una potentissima modalità di espressione e di comunicazione, come un linguaggio istantaneo e immediato.

Da sempre penso che l’estetica non possa e non debba essere slegata dall’etica e dai contenuti e da sempre sostengo che la moda non sia solo apparenza: può (e per me deve) essere anche sostanza ed essenza.

I progetti come We Wear Culture mi fanno gioire e mi fanno pensare che, in fondo, non mi sbaglio affatto, facendomi sentire più vicina a tutto ciò che amo.

Manu

 

Per approfondire ulteriormente:

Google Arts & Culture è uno spazio online che permette agli utenti di esplorare le opere d’arte, i manufatti e molto altro ancora di oltre un migliaio di musei, archivi e organizzazioni che hanno lavorato con il Google Cultural Institute per trasferire online le loro collezioni e le loro storie. Disponibile sul web oppure tramite l’app per iOS e Android, il sito è pensato come un luogo in cui esplorare e assaporare l’arte e la cultura online.

We Wear Culture in numeri:
● Oltre 180 grandi istituzioni culturali e di moda provenienti da 42 paesi.
● Oltre 400 esposizioni e storie online che condividono un totale di 30.000 foto, video e altri documenti.
● Quattro esperienze di realtà virtuale relative ai pezzi iconici del mondo della moda.
● Oltre 700 immagini in ultra-alta risoluzione, chiamate gigapixel.
● Oltre 40 sedi che offrono accesso al dietro le quinte attraverso Google Street View.

Ulteriori contenuti in evidenza dal progetto We Wear Culture:
La  più grande collezione di costumi al mondo presso il Metropolitan Museum of Art nel Laboratorio dell’Istituto di Conservazione dei Costumi.
● Una passeggiata dentro Palazzo Pitti per visitare la mostra fotografica Vision of Fashion di Karl Lagerfeld.
● L’osservazione ravvicinata di dettagli magistrali, come i ricami di un Abito del Dragone della dinastia Qing oppure i particolari di un soprabito da sera di Elsa Schiaparelli.
● Il rapporto esistente tra moda e cultura, navigando per esempio attraverso la storia del movimento punk britannico, l’evoluzione dello stile di strada giapponese e la storia del denim.
● Curiosità storiche e di costume come un tuffo nel guardaroba di Frida Kahlo e il racconto di come Carmen Miranda abbia reso popolare la scarpa con plateau.
● Il legame infrangibile tra moda e artigianato, per esempio attraverso la creazione di un kimono tradizionale.
● Gli articoli di esperti su temi importanti, da Perché la moda è importante a Quattro modi per amare sia la moda sia il pianeta.

 

 

 

 

 

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Manu

Mi chiamo Emanuela Pirré, Manu per gli amici di vita quotidiana e di web. Sono nata un tot di anni fa con una malattia: la moda. Amo la moda perché per me è una forma di cultura, una modalità di espressione e di comunicazione, un linguaggio che mi incuriosisce. Scrivo e creo contenuti in ambito editoriale, principalmente proprio per la moda. Insegno (Fashion Web Editing, Storytelling, Content Creation) in due scuole milanesi. Vivo sospesa tra passione per il vintage e amore per il futuro e sono orgogliosa della mia nutrita collezione di bijou iniziata quando avevo 15 anni. Per fortuna Enrico, la mia metà, sopporta (e supporta) entrambe, me e la collezione, con pazienza e amore. Oltre a confessare un'immensa curiosità, dichiaro la mia allergia a pregiudizi, cliché, luoghi comuni, conformismo e omologazione. Detesto i limiti, i confini, i preconcetti – soprattutto i miei – e mi piace fare tutto ciò che posso per superarli. La positività è la mia filosofia di vita: mi piace costruire, non distruggere. Moda a parte, amo i viaggi, i libri e la lettura, l'arte, il cinema, la fotografia, la musica, la buona tavola e la buona compagnia. Se volete provare a diventare miei amici, potete offrirmi un piatto di tortellini in brodo, uno dei miei comfort food. Oppure potete propormi la visione del film “Ghost”: da sognatrice, inguaribile romantica e ottimista quale sono, riesco ancora a sperare che la scena finale triste si trasformi miracolosamente in un lieto fine.

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