Vladimiro Gioia FW 16-17 e l’arte dell’intarsio nella pelliccia

Ho pensato molto a come iniziare questo post e vi confesso che tutto questo pensare è qualcosa che, di solito, non accade.

Gli attacchi dei miei post non sono infatti mai frutto né di costruzione progettata in maniera artificiale né di calcolo malizioso: sono semplicemente riflessioni del tutto spontanee e autentiche che amo condividere con chi legge. Spesso – per non dire sempre – non obbedisco nemmeno alle regole giornalistiche per la redazione di un attacco efficace e d’effetto, regole che mi premuro invece di spiegare alle mie studentesse con grande entusiasmo (benedetta coerenza).

Perché, allora, tanto pensiero oggi? Vedete, il punto è che so perfettamente che attorno alle pellicce – l’argomento del quale desidero parlarvi – c’è parecchia perplessità se non discordia anche piuttosto accesa: io stessa sono dubbiosa sull’argomento e ammetto di essere combattuta, in quanto non vivo di certezze assolute e definitive.

Eppure, credo che ognuno sia libero di sostenere ciò in cui crede arrivando a valutare perfino caso per caso, se necessario; eppure, da quando conosco Vladimiro Gioia, non riesco più a dire un no categorico davanti alle pellicce. La maestria dello stilista, la sua perizia, la sua passione sono talmente elevate che non posso non rimanere affascinata e ammirata davanti al suo lavoro.

Vladimiro mi conquista con la stessa spontaneità e autenticità che io stessa applico al mio codice espressivo – la scrittura – e che lui riesce a esprimere nella sua dimensione: dunque, nel suo caso, dico sì.

Fermo restando il mio immenso rispetto per chi la pensa diversamente (chiedo allo stesso modo rispetto per la mia posizione), ho deciso di assumere il rischio in prima persona: accolgo il talento dello stilista e lo sostengo, come d’altro canto ho già fatto occupandomi di lui in precedenti occasioni.

(Ripensandoci: sì, è vero, stavolta ho pensato attentamente all’attacco, ma infine sono uscite parole più che mai sincere e sentite.)

E così, A glittering woman ospita oggi la collezione autunno / inverno 2016 – 17 firmata Vladimiro Gioia, quella che ho avuto il piacere di incontrare lo scorso febbraio durante Milano Moda Donna: a guidarmi tra le creazioni e a trasmettermi tutto il suo enorme e inarrestabile entusiasmo è stato proprio lui, Vladimiro in persona. Leggi tutto

Il mio compleanno e la bellezza della gratitudine

E sono quattro.

Che cosa?

Con oggi, 26 novembre 2016, sono quattro i miei compleanni festeggiati attraverso A glittering woman, questo spazio web al quale tengo molto e che curo con grande passione, come se fosse una tenera piantina da fare crescere giorno dopo giorno.

Quindi, per prima cosa… tanti auguri a me 🙂 😆 🙂 😆

Sapete, riguardando i post degli anni passati, ho notato come ogni compleanno sia stato caratterizzato da un tema di fondo, da una sorta di leitmotiv.

Il primo anno è stato quello della gioia mista però a una vena di malinconia (lo stesso giorno è successo un fatto che mi ha rovinato la giornata); il secondo è stato invece l’anno della sindrome da pallina da flipper (quella che prende quando ci si sente un po’ sballottati come avviene, appunto, a una pallina intrappolata nel celebre gioco).

Il terzo, lo scorso, quello del 2015, è stato l’anno della teoria del kintsugi. Detta anche kintsukuroi, significa letteralmente riparare con l’oro ed è una pratica giapponese che consiste nel sistemare oggetti rotti attraverso l’uso di materiali preziosi: contiene – naturalmente – un messaggio intrinseco, ovvero che la vita consta non soltanto d’integrità, ma anche di rottura e che tale rottura va accolta come qualcosa che aggiunge bellezza.

Questo, invece, è solo e semplicemente l’anno della gratitudine. Leggi tutto

Annalisa Caricato, quanta fantasia può stare dentro una minibag?

Sì, lo so: dovrei pensare all’autunno già in corso e all’inverno ormai imminente.

Dovrei pensare a castagne da arrostire e albero di Natale da allestire, presto, molto presto.

Non dovrei pensare alla primavera, ai tessuti leggeri, a colori e stampe vivaci, alle forme sinuose e accattivanti.

Non dovrei avere la testa piena di farfalle svolazzanti e fiori pronti a sbocciare.

Ma come si fa? Come si fa a non pensare a tutto ciò – farfalle, fiori, colori – dopo aver partecipato ai press day e dopo aver visto tante deliziose anticipazioni per la prossima primavera / estate 2017?

Come si fa a far finta di non aver visto nulla e a non condividere subito con voi almeno una piccola anticipazione?

Facciamo un patto: parlo di un brand sul quale non posso proprio tacere, poi metto la testa a posto (più o meno) e torno buona buona a occuparmi di collezioni autunno / inverno 2016 – 17. Affare fatto?

Ho sentito dei timidi sì, mi pare, e dunque parto: signore e signori, vi presento la poliedrica Annalisa Caricato della quale mi sono innamorata la scorsa settimana, dopo aver ammirato e toccato (anzi, accarezzato) le sue borse.

Annalisa Caricato nasce e frequenta i primi studi artistici nella città di Bari: compiuta la maggiore età, si trasferisce a Roma per formarsi come designer. Leggi tutto

QVC Next, quando il gigante prende per mano i più piccoli

Sostenere il talento dandogli voce e supporto.

Se siete lettori abituali di A glittering woman (grazie ), probabilmente vi sarà capitato di sentirmi ripetere qualcosa di simile decine di volte.

Pare che tali parole siano infatti diventate un mantra o un motto che potrei tranquillamente scrivere in alto a destra, dove ora trova posto l’altra dichiarazione d’intenti alla quale tengo molto (“Avventure tra il serio e il faceto di una fashion something, no victim, ovvero piccola wunderkammer con sorriso curata da Emanuela Pirré”).

Se non fosse che sono affezionata sia al nomignolo fashion something sia al concetto del dividermi tra serio e faceto sempre con il sorriso, lo farei, li sostituirei. Magari scriverei qualcosa tipo “Piccola wunderkammer nata per sostenere il talento”. Mah, chissà, ci penserò.

Motto o non motto, mantra o non mantra, ciò che comunque conta è agire e oggi desidero parlarvi di qualcuno che sta agendo a concreto supporto del talento.

Così come avviene ogni anno in questo periodo, nelle ultime settimane, giornalisti e blogger sono invitati ai press day, le giornate durante le quali abbiamo l’opportunità di vedere e toccare le collezioni per la prossima stagione: tra i tanti eventi di presentazione, sono stata anche a quello di QVC e ho avuto l’opportunità di conoscere da vicino il progetto QVC Next.

Sono certa del fatto che moltissime persone conoscano già la piattaforma multicanale al servizio dello shopping e che opera attraverso televisione, web e social media: fondata nel 1986 negli USA da un imprenditore di nome Joseph Segel, oggi QVC è una grande realtà internazionale arrivata in Regno Unito, Germania, Giappone, Cina e Francia. Leggi tutto

Hillary Clinton e i significati di un tailleur dai dettagli viola

Hillary Clinton e il marito Bill in occasione del Concession Speech del 9 novembre 2016 a New York (Photo Getty Images through Vogue)

Lo ammetto: dopo l’esito delle elezioni negli Stati Uniti, sono rimasta sotto shock per qualche giorno, al punto tale da non riuscire a scrivere nemmeno due righe sui social, Facebook, Twitter oppure Instagram.
In particolare, sono scioccata dalla schiacciante vittoria di Donald Trump, ammetto anche questo; sono però ugualmente basita davanti a certi commenti e ad alcune reazioni sia pro sia contro il nuovo presidente.
Si sente e si legge di tutto: c’è perfino chi sostiene che non si possa parlare di una vera vittoria di Trump, quanto piuttosto di una sconfitta – pesantissima – della Clinton poiché il voto non sarebbe una scelta da leggere in positivo, bensì un rifiuto deciso e categorico diretto alla esponente del partito democratico. Mi spaventa il fatto che ciò possa essere la verità, mi sembra terribile votare non a favore di qualcuno in cui crediamo, ma contro un altro candidato.
Si parla anche di un ulteriore messaggio, ovvero della saturazione della gente rispetto alla politica, ai suoi giochi e ai suoi protagonisti più consumati, come Hillary, appunto: qualcuno si spinge fino ad affermare che tutto ciò influenzerà anche il referendum italiano del prossimo 4 dicembre.
Vedete, non so se invidiare chi nutre tutte queste certezze: io ho piuttosto una montagna di dubbi e interrogativi e nutrivo molte speranze sul fatto che, finalmente, un Paese come gli Stati Uniti fosse pronto a dare fiducia a una donna. Ora, morta la speranza, mi pongo un ennesimo quesito: gli americani hanno ragione? Hillary Clinton è una donna tanto pessima da non poterle dare fiducia e lo è al punto tale da preferirle un uomo considerato mediocre e non all’altezza da molti, perfino all’interno dello stesso partito repubblicano del quale fa parte?
In fondo, desiderio di una donna presidente a parte, ho nutrito io stessa diversi dubbi sulla candidatura e su certi atteggiamenti di Hillary (in parte ne avevo parlato anche qui nel blog a proposito di donne e politica): forse, la Clinton non era davvero la candidata giusta affinché il sogno, mio e di molti altri, si avverasse.
Oggi come oggi, dubbi personali a parte, faccio comunque fatica a comprendere fino in fondo la scelta degli americani, un popolo che stimo per molti motivi; eppure, pur non comprendendo e non riuscendo a condividere la loro scelta finale, non mi piace nemmeno chi dà loro degli idioti oppure degli ignoranti o ancora degli ottusi senza analizzare le ragioni profonde di questo voto.
No, non ci sto e non accetto tali generalizzazioni, così come non le accetto mai e in nessun caso.
Siccome mi piace colmare la mie lacune ascoltando gli altri, in tutti questi giorni sono stata zitta e mi sono posta in ascolto proprio per cercare di capire le ragioni dei cittadini degli Stati Uniti: per esempio, ho ascoltato spiegazioni a mio avviso interessanti grazie a Kay Rush, giornalista nonché conduttrice radiofonica e televisiva che stimo.
Kay è statunitense (è nata a Milwaukee nello Stato del Wisconsin) anche se è naturalizzata italiana: può ben dire di conoscere la mentalità americana ed è dunque in grado di tastare il polso dei suoi connazionali.
Ai microfoni di Radio Monte Carlo, Kay ha offerto punti di vista ai quali non avevo pensato o che non avevo considerato, proprio perché, non essendo americana e non vivendo negli Stati Uniti, sicuramente non posso conoscere a fondo l’animo di quel Paese (e mi permetto di dire che di questo dovremmo tenere conto tutti prima di esprimere giudizi basati su conoscenze sommarie e non dirette).
Il primo motivo per cui Hillary non è stata apprezzata da molti è il comportamento che tenne quando suo marito Bill, allora Presidente degli Stati Uniti, fu coinvolto nello scandalo con Monica Lewinsky: gli americani, ha spiegato Kay, amano le donne forti, orgogliose e indipendenti, quindi non hanno apprezzato che la Clinton sia rimasta sposata per ragioni giudicate di mero interesse politico. Inoltre, i cittadini statunitensi amano che alla Casa Bianca ci sia una vera coppia e una vera famiglia, condizioni non più riconosciute ai Clinton. Infine, un ulteriore motivo è una certa altezzosità della quale si accusa Hillary che si è un po’ messa su un piedistallo: prova ne è, secondo la giornalista, il fatto che la Clinton non si sia recata in diversi Stati durante la campagna, facendo sospettare di essere arrogante al punto tale da dare per scontata la vittoria in alcuni luoghi. L’ha fatto perfino in Illinois, il suo Stato di nascita, dove era (forse) ciecamente convinta di poter vincere proprio per un motivo di origini.
Ma gli americani non sono sciocchi (come afferma sbagliando qualcuno) e Hillary, insomma, pagherebbe oggi lo scotto del suo atteggiamento, le accuse di chi la taccia di essere una guerrafondaia (vedere il suo ruolo di Segretario di Stato in un periodo in cui il Paese è stato protagonista di molti interventi bellici) e le sue scelte all’epoca del Sexgate.
Anche il ritardo con il quale la Clinton ha fatto la telefonata di resa (quella con cui ogni candidato statunitense sconfitto ammette tale condizione) non è stato visto di buon occhio in un Paese in cui prendere atto della chiusura dei giochi è un gesto importante che apre la nuova fase che subentra a campagna elettorale e votazioni finite.
Anche in questo caso, si sono sprecate illazioni di ogni tipo, genere e grado, mentre già si iniziano a fare confronti (spesso impietosi e imbarazzanti) tra la First Lady uscente Michelle Obama e Melania Trump, la nuova padrona di casa alla White House.
Sinceramente, a me tutto ciò un po’ infastidisce, quasi quanto i risultati delle elezioni stesse ed esattamente come e quanto sono stata infastidita dalle polemiche (a mio avviso di bassissimo livello) che sono seguite all’ultima cena data da Barack Obama e che ha visto la partecipazione di Matteo Renzi, il nostro Presidente del Consiglio.
Per giorni, non si è parlato di altro che dei vestiti di Agnese Landini Renzi e di Michelle Obama, del loro peso, della loro taglia e della loro forma fisica, della loro bruttezza e / o bellezza (delle signore e dei vestiti), dei brand scelti e via discorrendo.
Voi direte: sarai contenta, ti occupi di moda. Eh no, cari amici, non mi piace che gli abiti vengano usati per discorsi banali, triti e superficiali né mi piace che vengano usati per giudicare le persone.
Visto che penso che sia un linguaggio, mi piace che la moda sia tirata in ballo per fare analisi stimolanti e interessanti in grado di aggiungere nuovi piani di lettura e inediti spunti di riflessione: la critica fine a sé stessa e che sfiora il pettegolezzo mi annoia e mi nausea, invece, e chi mi legge d’abitudine lo sa. Leggi tutto

Gioielli alla Moda, la preziosità intangibile della creatività

Ci sono cose o eventi che sono capaci di trasmettermi un entusiasmo incontenibile e inarrestabile.

Un esempio? La conferenza stampa e l’anteprima di una mostra che riguarda una delle mie più grandi passioni: il gioiello.

Non posso, dunque, non nutrire il grande desiderio di condividere con tutti voi il racconto di un evento molto speciale che mette al centro piccoli capolavori, pezzi di storia, esemplari significativi della bellezza che la nostra Italia sa e può produrre.

La mostra in questione presenta 500 gioielli realizzati dai più celebri maestri bigiottieri, da giovani talenti del design, da piccoli artigiani, da maison e griffe internazionali della moda: sono creazioni che dal dopoguerra a oggi definiscono lo specchio estetico di una società in evoluzione, raccontano le conquiste e le ambizioni femminili, illustrano i cambiamenti e gli avvicendamenti dello stile e anche del progresso tecnologico.

Questi 500 pezzi (tantissimi, un lavoro di cernita enorme) sono i protagonisti assoluti di Gioielli alla Moda, mostra aperta fino a domenica 20 novembre a Palazzo Reale a Milano, nelle splendide Sale degli Arazzi, una delle sedi espositive più prestigiose della città – fatto che mi riempie di grande orgoglio.

Sono infatti felice che una tale sede dedichi attenzione al gioiello attraverso un evento unico (promosso e prodotto da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale, salone Homi) completamente dedicato al rapporto esistente tra gioiello e moda nelle sue intersezioni con il costume, la manifattura e – come già accennavo – la bellezza italiana.

Desidero anche porre l’accento su un altro elemento di grande prestigio: la mostra è curata da Alba Cappellieri, docente di Design del Gioiello e dell’Accessorio al Politecnico di Milano, una delle massime esperte del settore. Ecco perché parlo di evento speciale ed ecco perché lo è sotto ogni punto di vista. Leggi tutto

Bodhi, il cane modello che insidia il regno di Lucky Blue Smith

Il cane-modello Bodhi in una foto dalla pagina Facebook Menswear Dog

Recitare da cani. Recitare come un cane.
Chissà quante volte abbiamo sentito usare frasi di questo tipo: oggi, però, occorrerebbe essere più accorti e non adoperarle più. In fondo, lo afferma anche Roberto Gervaso.
«Si dice recitare come un cane, ma tutti i cani che ho visto recitare erano bravissimi», scrive il noto giornalista, scrittore e aforista. E, in effetti, mi viene da pensare a Lassie, Rin Tin Tin e Hachikō, più bravi – ed espressivi – di molti umani, attori e non.
Ma perché, a mia volta, sostengo tale tesi con tanto slancio? Perché, attraverso le mie infinite esplorazioni in rete, sono venuta a conoscenza dell’esistenza di un cane che fa il modello. Sul serio. Molto sul serio.

E così desidero narrarvi la storia di Bodhi, un cane di razza Shiba: tutto è cominciato tre anni fa, quando Yena Kim e David Fung, i suoi proprietari, hanno cominciato a vestirlo. L’animale è sembrato contento, preso dal gioco, e la prima foto pubblicata su Facebook ha avuto un successo immediato e virale: a quel punto, i due hanno avuto l’idea di lanciare un Tumblr intitolandolo Menswear Dog. Sottotitolo: The Most Stylish Dog in the World.
Quanto alla contentezza, non mi sento di contraddire la teoria: in effetti, guardando le foto, Bodhi non sembra scontento e anzi, al contrario, ha un’aria da attore molto calato nella parte – giusto per restare in tema recitazione.

Lei stilista per Ralph Lauren, lui graphic designer, Yena e David hanno lasciato i loro rispettivi lavori e hanno cominciato a rispondere alle richieste dei marchi: dopo Coach e Ferragamo, sono arrivate moltissime altre offerte da parte di marchi desiderosi di apparire con il cane neo superstar.
In tre anni, circa un centinaio di brand si sono interessati a Bodhi, da Marc Jacobs ad American Apparel passando per Victorinox e Ted Baker: il simpatico cane è anche diventato la mascotte di Comodo Square, un department store coreano.

Oggi, il quadrupede è un vero fenomeno delle reti sociali: ha centinaia di migliaia di follower combinando Instagram (286.000), Facebook (quasi 232.000) e Twitter (11.000) e le sue quotazioni da modello sono in costante crescita, tanto che c’è chi parla di uno stipendio medio di 15.000 dollari al mese, ricevuto – ovviamente – dai suoi proprietari, visto che l’apertura di un conto corrente resta per ora interdetta agli animali (chissà poi perché… lavorare sì e avere un conto no?).
I proprietari non confermano tali cifre e dichiarano solo che Bodhi guadagna un po’ di più del salario medio di un modello umano di sesso maschile: l’affare è comunque sicuramente redditizio, dato che ogni shooting viene negoziato a partire da molte migliaia di dollari. E per il momento è un business che non teme concorrenza, dato che questo cane dagli atteggiamenti incredibilmente umani è davvero particolare e alquanto unico, oserei dire.

Tutto questo successo ha permesso di lanciare anche un libro intitolato Menswear Dog – The New Classics, un volume che contiene consigli di moda per uomini, illustrato da fotografie di Bodhi e completo di dritte per coordinare al meglio gli accessori. Si parla anche del lancio di un marchio di abbigliamento per cani all’inizio del 2017.

Tutta questa storia mi è sembrata molto divertente e così ho voluto condividerla con voi insieme ad alcune considerazioni.
La prima: il termine bodhi indica l’illuminazione spirituale nell’ambito della religione buddhista. Ora, senza scomodare la religione, per carità… eppure, considerando le spiccate capacità del nostro amico peloso, mi lancerei ad affermare che il suo nome è l’indizio di un certo destino.
La seconda: si dice che il cane sia il migliore amico dell’uomo e che chi trova un amico trovi anche un tesoro. Ecco, Yena Kim e David Fung sembrano aver messo insieme le due cose elevandole all’ennesima potenza.
La terza: come ho detto in principio, la frase recitare come un cane assume, a questo punto, un significato del tutto lusinghiero.
La quarta e ultima: cari Lucky Blue Smith (per chi non lo sapesse, il modello del momento, 18 anni appena compiuti) e Cameron Dallas (un… veterano con i suoi ben 22 anni) scansatevi, per favore. Arriva Bodhi e a me, sinceramente, è anche più simpatico.

Manu

 

Vedere per credere: qui trovate Menswear Dog, qui la pagina Facebook di Bodhi, qui il suo account Twittter e qui quello Instagram.

Basta un poco di… HONEY e anche l’inverno va giù!

Ogni anno, puntualmente, l’inverno riesce a cogliermi impreparata.

Non chiedetemi come ciò sia possibile, vi prego: non so rispondere, non capisco se sia io a essere sciocca e a illudermi che il fatidico momento del suo palesarsi possa essere procrastinato (possibilmente all’infinito) o se sia lui, l’inverno, tanto bravo (o piuttosto subdolo!) da non farmi intuire il suo imminente arrivo.

E così, mentre ancora sono impegnata a lasciarmi pervadere dalla dolcezza dell’autunno (stagione che adoro) e dagli affascinanti fenomeni che lo accompagnano (come il foliage), vengo raggiunta dalla prima stoccata a tradimento del temibile Generale Inverno. Temibile per me, almeno, visto che detesto il freddo intenso; dunque incasso il colpo, d’un tratto risvegliata dai primi brividi.

In questi giorni, però, la mia proverbiale distrazione ha avuto uno scossone e mi sono ricordata di dare un occhio meno disattento al calendario. Chissà, forse sarà stata la prima mattinata di nebbia oppure sarà stato il cambio dell’ora e il ritorno all’ora solare: non so perché quest’anno tali eventi abbiano attirato la mia attenzione più del solito, ma il punto è che ho realizzato che l’autunno è ormai agli sgoccioli e lo è soprattutto qui a Milano, non tanto per ragioni di puro calendario (sempre più spesso le stagioni seguono ritmi che non combaciano necessariamente con le date ufficiali), ma piuttosto perché sento che l’aria sta cambiando.

Sì, l’aria si è già fatta più pungente e presto i meravigliosi tappeti di foglie – oro, arancioni, rosse – spariranno.

E quindi? È il panico, o almeno tale è per me! Leggi tutto

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