E come Emanuela o egocentrica? Viaggio dalle iniziali al monogramma

Ricordo perfettamente un episodio della mia adolescenza e lo ricordo perfettamente come se risalisse a ieri e non, invece, a molti anni fa.
Eravamo all’inizio dell’anno scolastico e, forse per rompere un po’ il ghiaccio dei primi giorni di studio dopo le lunghe vacanze estive, la professoressa di letteratura ci diede da fare un tema nel quale dovevamo parlare di noi stessi.
Ne ero intrigata e ricordo come iniziai: «amo parlare di me stessa con i miei difetti e i miei pregi».
Ricordo perfettamente il foglio protocollo a righe diviso in due colonne, quella di sinistra dove scrivevamo noi e quella di destra che serviva per le correzioni della professoressa; ricordo il mio orgoglio nel portare a casa quel foglio da far vedere alla mia mamma, come si faceva allora; ricordo l’orgoglio per il bel voto vergato in rosso; ricordo le parole di mia mamma che mi raggelarono.
«È davvero un bel tema, ma iniziare con quelle parole è decisamente un po’ egocentrico.»
Ci rimasi malissimo.
Perché tenevo al suo parere e mi dispiaceva che potesse pensare che io fossi egocentrica.
E perché mi sentivo incompresa.
Non volevo certo essere egocentrica e non avevo minimamente pensato che quelle parole («amo parlare di me stessa») potessero dare (giustamente…) una simile idea di me: ero in buona fede e, abituata da sempre a tenere un diario, volevo semplicemente dire che ero felice di poter condividere me stessa e i miei pensieri. Ma mi spiegai malissimo, me ne rendo conto, e mi vergognai anche pensando a come doveva aver sorriso la mia professoressa (che tanto stimavo) leggendo quelle mie parole che, sul foglio, risultavano tanto differenti dalle mie reali intenzioni…

Quel giorno, imparai un’importante lezione, anzi, due.
La prima è quanto sia grave una cattiva comunicazione e quanto sia importante scegliere con estrema cura le parole che usiamo. La verità, infatti, non è che non ero stata compresa: ero io che non avevo saputo spiegarmi.
La seconda lezione è che dovevo fare del mio meglio per tenere a bada quel certo ego che (quasi) tutti noi abbiamo, perché tutto desideravo tranne che diventare una di quelle persone che si sentono al centro del mondo, poiché in me, da sempre, esiste una volontà più forte: aprirmi al mondo e condividere.

Ed eccomi qui, parecchi anni dopo, a ricordare e a raccontare un piccolo episodio che è in realtà è diventato un monito importante del quale credo di aver fatto tesoro.
Nel frattempo, la comunicazione è diventata il mio mestiere e non ho mai smesso di controllare costantemente che il mio ego (indubbiamente forte ma credo e spero non a livello patologico…) non prenda mai il sopravvento su alcuna delle cose di cui mi occupo, nel privato e nel lavoro.
Prendete questo blog: l’ho aperto proprio per condividere tutto ciò che amo con gli altri e certo non per un mio personale tornaconto bensì per l’amore sincero verso persone e progetti che stimo. Ho voluto appositamente che il centro e la protagonista di tutto ciò non fossi io, ma persone, cose, marchi, progetti che sono sì visti con i miei occhi ma che restano (e devono restare) i protagonisti. Per questo, molto raramente, i post si incentrano su di me: me lo concedo in occasione del mio compleanno e poche altre volte (come in un ciclo che ho scherzosamente denominato Manie vs mio archivio).

Non solo, come altre persone che desiderano tenere a bada i propri difetti, anch’io adotto piccoli trucchi in tal senso: una strategia molto comune è quella di lasciare che il difetto in questione si espanda in una piccola mania tutto sommato innocente.

Volete sapere la mia? La personalizzazione di oggetti con il mio nome o iniziali o monogramma o, ultimamente, con Agw, ovvero l’acronimo del nome del blog.

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Il mio compleanno e la bellezza della gratitudine

E sono quattro.

Che cosa?

Con oggi, 26 novembre 2016, sono quattro i miei compleanni festeggiati attraverso A glittering woman, questo spazio web al quale tengo molto e che curo con grande passione, come se fosse una tenera piantina da fare crescere giorno dopo giorno.

Quindi, per prima cosa… tanti auguri a me 🙂 😆 🙂 😆

Sapete, riguardando i post degli anni passati, ho notato come ogni compleanno sia stato caratterizzato da un tema di fondo, da una sorta di leitmotiv.

Il primo anno è stato quello della gioia mista però a una vena di malinconia (lo stesso giorno è successo un fatto che mi ha rovinato la giornata); il secondo è stato invece l’anno della sindrome da pallina da flipper (quella che prende quando ci si sente un po’ sballottati come avviene, appunto, a una pallina intrappolata nel celebre gioco).

Il terzo, lo scorso, quello del 2015, è stato l’anno della teoria del kintsugi. Detta anche kintsukuroi, significa letteralmente riparare con l’oro ed è una pratica giapponese che consiste nel sistemare oggetti rotti attraverso l’uso di materiali preziosi: contiene – naturalmente – un messaggio intrinseco, ovvero che la vita consta non soltanto d’integrità, ma anche di rottura e che tale rottura va accolta come qualcosa che aggiunge bellezza.

Questo, invece, è solo e semplicemente l’anno della gratitudine. Leggi tutto

Bakarà, dalla Sicilia al mio armadio passando per Instagram

Per curiosità personale (caratteristica che mi accompagna da sempre) e per esigenze lavorative, uso il web per informarmi, per studiare e per fare ricerca.

Passo in rassegna centinaia se non migliaia di immagini, vaglio nomi, persone, volti, marchi, prodotti alla ricerca del dettaglio che mi colpisca, che attiri la mia attenzione distinguendosi e catturando il mio cuore.

Sono talmente abituata a fare questo vaglio ed è cosa talmente naturale che a volte non smetto nemmeno nei momenti di relax, magari alla sera, sul divano, iPad alla mano.

Una delle risorse che preferisco utilizzare per condurre tali ricerche è Instagram e lo è per due motivi: se vedo qualcosa che mi piace ho l’opportunità di entrare in contatto veloce e diretto col marchio che mi interessa; è uno strumento sufficientemente democratico, nel senso che si trovano account con milioni di follower così come piccoli account con pochi seguaci e, magari, cose splendide. Tutti possono aprire un account su Instagram, tutti possono farne la propria vetrina: è facile e immediato e si può incontrare chi, come me, usa questo social come un mare nel quale fare una buona pesca (e questo è un suggerimento affettuoso che mi permetto di dare a tutti i creativi che stanno leggendo).

A volte, dunque, finisco con il contattare chi suscita il mio interesse e lo faccio – diciamo così – in via ufficiale, presentandomi e raccontando del mio lavoro da editor; a volte, invece, procedo in incognito, segretamente e silenziosamente.

Perché? Non esiste un criterio preciso e sempre valido, diciamo che entrambi i casi possono dipendere da un mix di motivi: questione di naso, sensazioni, gusto personale, umore del momento, tempo a disposizione e via discorrendo.

A volte faccio dei test o degli esperimenti, lo confesso, e, visto che non sono certa al 100% circa il buon esito, preferisco agire con molta discrezione. Oppure, molto semplicemente, vedo una cosa, me ne innamoro e decido di tenerla per me. Egoista? Forse, ma neanche una editor pur molto appassionata, in fondo, può sempre privilegiare l’aspetto lavorativo. Giusto? Leggi tutto

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