Stato di salute e futuro della moda in tempi di coronavirus

Da tempo, ormai, si parla di quanto sia necessario rivedere il sistema attraverso il quale la moda viene presentata, prodotta, distribuita.

Per quanto riguarda la presentazione e soprattutto le sfilate, si discute animatamente soprattutto circa tempistiche e modalità.
Continuare a sfilare mesi prima come accade ora oppure adottare la modalità cosiddetta ‘see now, buy now’ con la vendita immediata di ciò che sfila? Far sfilare le collezioni moda e uomo separatamente oppure adottare la modalità co-ed, ovvero congiunta?
E poi… quanto servono le sfilate-spettacolo? Si punta troppo sul clamore a discapito dei capi?
E ancora: chi è seduto in prima fila (e sono sempre più influencer e nuove celebrità) distoglie l’attenzione facendo parlare – anche in questo caso – di chi è ospite più di quanto si parli della collezione?

Per quanto riguarda la produzione, si discute invece di delocalizzazione a discapito di produzioni specializzate, di produzione in Paesi dove non vengono rispettati i diritti umani, di filiere fuori controllo e non più sostenibili per il nostro pianeta.

Per quanto infine riguarda la distribuzione, si discute della crisi profonda dei negozi fisici, della crisi delle grandi catene storiche, dell’esasperazione che vuole che merce nuova sia messa in vendita a ciclo continuo senza durare nemmeno una stagione secondo il modello fast fashion che, ormai, influenza fortemente tutto il sistema e tutte le fasce della moda, indistintamente.
Senza parlare poi del discorso delle rimanenze di stagione, problema oneroso non solo economicamente ma anche dal punto di vista ambientale (leggere stock distrutti o meglio bruciati e anche in questo caso da tutti, brand del lusso inclusi).

Insomma, riassumendo: il sistema moda era in crisi da tempo. Tutto il sistema.
Stilisti costretti a sfornare una nuova collezione dietro l’altra (per soddisfare la smania di soldi delle holding finanziarie dalle quali sempre più spesso vengono inglobati) mentre modelle, giornalisti, compratori, fotografi girano il mondo senza sosta, vanificando gli appelli a una moda ecosostenibile; merce che approda nei negozi a ciclo continuo, tra sovrapproduzione di capi e mancato allineamento tra stagione commerciale e stagione climatica, con il risultato di restare spesso invenduta e generare pericolosi scarti da gestire.

Non è un mistero come molti (Giorgio Armani in testa) condannino da tempo tutto ciò, un sistema che fagocita ogni cosa, con ritmi sempre più serrati e insostenibili e nuova merce da dare in pasto a un mercato sempre più saturo.
Perfino lusso, alto di gamma e alta moda hanno spesso dimenticato i propri valori (qualità, durabilità, esclusività) per avvicinarsi – come ho detto – a un modello fast fashion nella speranza (o meglio nell’illusione) di vendere di più.

Io stessa, naturalmente nel mio piccolo, ho parlato varie volte di dette questioni, dalla delocalizzazione (qui) alla crisi di catene e negozi storici (qui) passando per l’illusione che alto di gamma sia sempre meglio di fast fashion (qui), dalle condizioni socialmente e ambientalmente insostenibili (qui) al gender gap (qui) passando per le sfilate-clamore che vanno oltre ogni limite di decenza (qui), giusto per citare alcuni argomenti dei quali ho provato a parlare negli anni.

Il problema, dunque, esisteva: il coronavirus ha spinto sull’acceleratore, facendo definitivamente esplodere le varie questioni in tutta la loro evidenza e gravità.

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Nel futuro la wearable technology ci farà brillare. E non solo.

Un mio docente era solito fare un’affermazione che mi affascinava.

“Se una cosa capita una volta sola può essere casualità, ma se capita due o più volte diventa qualcosa di più. E potrebbe diventare un vero e proprio caso da studiare e del quale occuparsi.”

Quanto aveva ragione! Me ne sono accorta nel tempo e oggi tengo sempre ben presente quella sua piccola perla, soprattutto quando una notizia cattura la mia attenzione e quando non riesco a comprenderne il perché: mi regalo tempo e la metto da parte. Quando poi ne giunge un’altra che è come un pezzo di puzzle che va a unirsi alla prima… d’un tratto, tutto mi diventa chiaro. E penso a lui e a questa cosa importante che mi ha insegnato.

È usando proprio questo criterio che, ultimamente, mi sono accorta di aver messo da parte un paio di spunti, collegati e… letteralmente luminosi!

Luminosi, già: avete mai pensato di indossare un abito in grado di brillare di luce propria? Non sono impazzita, è l’idea portata avanti da alcuni stilisti e alcuni brand.

Parlo di abiti che si accendono veramente e che, in alcuni casi, arrivano perfino a cambiare colore: fino a non molti anni fa, tutto ciò era impensabile, era qualcosa che si poteva immaginare soltanto nelle fiabe o nei film di fantascienza. Poi, sono arrivati i LED, la fibra ottica e la wearable technology, la tecnologia indossabile, e quella che sembrava una fantasia irrealizzabile è invece diventata realtà.

Tra i precursori di queste tecnologie applicate alla moda, ci sono l’americano Ryan Genz e l’italiana Francesca Rosella, il duo che nel 2004 ha fondato un brand chiamato CuteCircuit.

Quando nel 2008, in occasione del proprio 75° anniversario, il Museum of Science and Industry di Chicago ha messo in piedi un’esposizione intitolata Fast Forward – Inventing the Future, gli organizzatori hanno chiesto proprio a Francesca e a Ryan di occuparsi del fronte moda pensando a come sarà ciò che indosseremo in futuro: in sei mesi di lavoro, i due hanno realizzato il Galaxy Dress, un abito da sera che si illumina e cambia continuamente colore grazie a 24 mila micro LED cuciti a mano uno a uno. Leggi tutto

Bradley Quinn ospite di Polimoda Textile Day: dialoghi sul futuro

Vi chiedete mai come sarà la moda non nella prossima stagione, ma nel futuro, ovvero come ci vestiremo tra 30 o 40 anni? Io me lo chiedo spesso, con curiosità, una curiosità non tanto legata a quali fogge o a quali abiti saranno in uso, ma piuttosto proprio all’evoluzione che essi avranno. Quand’ero piccina, fantasticavo sui film e sui libri di fantascienza chiedendomi se, da adulta, avrei mai visto cose come il teletrasporto: ora, da adulta, mi chiedo con più realismo come si evolverà il concetto del vestire e quanto esso si integrerà con tecnologia e nuovi materiali. Ad alcune di queste domande ho avuto una parziale risposta settimana scorsa grazie a Bradley Quinn e agli scenari che ha disegnato durante una sua guest lecture in Polimoda.

Polimoda, prestigioso centro di formazione, ha deciso di lanciare una nuova iniziativa: una serie di incontri atti a stimolare il dibattito sulla cultura della moda. E questo, come immaginerete, non poteva che attirare immediatamente la mia attenzione.

In ogni giornata verranno coinvolti personaggi, aziende, docenti e studenti e le tematiche saranno molto varie: dai tessuti ai colori, dalla scrittura alla fotografia, dall’illustrazione ai video. Questi eventi forniranno dunque una testimonianza diretta sulle ultime tendenze del settore ed anche un approccio pratico al mondo del lavoro. Leggi tutto

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