Lo stilista Martino Midali accoglie Il Duomo all’Ortica nel suo hub

Negli ultimi mesi, in più occasioni, ho parlato di Martino Midali.

Classe 1952, originario della storica città lodigiana di Mignete, Midali si trasferisce a Milano giovanissimo: è nel capoluogo meneghino che inizia la sua scalata nel mondo della moda diventando uno stilista amato e conosciuto in Italia e all’estero.

Lo scorso ottobre ho parlato del libro che racconta il suo percorso: intitolato ‘La stoffa della mia vita – un intreccio di trama e ordito’, il volume è stato scritto con la giornalista Cinzia Alibrandi che ha ben saputo narrare la vita ricca di sfide (e di aneddoti) di Midali.

Dovete sapere che uno dei motivi per cui amo Midali è il fatto che si sia sempre distinto per essere uno stilista vicino alle donne che ama in modo sincero: la missione che si è dato è quella di valorizzare il nostro corpo, in ogni sua forma e taglia, partendo però dalla nostra testa.

Già, perché il suo motto potrebbe essere valorizzare senza ostentare visto che ama vestire donne che scelgono gli abiti per stare bene prima di tutto con loro stesse e non per essere un trofeo accanto a un uomo: le donne che hanno vestito e che vestono Martino Midali sono generalmente donne molto consapevoli della propria identità personale, sociale, professionale e che non hanno bisogno di dimostrare qualcosa se non – appunto – a loro stesse.

E tutto ciò piace tanto a una persona come me, fortemente convinta che la moda sia espressione personale e non mera ostentazione di stato.

In febbraio, invece, ho parlato della collezione FW 2020-21 dello stilista, un vero e proprio alfabeto di stile fatto di stampe, natura, colore e volumi estremamente femminili: l’idea è – ancora una volta – quella di vestire una donna che vuole sentirsi a suo agio, con sé stessa e con gli altri, dal mattino alla sera, in ogni occasione.

Oggi torno volentieri a parlare di Midali per raccontarvi un’altra espressione di questo uomo dalla personalità davvero sfaccettata: la passione per l’arte. Leggi tutto

Perché dico sì alla mostra su Banksy al Mudec di Milano

Quando lo scorso 20 novembre sono stata al MUDEC per la conferenza stampa e l’anteprima della mostra dedicata a Banksy, mi sono bastati pochi istanti per innamorarmi del progetto messo in piedi dal Museo delle Culture di Milano.

Artista e writer britannico la cui identità rimane tuttora nascosta, Banksy è considerato uno dei maggiori esponenti della street art contemporanea: la sua protesta visiva riesce a coinvolgere un vastissimo ed eterogeneo pubblico e ne fa uno degli artisti più amati dalle giovani generazioni – e non solo.

Le sue opere sono infatti spesso connotate da uno sfondo satirico e trattano argomenti come la politica, la cultura e l’etica: l’alone di mistero che, per scelta e per necessità, si autoalimenta quando si parla della sua figura lo fa diventare un vero e proprio mito dei nostri tempi.

Su di lui sono già state organizzate diverse mostre presso gallerie d’arte e spazi espositivi, ma mai un museo pubblico italiano – o estero – ha finora ospitato una sua monografica, con la sola eccezione di quella organizzata dall’artista stesso al Bristol Museum nel 2009.

Con l’evento che resterà in cartellone fino al 14 aprile 2019, il MUDEC ospita un’importante retrospettiva: è corretto segnalare che si tratta di una mostra non autorizzata dall’artista, come tutte quelle a lui dedicate, in quanto Banksy continua a difendere non solo il proprio anonimato, ma anche la propria indipendenza dal cosiddetto sistema. Leggi tutto

Outings Project, dai muri dei musei alle strade del mondo

Dalla pagina Facebook di Outings Project – un recentissimo lavoro a Goa, in India

Rieccomi: torno dopo una piccola pausa (serve, ogni tanto) e inizio facendovi prima di tutto gli auguri per un 2017 scintillante, in pieno stile glittering woman.

Visto che siamo ancora in clima di festa e considerato che stiamo godendo di qualche ultimo scampolo di libertà prima di tornare agli impegni abituali, ho scelto di ripartire parlando di arte, uno dei miei argomenti preferiti.

Credo che chi legge il blog, anche solo saltuariamente, abbia intuito che amo l’arte che non resta chiusa in sé stessa: sono convinta che essa sia un’espressione che deve appartenere a tutti in un dialogo ininterrotto, in una relazione reciproca tra chi crea e chi osserva, possibilmente fino a fondersi.

In più occasioni, ho dato spazio a questo tipo di visione, parlando, per esempio, di due iniziative delle quali sono stata testimone qui a Milano, ovvero Sopra il Sotto – Tombini Art ed Esco a Isola: stavolta, il mio sguardo si allarga per raccontare un progetto che abbraccia tutto il mondo e che – così come piace a me – lega artisti e spettatori.

Mi riferisco a Outings Project, nato nel 2014 su iniziativa dell’artista francese Julien de Casabianca: non riguarda la street art (non in senso stretto) né i graffiti, ma quadri classici condivisi in giro per le città.

Julien è avvezzo a esplorare l’arte in modi che comprendono installazioni, video, fotografia, tutti legati in qualche modo alla strada: in passato, è stato anche giornalista e scrittore e oggi è invitato da moltissimi musei a fare un vero e proprio copy and paste delle loro opere, in particolare di ritratti. E talvolta si tratta di lavori di proporzioni monumentali.

Julien dona nuova vita e nuova visibilità a tali ritratti, rendendo fruibile a chiunque la loro visione: in altre parole, fa delle copie e le trasporta dalle sale silenziose dei musei alle strade, portando l’arte fuori dai luoghi istituzionali e realizzando spesso anche una rivalorizzazione di spazi urbani pressoché abbandonati.

Volti noti e meno noti, tratti da dipinti di differenti secoli e stili, vanno così a decorare le città incrociando lo sguardo dei passanti.

Questo è il primo motivo per il quale ho scelto il suo progetto, perché è esattamente ciò che mi aspetto dall’arte: il secondo motivo, però, non è meno importante in quanto, dopo essersi cimentato in prima persona, Julien ha deciso di dare vita a un progetto partecipativo.

Come funziona Outings Project?

Basta andare in un museo, scegliere il ritratto che più ci colpisce (possibilmente non troppo famoso) e fotografarlo con il nostro smartphone (rispettando le istruzioni dei custodi): bisogna poi usare una stampante per rendere tangibile l’immagine, scegliere l’angolo della città che più ci piace e attaccare l’immagine ottenuta. Avremo così portato la nostra opera preferita fuori dal museo in cui era chiusa, liberandola e rendendola visibile a un pubblico più ampio: ecco perché outings, ovvero rivelazione ma anche gita, escursione (ah, quanto amo l’efficacia, la poliedricità e le sfaccettature dell’inglese!).

Come dicevo, il progetto è partecipativo e questo significa che tutti possono aderire, in anonimato, e oggi sono spesso proprio musei e scuole a incoraggiare cittadini e turisti ad aderire all’iniziativa globale. Il progetto ha così pacificamente invaso decine di città in tutto il mondo, dalla Francia all’India, dal Giappone al Vietnam, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Colombia al Messico, da Israele alla Palestina; si è inoltre guadagnato uno spazio tra le pagine di moltissimi magazine (guardate qui, c’è anche il New York Times) nonché di guide prestigiose (per esempio la Lonely Planet).

Se volete seguire anche voi Outings Project guardando le gallery delle opere liberate o aderendo a vostra volta, qui trovate il sito (e qui ci sono le istruzioni su come realizzare foto, stampa e affissione in modo legale), qui trovate la pagina Facebook, qui l’account Instagram e qui Twitter. Qui, infine, trovate il sito dell’ideatore Julien de Casabianca.

Condivisione e partecipazione applicate all’arte: amo tutto ciò e vi saluto con lo stesso invito espresso attraverso i canali social del progetto, ovvero be the next!

Manu

Sopra il Sotto: 24 tombini raccontano arte e moda a Milano

Ieri pomeriggio ero seduta alla mia scrivania quando Enrico, mio marito, è venuto a chiamarmi dicendo “vieni a vedere di cosa stanno parlando in televisione”.
Incuriosita, l’ho raggiunto in salotto: stava iniziando un programma incentrato sulla Bretagna, bellissima regione francese che noi amiamo molto e della quale ho anche parlato qui sul blog attraverso alcuni post pubblicati la scorsa estate.
Sono rimasta colpita dalla parte su Brest, città che noi abbiamo visitato nel 2012: il programma raccontava che, nella zona del porto commerciale, molti muri prima tristemente bianchi o grigi sono oggi ornati da bellissime opere firmate dai cosiddetti street artist.
Le opere sono autentiche pitture murali spesso di dimensioni importanti: in un certo senso, sono la versione moderna degli antichi affreschi e sono stati incoraggiati dalle autorità. Il giornalista spiegava che l’Ufficio del Turismo della città propone, tra i vari tour possibili, anche un itinerario che permette di scoprire questi capolavori d’arte a cielo aperto.
Sapete che sono una grande amante dell’arte e non vi nascondo che mi piace che essa serva a riqualificare le città non restando chiusa in musei e gallerie bensì andando incontro alle persone.
E così, innamorata dell’esempio di Brest, città che come altre ha deciso di dare spazio a questo tipo di creatività, oggi ho pensato di raccontarvi un progetto che riguarda la mia Milano con un altro esempio piuttosto curioso di open air art: le opere non si ammirano ai muri ma… sotto i nostri piedi.
Mi riferisco a Sopra il Sotto – Tombini Art raccontano la Città Cablata, un’iniziativa culturale promossa e realizzata da Metroweb, azienda titolare della più grande rete di fibre ottiche d’Europa.
Il progetto Sopra il Sotto nasce dalla volontà di guardare oltre, cosa che mi piace molto. Sotto l’asfalto e sotto i tombini si nasconde la rete in fibra ottica, una sorta di sistema di vene delle metropoli: grazie a questa rete, viaggiano informazioni preziosissime delle quali usufruiamo attraverso telefono, televisione e Internet.
Metroweb ha fatto da mecenate a questo progetto visionario che racconta la rete in un modo diverso grazie a una mostra unica nel suo genere: dal 24 febbraio di quest’anno, via Monte Napoleone e via Sant’Andrea ospitano 24 tombini artistici, pezzi unici e originali, cesellati a rilievo e dipinti a mano, pensati e ideati appositamente da numerosi stilisti, brand e maison che hanno aderito con entusiasmo.
Tra i tombini ce ne sono due progettati da altrettante giovani promesse dello stile: è stato infatti indetto un contest in collaborazione con l’Istituto Marangoni di Milano e una giuria (composta da rappresentanti di Metroweb, di Camera Nazionale della Moda Italiana e della celebre scuola di moda) ha selezionato tra gli studenti i due giovani fashion designer che hanno meglio interpretato il concetto di base. Alessandro Garofolo e Santi – questi i loro nomi – hanno così avuto la soddisfazione di veder realizzato il loro tombino che resterà in mostra fino a gennaio 2016, così come tutte le altre opere.
Questa è la terza edizione di Sopra il Sotto: come già avvenuto nel 2009 e nel 2010, a chiusura della mostra open air i Tombini Art, dopo un attento restauro, saranno battuti all’asta da Christie’s. Il ricavato sarà interamente devoluto a favore di Oxfam Italia, organizzazione non a scopo di lucro che è anche Civil Society Participant di Expo 2015.
Il tombino, oggetto che fa parte dell’arredo urbano, diventa dunque soggetto e lo fa attraverso la moda: il progetto fonde i due lati di Milano, affari ed estro creativo, in una mostra che riesce a portare l’amore per il bello e per il ben fatto dalle passerelle alla strada.
Se vivete a Milano o se avete occasione di visitarla magari proprio per Expo 2015, regalatevi un giro in via Monte Napoleone e via Sant’Andrea, stavolta a testa in giù e non in su come di solito si fa per ammirare le bellezze architettoniche delle città: in questo caso, l’arte viene messa ai nostri piedi, non solo metaforicamente, e dunque occhio a dove camminiamo 😉
Lo so, i tombini sono fatti per essere calpestati, eppure vi confesso che io non ho avuto il coraggio di camminarci sopra.

Manu

Sopra il Sotto – Tombini Art raccontano la Città Cablata, mostra di 24 tombini ideati dai grandi protagonisti della moda: in ordine di percorso, Giorgio Armani, Just Cavalli, Etro, Missoni, Larusmiani, Laura Biagiotti, Costume National, Moschino, 10 Corso Como, Prada, Trussardi, DSquared2, Versace, Iceberg, Brunello Cucinelli, Hogan, Alberta Ferretti, Valentino, Salvatore Ferragamo, Emilio Pucci, Giuseppe Zanotti Design, Ermenegildo Zegna e con la partecipazione di Istituto Marangoni.
Un progetto di Metroweb da un’idea di Monica Nascimbeni col patrocinio del Comune di Milano. In collaborazione con la Camera Nazionale della Moda Italiana e in partnership con Oxfam Italia.
Dove: Via Monte Napoleone e via Sant’Andrea, Milano
Quando: fino a gennaio 2016, a cielo aperto e sempre visibile night & day
Maggiori informazioni sul sito, sulla pagina Facebook, su Twitter e sul canale YouTube. Qui potete vedere il catalogo e qui il video di presentazione.

Il sito di Oxfam Italia: qui.

A proposito di Brest e dei suoi graffiti: qui potete ammirare uno dei murali opera dell’artista Pakone.

L’arte fuori dai musei, in giro per la città: qui ho raccontato la mostra Milan and the Magic Accessories, qui la riqualifica del sottopassaggio della Stazione Garibaldi e qui la mostra Viaggio in Italia.

La foto che illustra questo articolo mostra uno dei tombini del progetto Sopra il Sotto: è stata scattata il 27-02-2015 dalla mia amica Valentina Fazio e mostra (da sinistra in senso orario) me, la stessa Vale e Alessia Foglia (o meglio i nostri piedi!) attorno al tombino “Walk in Progress” firmato Giuseppe Zanotti Design.

Esco ad Isola perché lì trovo arte e colore

Sento dire spesso che Milano è una città incolore: esprimo il mio più vivace dissenso a tal proposito.

Semplicemente, il capoluogo meneghino è una città dalla bellezza difficile, spesso non evidente, tanto che va ricercata: quando si cammina per strada, per esempio, basta provare ad alzare il naso e si resta incantati dalla bellezza di molti palazzi, di certi particolari e fregi. Allo stesso modo, il colore, in realtà, c’è e c’è perfino in metropolitana.

Non so quanti, tra coloro che leggono queste righe (e io sempre vi ringrazio), vivano a Milano. Non so quanti, tra milanesi e non, siano passati per la stazione Garibaldi, importante snodo di ferrovia e metropolitana, e quanti si siano avventurati verso quella zona che dalla stazione stessa conduce direttamente al quartiere Isola e più precisamente a via Pepe, passando attraverso un tunnel che serve a raggiungere anche alcuni binari. Ultimamente, a me è capitato di passarci spesso e di incuriosirmi davanti al progetto artistico che ha letteralmente invaso tale sottopassaggio, oggi molto usato, tranquillo e perfettamente illuminato a giorno proprio grazie all’influenza positiva del progetto stesso. La street art contribuisce dunque a cambiare il volto di Milanoesattamente come avviene in altre grandi metropoli: penso a Parigi, nella quale sono appena stata, e poi a Londra e a Berlino, città che sono sì ricche di arte e storia ufficiali, ma che sono diventate anche vere e proprie gallerie a cielo aperto per la cosiddetta arte urbana – talvolta clandestina – e per installazioni visionarie, siano esse poetiche o di protesta. Amo tutto ciò, amo l’arte di qualsiasi tipo esso sia e non potevo, quindi, che innamorarmi del progetto Esco ad Isola. Leggi tutto

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