CiöD, il detto “chiodo scaccia chiodo” oggi si indossa

Qual è l’ingrediente indispensabile per riuscire a realizzare un prodotto di successo?

Credo sia difficile – e pressoché impossibile – dare una risposta univoca, perché le discriminanti sono molte e, a volte, ci sono logiche che risultano incomprensibili: ho visto naufragare splendide idee così come ho visto procedere a gonfie vele progetti sui quali mai avrei scommesso.

A me piace pensare che, oltre ad avere l’idea giusta al momento giusto, servano cuore e passione: qualcuno potrà pensare che sono un’ingenua ma, per fortuna, in questo piccolo spazio web posso sognare e posso far sì che la risposta alla domanda iniziale sia proprio questa. Posso far sì che talento e passione restino i miei chiodi fissi.

E oggi è proprio il caso di usare tale espressione: ancora una volta, do spazio a un progetto che ha il sapore della passione e della sfida; ancora una volta, do spazio a una storia di ingegno e creatività made in Italy e il tutto è collegato… ai chiodi.

Il nome di questo progetto è infatti CiöD che, in dialetto bergamasco, significa chiodo. L’idea è stata quella di scegliere un nome particolare che racchiudesse in sé sia il territorio di origine sia il concetto e la forma: obiettivo raggiunto e ora vi racconto come e perché. Leggi tutto

Demanumea, le borse che diffondono l’Art-à-porter

Accessori: oggetti che sono in grado di accendere e scatenare le passioni femminili, soprattutto quando assumono la forma di scarpe e borse.

Questa è la mia scherzosa definizione del termine accessori: se ne preferite (giustamente) una un po’ più seria, potremmo prendere in prestito quella dell’illustre vocabolario Treccani.

Alla voce accessorio, si trova quanto segue: “Che s’accompagna a ciò che è o si considera principale, quindi secondario, marginale, complementare”. E ancora: “Nell’abbigliamento, gli elementi che completano un abito o vi s’aggiungono con funzione decorativa o utilitaria”.

È vero, gli accessori nascono per accompagnare l’abito e per essere complementari a esso ed è altrettanto vero che svolgono funzione decorativa, tuttavia oggi rifiutano il ruolo marginale e secondario per reclamare piuttosto quello di veri protagonisti. E sono sempre più spesso utili, sotto diversi punti di vista, e sempre meno superflui.

Perché? E in quale modo? I moderni accessori sono ricchi di carattere e sono sempre più particolari grazie a materiali e lavorazioni: sono artigianali o al contrario super tecnologici e la loro scelta racconta tanto, anzi, tantissimo di noi. Lo fanno al punto tale che si potrebbe affidare il nostro outfit ad abiti sempre più lineari da caratterizzare e personalizzare proprio con gli accessori.

Prendiamo, per esempio, la borsa. Leggi tutto

Mauro Gasperi SS 2016 e la mia mania per il talento

Quando mi chiedono quali siano le mie passioni, cito la moda, l’arte, la musica, il cinema, la buona tavola, i viaggi. Sono alcuni degli argomenti che mi appassionano e non necessariamente in quest’ordine, anzi, un ordine non c’è: dipende dal momento, sono tutti importanti.

Quando invece mi chiedono di raccontare quale sia il mio talento, resto perplessa. Sapete una cosa? Non lo so, non l’ho ancora capito. Sempre che io ne abbia uno!

Da bambina, sapevo cosa mi sarebbe piaciuto essere in grado di fare: avrei voluto saper suonare il piano oppure avrei voluto sapermi muovere leggiadra sulle punte. Mi sarebbe piaciuto avere sufficiente talento per diventare una pianista o una ballerina.

Poi, col tempo, ho capito due cose: la prima è che – purtroppo – non possiedo quei talenti; la seconda è che forse non sono quelli giusti per me. Nonostante io sembri molto estroversa, in realtà sono piuttosto riservata: sì, mi piace aprirmi agli altri e al mondo, ma non amo esibirmi, in realtà. Il palcoscenico mi spaventa, mi irrigidisce, e un pianista e una ballerina, per forza di cose, devono esibirsi.

Preferisco stare dietro le quinte: quando scrivo mi espongo, è vero, ma lo posso fare stando qui al pc. In questo modo, condivido cuore e pensieri; poi, ci sono altre occasioni in cui espongo invece la mia faccia, letteralmente e fisicamente. Insomma, mi piace lasciare sempre un lato coperto, protetto, in un senso o nell’altro, esponendomi solo a piccole dosi. Un ballerino, invece, deve necessariamente donare tutto in contemporanea, volto, corpo, cervello, anima, cuore, pancia: ammiro tanto questi artisti, non sarei mai stata all’altezza.

Ecco, forse ho scritto la parola magica: artisti e io, purtroppo, non lo sono, è questo il punto. Il mio talento non è quello, non so fare nulla che sia artistico.

E per questo amo chi invece possiede talenti artistici; per questo mi piace seguire il loro percorso. Leggi tutto

Vito Montedoro e la vita che nasce tra le crepe

“Se non tagli via i rami secchi, come pretendi di fiorire?”

Ho letto queste parole qualche giorno fa, su Instagram.

Vi è mai capitato di leggere qualcosa e di provare la sensazione che sia stato scritto per voi, che parli di e a voi? Le parole qui sopra mi hanno fatto proprio questo effetto: sembravano stare lì ad aspettarmi, in attesa che io le trovassi.

Le ho subito adottate o forse loro hanno adottato me, perché è un periodo in cui mi sento così, mi sento come un albero con parecchi rami secchi: la colpa è mia, non li ho potati ed essi hanno continuato a richiedere e a risucchiare preziosa linfa vitale senza dare né foglie né fiori né frutti.

I rami secchi sono tutte le persone che ci ronzano attorno senza creare un reale e reciproco scambio; sono persone che risucchiano energie senza creare un benefico ricircolo.

Da queste persone dobbiamo – o dovremmo – fuggire: dovremmo avere il coraggio di potarle con decisione come si fa, appunto, coi rami secchi e inutili.

Bene, visto che è primavera, direi che è un buon momento per un po’ di giardinaggio: ho voglia di pulizia, di circondarmi di persone con le quali ci sia un autentico scambio di idee, di passioni, di energie.

Ecco perché, oggi, desidero dare spazio a una persona che stimo e con la quale sento esserci un’affinità di visione.

Il suo nome è Vito Montedoro e la cosa buffa è che abbiamo avuto una sola occasione di vederci di persona: eppure, nell’epoca di Internet, ci si può frequentare in tanti modi, per esempio proprio grazie al web. Ho raccontato più volte quanto, grazie alla rete, riesco a intrattenere scambi con persone verso le quali nutro stima e che non ho possibilità di frequentare nella vita quotidiana: Vito rientra tra queste persone. Leggi tutto

Cecilia Arpa SS 2016, la matematica diventa (letteralmente) moda

Inutile nascondersi, è meglio confessarlo subito: io e la matematica non siamo amiche per la pelle. Viviamo un rapporto difficile, una relazione complicata – come si dice oggi.

Eppure, non è sempre stato così: quand’ero alle elementari e alle medie, la matematica mi piaceva. Non quanto le materie letterarie che sono sempre state il mio grande amore, ma anche la matematica mi incuriosiva e mi affascinava con quelli che consideravo stimolanti misteri ed enigmi da risolvere.

L’idillio tra noi si è spezzato alle scuole superiori, esattamente in quarta, quando alla mia classe fu assegnato un professore terribile, un po’ nazista, uno di quelli a cui cambiavano sezione ogni anno per le proteste di genitori e studenti.

Il nazistoide aveva regole ferree quanto assurde: sul banco non dovevamo avere nulla se non una biro, il quaderno e il libro. Se vedeva, per esempio, un innocente portapenne, lo stesso volava giù dalla finestra.

A una riunione con genitori (preoccupati) e studenti (arrabbiati), enunciò la propria teoria che voleva che lui fosse un genio (incompreso, probabilmente) e noi dei poveri stupidi. Ci fu una sollevazione generale e io chiesi la parola: non ricordo di preciso cosa dissi, ma ricordo che espressi il mio pensiero a proposito di quella sua farneticante teoria e ricordo che alla fine erano tutti in piedi ad applaudirmi, i miei compagni, i genitori e anche diversi insegnanti. Ricordo anche gli occhi, gelidi, del professore che mi fissavano.

Indovinate un po’: io che, fino all’anno prima, avevo 8 in matematica… passai al 5. Il professore me la giurò, naturalmente, e pensò bene di darmi una lezione circa autorità e potere secondo la sua visione (distorta) che prevedeva più che altro il loro abuso. Leggi tutto

A me gli occhi, dal National Geographic agli anelli di Alysha Laurene

Dovete sapere che, tra le mie tante e diverse passioni, nutro da sempre interesse e curiosità nei confronti della scienza e della divulgazione scientifica. Quando nel 1998 nacque la versione italiana di National Geographic, fui una dei primissimi abbonati.
Tra le numerose declinazioni della scienza, mi attrae fortemente la biologia e, in particolare, sono affascinata dal funzionamento del corpo, umano e animale: recentemente, proprio il National Geographic ha catturato il mio interesse grazie a uno splendido articolo firmato da Ed Yong a proposito di occhi e vista.
I cinque sensi sono gli strumenti attraverso i quali esploriamo il mondo e, tra di essi, la vista è per me fondamentale, è il senso su cui faccio più affidamento: sono letteralmente ossessionata dagli occhi e da qualsiasi cosa li riguardi, così ho divorato l’articolo scoprendo moltissime cose, per esempio che, d’istinto, siamo portati a pensare che gli animali vedano come noi.
In realtà, se si va a studiare la loro visione, si scopre che non è così. E d’altra parte, pur avendo tutti quanti lo stesso sistema visivo, noi esseri umani vediamo in modi diversi a causa di fattori che vanno dalla densità di coni e bastoncelli nella retina fino all’integrazione sensoriale del nostro cervello.
Si può insomma affermare che gli occhi siano tra gli organi più diversificati esistenti in natura: il perché di tanta diversità è da ricercare nell’evoluzione nonché nelle più disparate esigenze di ogni singola specie.
Vi faccio qualche esempio tratto dall’articolo.
La sfinge della vite (Deilephila elpenor) ha occhi eccellenti per raccogliere le minime tracce di luce e fanno sì che l’animale possa distinguere i colori dei fiori carichi di nettare anche solo al tenue bagliore delle stelle.
Gli occhi dell’aquila di mare testabianca (Haliaeetus leucocephalus) hanno un potere di risoluzione eccezionale: due volte e mezzo quello degli occhi umani. Hanno retine con due regioni ad alta densità di fotorecettori (noi ne abbiamo una sola) e vedono davanti e di lato contemporaneamente.
La cubomedusa (Tripedalia cystophora) è larga solo 10 millimetri ma ha ben 24 occhi, alcuni semplici sensori di luce, altri dotati di lenti in grado di mettere a fuoco: un contrappeso mantiene l’occhio superiore puntato sempre in alto per individuare cibo e rifugio.
L’occhio sinistro del calamaro Histioteuthis heteropsis è grande il doppio del destro, guarda verso l’alto ed è ideale per individuare prede con la luce che viene da quella direzione: l’occhio più piccolo punta invece in basso, verso l’oscurità, per individuare prede e predatori bioluminescenti.
Il mantello della capasanta Argopecten irradians è cosparso di un centinaio di occhi di uno straordinario azzurro brillante, mentre il record quanto a dimensioni appartiene al calamaro gigante: gli occhi di un Architeuthis dux possono essere grandi fino a 30 centimetri. Leggi tutto

Francesca Fossati, (ex) abiti da lavoro diventano raffinata sartoria

In pieno svolgimento di Milano Moda Donna e in un momento in cui tutto il sistema moda si interroga a proposito della possibilità di un cambio epocale (ovvero smettere di presentare le collezioni con circa sei mesi di anticipo rispetto alla distribuzione in negozio), desidero parlarvi di un evento che ha catturato la mia attenzione per diversi motivi.

La stilista Francesca Fossati ha voluto realizzare un evento aperto al pubblico (e non ai soli addetti, dunque diverso dai classici format della Milano Fashion Week) e ha voluto presentare la collezione primavera / estate 2016 (e non quella autunno / inverno 2016-17, ovvero ciò che stilisti e marchi stanno facendo in questi giorni). Inoltre, il suo evento – che si tiene in via della Moscova 60 – proseguirà fino a sabato 12 marzo.

In pratica, Francesca sta già applicando due teorie caldeggiate da molti: aprire gli eventi moda a tutti senza distinzioni e cancellare il divario esistente tra il momento della presentazione e quello della messa in vendita.

Ieri, venerdì 26 febbraio, sono stata alla presentazione della sua collezione di alta sartoria che nasce da una ricerca a mio avviso molto interessante: parte infatti dall’analisi e dal recupero progettuale degli abiti da lavoro fino agli anni ’50 del secolo scorso.

Non per nulla, Francesca è stata definita – con un’espressione che mi piace molto – una dressteller: per lei, ogni creazione è un racconto, è la storia unica della donna che lo indossa, è un percorso infinito di intuizioni al singolare in cui forme preziose e materiali pregiati creano un mondo ricco di tradizione e innovazione. Leggi tutto

A primavera, i cappelli Doria 1905 viaggiano verso Levante

Non riesco a immaginare me stessa senza cappelli né potrei rinunciare all’idea di indossarli.

Ci sono piccole cose, piccole abitudini, piccole tradizioni che fanno profondamente parte di noi, della nostra vita, della nostra cultura, del nostro vissuto e della nostra minuscola storia personale: il cappello è per me tutto questo.

Indosso i cappelli molto spesso e li amo tantissimo, sebbene non da sempre: come ho raccontato in un mio recente articolo per SoMagazine, ho imparato ad apprezzarli in età adulta.

La cordiale antipatia che provavo nei loro confronti da bambina derivava dal fatto che ero costretta a portarli mio malgrado: mia mamma mi cacciava in testa il cappello senza tanti complimenti e senza accettare le mie vivaci proteste in quanto soffrivo di otiti e dunque desiderava che io proteggessi testa e orecchie. Il punto è che i cappelli da lei imposti consistevano spesso in certe cuffiette tricottate davvero tremende e quasi inguardabili…

Per fortuna, sono cresciuta e ho (quasi) superato certi ricordi (o sarebbe meglio dire traumi) alquanto imbarazzanti: oggi, in qualità di adulta innamorata della moda intesa come modalità d’espressione, amo follemente e incondizionatamente questo meraviglioso accessorio ricco di storia, di significati, di grazia, di bellezza; e lo amo anche perché è in grado – appunto – di esprimere molto bene la personalità di chi lo indossa. E a me le singole personalità piacciono molto, eventuali difetti inclusi (abbasso l’omologazione, sempre).

Il cappello mi accompagna sia in estate sia in inverno, cambiano solo i materiali: c’è chi afferma di avermi difficilmente vista senza cappello e perfino per il mio attuale biglietto da visita ho scelto l’immagine di una donna che lo indossa. Sorrido quando qualcuno mi dice “Ti assomiglia e ti descrive bene”: ne sono lieta. Leggi tutto

Fiorella Ciaboco ospita Ridefinire il Gioiello

Non mi stanco mai di ripeterlo: mi piacciono i rapporti che crescono nel tempo andando a tracciare un filo sottile che unisce momenti e persone.

E mi piace ancor di più se questo filo che io immagino essere di colore rosso – rosso come la passione – unisce donne in gamba con tante energie da condividere: immaginate la mia gioia quando Sonia Patrizia Catena ha voluto coinvolgermi ancora una volta in Ridefinire il Gioiello e in particolar modo nella terza tappa del progetto del quale è ideatrice e curatrice.

Grazie alla sua formula itinerante, il progetto è ora ospite della Sartoria Fiorella Ciaboco in corso Como 9 a Milano con l’esposizione dei gioielli di tre delle 51 finaliste: le creazioni di Elena De Paoli, Erminia Catalano e Nelly Bonati sono in mostra presso l’atelier fino a venerdì 26 febbraio.

I gioielli premiati sono espressione di un viaggio in senso fisico e metaforico e sono frutto di suggestioni paesaggistiche secondo il tema della V edizione del progetto-concorso: sono stati premiati da Fiorella Ciaboco per l’alta artigianalità, per la fattura, per l’accostamento particolare dei tessuti e per il loro spirito di autentico made in Italy. Leggi tutto

Alberto Zambelli SS 16 e l’Africa di Seydou Keïta

Qualche settimana fa, una persona mi ha fatto un’osservazione: parlando di una mia intervista ad Alberto Zambelli, mi ha fatto notare che lo stilista “è uno sconosciuto per il grande pubblico”.

Sarà. Forse è vero, forse no.

Comunque, ho sorriso – e sorrido – perché resta il fatto che, in ogni caso, questo risulta essere un modo piuttosto limitato e ristretto di vedere la faccenda che è molto più ampia e sfaccettata.

Primo: ho molta stima del “grande pubblico” e credo molto nelle persone in generale. Credo nel mio prossimo e in coloro i quali mi fanno il dono di leggere ciò che scrivo. Credo nella loro – nella vostra! – curiosità e voglia di conoscere. Cosa dite, sbaglio? Faccio male?

Secondo: penso che da un professionista o da un cosiddetto insider, ovvero da uno che sta dentro un certo ambiente, occorra aspettarsi (e pretendere) che presenti delle autentiche novità alle quali chi fa altro nella vita non ha modo o tempo di arrivare. Faccio un esempio pratico: se vado dal dentista, pretendo che sia in grado di presentarmi l’avanguardia e le tecniche più nuove ed efficaci, quelle che io non conosco ma che a lui devono essere note. Idem per la moda: se io fossi nel lettore da “grande pubblico”, da un editor o da un blogger pretenderei autentiche chicche e primizie da ricercatore.

Terzo: a me non è mai piaciuto vincere facile perché conquistare una vetta considerata ostica mi dà maggior soddisfazione che camminare su una frequentatissima pianura già largamente battuta. Non ho mai scelto la via più comoda, nemmeno quando ho potuto.

Aggiungete che sono ostinata al limite della cocciutaggine: difendo le mie opinioni con forza e perseveranza. Mi metto in discussione, sì, ma cerco, alla fine, di ragionare e scegliere sempre e comunque con la mia testa.

E, infine, amo la bellezza e il coraggio.

Mettete insieme il tutto e otterrete ciò che mi sono messa in testa: sono convinta che Alberto Zambelli e un manipolo di altri talentuosi stilisti sappiano portare avanti la bellezza dimostrando di avere il coraggio delle proprie idee.

Dunque, vale la pena di sostenerli e supportarli. Dunque, insisto e torno di nuovo a parlare di lui, di Alberto, scegliendo ancora una volta la strada meno facile, scontata e battuta. Leggi tutto

Il Gattopardo e la collezione Sergio Daricello SS 2016

Per alcune persone e per alcuni amori sono in grado di identificare il momento esatto nel quale sono nati.

Lo stilista Sergio Daricello è uno di questi casi: posso indicare con precisione chirurgica l’esatto momento in cui mi sono innamorata di lui e del suo modo di vedere, fare e intendere la moda.

Era il 24 giugno 2012 e allora Sergio era il direttore creativo di Giuliano Fujiwara: presentava la collezione uomo primavera / estate 2013, la prima da lui firmata per il brand italo-giapponese, e mi sono innamorata dei capi al primo sguardo nonché di lui appena i nostri occhi si sono incrociati. Da allora, ho sempre seguito Sergio, dalle sue successive collezioni per Fujiwara fino a una importantissima e fondamentale decisione: dare vita al marchio che porta il suo nome.

Siciliano di origini, Sergio ha frequentato giurisprudenza, ma ha poi deciso di dedicarsi alle arti grafiche e visive studiando pittura e restauro pittorico: successivamente, ha preso la decisione di trasferirsi a Milano per seguire il corso di design di moda presso l’Istituto Marangoni conseguendo il diploma nel 2002 col massimo dei voti.

Ha subito iniziato il suo percorso professionale con una forte attenzione verso il sistema del made in Italy: il suo esordio da stilista è avvenuto grazie alla maison Etro dove ha affiancato Kean Etro nella creazione delle collezioni uomo. In seguito, ha lavorato presso l’ufficio stile uomo di Dolce&Gabbana prima linea con il ruolo di fashion designer ed è poi approdato in Versace: dopo aver ricoperto per breve tempo la funzione di assistente stilista per la prima linea, è diventato responsabile stile uomo apparel & accessories per le linee Versace Jeans e poi Versus. Leggi tutto

Fatima Val SS 2016, metamorfosi ed evoluzione

Giorni fa, scambiando alcuni messaggi con un’amica, mi sono trovata a esporle una mia convinzione: sapersi adeguare al tempo in cui si vive è un’esigenza, oggi più che mai, pena la scomparsa, esattamente com’è accaduto ai dinosauri.

D’altro canto, tale mia convinzione non è certo innovativa: l’idea di evoluzione è molto antica e fu elaborata in modo scientifico nell’800, grazie all’opera di studiosi come Charles Darwin e Alfred Russel Wallace.

Darwin e Wallace si basarono su concetti quali la variabilità dei caratteri ereditari, la selezione naturale e la lotta per l’esistenza giungendo alle teorie evolutive che sono oggi le basi fondamentali della biologia: in maniera del tutto analoga, tali teorie possono essere traslate all’evoluzione del modo di pensare. Chi non è capace di far evolvere i propri pensieri e le proprie idee rischia di restare ai margini.

Ecco perché amo il lavoro dei giovani stilisti ed ecco perché amo, per esempio, quello di Fatima Val: il loro pensiero e la loro visione sono in costante evoluzione.

“La trasformazione è uno dei principali processi naturali nonché il più importante principio dell’evoluzione. È una legge generale grazie alla quale la vita stessa esiste: è questa la chiave dello sviluppo che dà origine alla diversità.”

È il pensiero che ho trovato aprendo la cartella stampa che mi è stata consegnata lo scorso 28 settembre, quando ho assistito alla sfilata della collezione primavera / estate 2016. Leggi tutto

L’anticonformista, la collezione Grinko SS 2016

È inutile, non ce la faccio proprio: provo a restare fredda e asettica, provo a frenare la spontaneità, ma è qualcosa che proprio non mi riesce.

O almeno non mi riesce con la moda: in questo ambito sono come quando ero ragazzina e avevo poche mezze misure.

Nella moda ci sono cose che mi piacciono e cose che non mi piacciono; cose che mi appassionano e cose che mi lasciano del tutto indifferente. Cercare di convincermi è inutile, in un senso o nell’altro, perché lo ammetto, soffro di un’imperdonabile presunzione, quella di voler pensare con la mia testa.

Scelgo le cose che mi piacciono e che mi appassionano e dedico loro tutto il mio entusiasmo; al contrario, non sono interessata a uniformarmi al pensiero che va per la maggiore né sono interessata a unirmi ai cori osannanti gli stilisti più in voga. Allo stesso modo, non ho timore di dire “piace anche a me” se ciò è la verità, ma il punto è questo: deve essere la verità.

D’altro canto, l’ho dichiarato fin dall’inizio: in questo spazio web entra solo ciò che mi piace attraverso una selezione fatta alla fonte. Una piccola dittatrice? Direi piuttosto che è una garanzia di sincerità.

Propongo e non impongo; propongo ciò che mi piace, spiego perché mi piace e poi lascio la decisione finale a chi guarda e legge. Tutto qui.

Nel caso in cui chi guarda e legge approva a sua volta ciò che ho accuratamente selezionato, questa persona gode di una garanzia: sa che la mia opinione è sincera.

Ecco, è questa la mia presunzione. E se, alla fine, sia perdonabile o no, lo lascio decidere a voi. Leggi tutto

Pensando alla primavera: Sunrise, l’aurora di Giulia Marani

Pare che, dopo un inverno finora mite, sia ora in arrivo il grande freddo: spero sia contento chi lo aspettava con tanta ansia. Non io, non sentivo affatto la mancanza del freddo rigido e non sono affatto contenta del suo arrivo: nel dubbio – e nel timore – che in effetti la previsione sia corretta, cerco di attrezzarmi con metodi di vario tipo.

Tra i più banali: mi sono comprata un delizioso cappellino con pompon oversize. Tra i più seri: dirigo i pensieri in direzioni per me piacevoli, per esempio verso l’idea della primavera.

Non potrebbe dunque esistere momento migliore per continuare a parlarvi delle collezioni per la prossima bella stagione: quella che ho scelto oggi ha un nome che è tutto un programma. Si chiama Sunrise, ovvero alba, aurora, sorgere del sole: un momento di rinascita, insomma, come quello che corrisponde all’arrivo della primavera.

Sunrise è la collezione primavera / estate 2016 della brava e talentuosa Giulia Marani, giovane stilista che seguo ormai da diversi anni e che, con grande gioia, vedo in costante crescita ed evoluzione.

Ciò che caratterizza fin dal principio il suo lavoro è la volontà di fondere moda e arte, un po’ come avveniva in un glorioso passato: cito come esempio supremo la mia adorata Elsa Schiaparelli e le sue collaborazioni con tanti artisti surrealisti. Giulia concretizza tale volontà scegliendo a sua volta di collaborare, stagione dopo stagione, con vari artisti tra i quali pittori e fotografi. Leggi tutto

Bellezza e poesia nei gioielli di Chiara Lucato

Oggi concludo un viaggio, quello intrapreso per presentarvi alcune delle designer che ho incontrato grazie a Ridefinire il Gioiello, il bellissimo concorso curato da Sonia Catena, storica e ricercatrice d’arte esperta in design del gioiello contemporaneo.

Ridefinire il Gioiello è un progetto che si pone l’obiettivo di diffondere una nuova estetica del monile contemporaneo tramite la ricerca di materiali innovativi e sperimentali: edizione dopo edizione, il concorso ha coinvolto più di 2.000 creativi tra artisti, designer e orafi e per l’edizione 2015 si è posto una nuova sfida, ovvero riuscire a creare un Gioiello dell’Altrove in grado di racchiudere in sé l’esperienza del lontano e dello sconosciuto.

Anche per questa edizione, ho avuto il piacere e l’onore di essere media partner del progetto e ho analizzato i 51 progetti finalisti allo scopo di attribuire un premio a un vincitore da me scelto: come ho spiegato nei precedenti post dedicati a Loana Palmas e Alessandra Pasini, la qualità dei lavori presentati è stata tanto alta da indurmi a nominare tre vincitrici, tre giovani donne dotate di grande talento.

Loana è stata la prima ed è poi toccato ad Alessandra: completo il percorso con Chiara Lucato e col suo pendente Il Cantastorie.

La sua creazione ha saputo catturare la mia attenzione grazie a originalità, bellezza e poesia nonché grazie all’idea intrinseca di movimento e alla volontà di rappresentare una cultura diversa e solo apparentemente lontana: il Giappone. Leggi tutto

Alessandra Pasini e il suo viaggio con Moku

Beato chi sa coltivare un proprio mondo interiore riuscendo ad alimentare il lato più poetico della vita; beato chi sa conservare il proprio lato fanciullesco risultando capace di trattenere il bambino che è in ognuno di noi.

Beato chi sa fare tutto ciò, beati coloro che riescono a mantenere vive le speranze e intatti i sogni.

Sono i pensieri che ha fatto nascere in me Alessandra Pasini, una delle designer che ho incontrato grazie a Ridefinire il Gioiello, il bellissimo concorso curato da Sonia Catena, storica e ricercatrice d’arte esperta in design del gioiello contemporaneo.

Ridefinire il Gioiello è un progetto che promuove la creatività e che si pone l’obiettivo di diffondere una nuova estetica del monile contemporaneo tramite la ricerca di materiali innovativi e sperimentali: edizione dopo edizione, il concorso ha coinvolto più di 2.000 creativi tra artisti, designer e orafi.

I monili hanno sempre raccontato e documentato usi e costumi, spesso con una valenza sociale e antropologica: l’edizione 2015 si è dunque posta proprio questa sfida, ovvero riuscire a creare un Gioiello dell’Altrove in grado di racchiudere in sé l’esperienza del lontano e dello sconosciuto.

Anche quest’anno, ho avuto il piacere e l’onore di essere media partner del progetto e ho analizzato i 51 progetti finalisti allo scopo di attribuire un premio a un vincitore da me scelto: come ho spiegato recentemente nel caso di Loana Palmas, la qualità dei lavori presentati è stata tanto alta da indurmi a nominare tre vincitori, anzi, tre vincitrici, tre giovani donne dotate di grande talento. Leggi tutto

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