Ci vediamo in Bottega con sette grandi donne milanesi

Ricevo e volentieri condivido – Con grande entusiasmo contribuisco a dare voce a Ci vediamo in Bottega!, il nuovo programma autunnale di Galleria&Friends con le Botteghe Storiche del centro di Milano, in collaborazione con il Municipio 1.

Galleria&Friends Milano è il progetto che, da ottobre 2019, si è posto lo scopo di creare una rete tra alcune decine di Botteghe Antiche della città attraverso una serie di eventi culturali (qui ho parlato di alcune loro iniziative).

Prende ora avvio il nuovo programma che consiste in una serie di incontri spettacolari e appuntamenti ‘impossibili’ (ancora una volta a cura di Elisabetta Invernici e Alberto Oliva, i due fondatori del progetto) con sette grandi donne milanesi del Novecento: Antonia Pozzi, Krizia, Alfonsina Morini Strada, Valentina Cortese, Carla Fracci, Brunetta Mateldi e Maria Callas.

Sette donne per sette appuntamenti, dal 5 ottobre al 6 novembre 2022, aperti al pubblico a ingresso gratuito.

Sono preziose occasioni di incontro e conoscenza e lascio dunque volentieri la parola a Elisabetta e Alberto per tutti i dettagli di Ci vediamo in Bottega!

Manu

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Qualche mia idea a proposito di essere – o non essere – un buon docente…

Oggi vorrei raccontarvi due storie.
Sono aneddoti personali e riguardano il rapporto avuto con un paio di docenti incontrati durante i miei percorsi da studentessa.

Quand’ero alle elementari e alle medie, la matematica mi piaceva.
Non quanto le materie letterarie che sono da sempre la mia grande passione, ma anche la matematica mi incuriosiva e mi affascinava.
L’idillio tra noi si spezzò alle scuole superiori, esattamente in quarta, quando alla mia classe fu assegnato un professore terribile, un po’… nazista (passatemi il termine), uno di quelli a cui cambiavano sezione ogni anno per via delle proteste di genitori e studenti.

Il nazistoide aveva regole ferree e un po’ assurde: sul banco non dovevamo avere nulla se non una biro, il quaderno e il libro.
Se solo vedeva, per esempio, un innocente portapenne, lo stesso volava giù dalla finestra.

A una riunione con genitori (preoccupati) e studenti (arrabbiati), enunciò la propria teoria che voleva che lui fosse un genio (incompreso, probabilmente) e noi dei poveri stupidi. Leggi tutto

I miei auguri a tutte le mamme con un paio di riflessioni

Oggi è la festa di tutte le mamme e io vorrei fare un paio di riflessioni.

Ho una mamma fantastica e so che ogni figlio (o quasi) vede la propria esattamente così, fantastica.
Diciamo che alla mia devo la vita due volte, la prima per avermi partorita e la seconda per avermi salvata dopo un incidente gravissimo (ho rischiato di morire…) quand’ero piccolissima.

Ho una sorella che è mamma e anche lavoratrice e – come tutte le donne madri e lavoratrici che conosco – ci mette l’anima per tenere tutto in equilibrio, lavoro, famiglia e anche tempo e spazio per sé.

Io non sono mamma per mia scelta (dico sempre, scherzando ma non troppo, che quando è stato distribuito l’istinto materno ho sbagliato fila) ma confesso di avere un’immensa ammirazione per le donne che lo sono, perché penso che crescere un figlio sia il ‘mestiere’ più difficile e di maggior responsabilità che esista e spesso, appunto, non è condotto in esclusiva ma in aggiunta ad altri ruoli e compiti.

In nome dell’ammirazione e del rispetto che nutro per le mamme, giungo dunque al cuore della mia riflessione scaturita da due fatti diametralmente opposti accaduti negli ultimi giorni.

Da una parte c’è la vicenda di un’imprenditrice che si chiama Monica Bortolami e che ha assunto a tempo indeterminato una collaboratrice che, timorosa, le aveva confessato di essere in dolce attesa; dall’altra parte c’è invece la vicenda di Elisabetta Franchi, nome noto del settore moda, che in un’intervista si è lasciata andare a dichiarazioni che lasciano basiti quanto ad arretratezza, parlando di donne giovani che non possono avere ruoli importanti che poi lascerebbero scoperti per andare in maternità e della sua conseguente scelta di assumere donne che siano ‘anta’ e che quindi abbiano già passato matrimonio, gravidanza e magari separazione…

Non voglio commentare le parole (offensive per ogni donna, madre o meno, giovane o ‘anta’) della Franchi che ora dice di essere stata fraintesa e strumentalizzata (boh, io ho ascoltato l’intervista e mi pare che abbia detto proprio ciò di cui viene accusata, nonostante i tentativi della giornalista Fabiana Giacomotti di arginarla e di frenarla su più punti).

Desidero invece fare gli auguri a tutte le mamme rilevando – ancora una volta, ahimè – quanta strada debba ancora essere fatta affinché ognuna di noi sia davvero libera di decidere di essere madre o di non esserlo, senza discriminazioni né giudizi (o pregiudizi).

Manu

 

*** Ho pubblicato questi stessi pensieri in un post in Instagram (lì con interessanti scambi di commenti).
Ho il desiderio che restino anche qui, visto che reputo i social network utili
ma, allo stesso tempo, anche fin troppo veloci nel ‘seppellire’ pensieri & parole… ***

 

«Si diventa madri in molti modi.
Per amore o per caso, di parto naturale o di parto per adottare, per convinzione, per convenzione. […]
Il punto è che conosco donne che sono madri, madri e basta. Pure senza figli.[…]
Perché si può essere madri persino con la propria madre, o il padre, quando ha bisogno di sostegno.
Si può essere madri quando si va in giro per il mondo a educare a forme altre di maternità, quando con le proprie parole si allatta un mare di figli orfani di affetti, di radici, di vita e di terra sotto i piedi.
Si può diventare madri di figli disabili ed essere madri di mille battaglie. Morire a ogni alba per un peso troppo grande, rinascere a ogni tramonto per le piccole cose leggere che non hanno peso ma hanno valore.
Conosco madri che hanno perso i loro figli […] eppure li ritrovano in ogni angolo della loro vita.[…]
Conosco madri che sono, nelle case, nelle corsie d’ospedale, nelle scuole, nelle librerie, nei conventi, nelle associazioni di volontariato.
Madri che sono, pure senza figli.

Perché figlio è il mondo di cui si prendono cura.»
Di Alessandra Erriquez

P.S. del 10 maggio: mi fa piacere condividere il link di un articolo lucido e intelligente pubblicato da Fashion Magazine circa il caso Elisabetta Franchi…

P.S. del 16 maggio: a quanto sopra, si aggiunge ora il fatto che l’azienda di Elisabetta Franchi è stata condannata per comportamento anti-sindacale per aver minacciato sanzioni nei confronti delle lavoratrici che scioperano contro l’obbligo degli straordinari (qui maggiori dettagli)… Anche in questo caso lei dirà di essere stata fraintesa e strumentalizzata?

 

Omaggio a Giusi Ferré, maestra della bella scrittura

Ognuno ha le proprie icone, persone che rappresentano i nostri ideali e valori oppure che simboleggiano le nostre aspirazioni più grandi e che sono dunque un esempio, un modello al quale puntare.

Quanto a modelli e aspirazioni, io non ho dubbi: i miei fari sono Anna Piaggi e Giusi Ferré, due donne immense nell’ambito del giornalismo di moda.

Purtroppo non sono riuscita a conoscere Anna Piaggi di persona (ma continuo a cercarla attraverso ogni cosa e opera che parli di lei), mentre ho avuto il dono di incontrare parecchie volte Giusi Ferré.

Lei, naturalmente, non mai saputo chi fossi e non lo dico con orgoglio ferito né con rammarico: era nell’ordine giusto e naturale delle cose poiché io sono nessuno, una tra le tante e i tanti, mentre lei era unica, la maestra della parola e della bella scrittura, la giornalista sopraffine, la testimone diretta della moda degli ultimi 50 anni nonché amica, guida e consigliera di molti stilisti, il modello e l’icona per quei tanti come me, la donna capace di dare voce a mille e più racconti che io desideravo ardentemente ascoltare.

Il 14 aprile questa voce si è purtroppo spenta per sempre e io mi permetto di renderle omaggio con tre ricordi personali.

Parto dalla prima volta che incontrai Giusi Ferré.
Attirai la sua attenzione involontariamente, grazie a una fantasiosa collana che indossavo: di quel giorno (era il 2013) resta una foto insieme in cui io ho un sorriso che va da un orecchio all’altro, quel tipo di sorriso che solo un’icona riesce a dipingerci sul volto in una sorta di sogno che si avvera.
Quella foto è qui nel blog, ma non la tiro fuori oggi… Leggi tutto

Salviamo il guardaroba di Valentina Cortese – appello Associazione Profumo

Ricevo e volentieri condivido – Valentina Cortese, classe 1923, è considerata una delle ultime dive del cinema e del teatro italiano: scomparsa il 10 luglio 2019 dopo aver compiuto 96 anni, è oggi protagonista di un’asta.

Ponte Casa d’Aste ha infatti in calendario l’evento “Arredi e guardaroba di una diva”, con esposizione dei lotti a Milano dal 25 al 27 febbraio e asta nei giorni 1 e 2 marzo: vanno all’incanto capi, accessori, memorabilia, tutto appartenuto a Valentina Cortese (*).

L’Associazione Culturale Profumo di Milano, da dieci anni impegnata nella tutela artistica e nella celebrazione della diva, lancia un appello: la preoccupazione è quella che vada dispersa una collezione che ha fatto la storia del costume.

Elisabetta Invernici e Antonio Zanoletti, Presidente e Vice-Presidente dell’Associazione, lanciano dunque “Salviamo il guardaroba di Valentina Cortese!”, appellandosi ai protagonisti della scena culturale italiana affinché scendano in campo per salvare quello che viene considerato «un patrimonio dell’umanità, un pezzo d’arte e artigianato italiano da consegnare alle nuove generazioni».

Conosco personalmente Elisabetta Invernici e Antonio Zanoletti e godono di tutta la mia stima: più volte ho avuto modo di toccare con mano quanto il loro lavoro sia appassionato e competente e ricordo molto bene quando nel 2018 presentarono la mostra dedicata a Valentina Cortese allo Spazio Oberdan sempre a Milano (ne avevo parlato qui).

Non posso dunque non dare voce al loro accorato appello, nella speranza che si possa fare qualcosa. Leggi tutto

LOOVERTITS l’omaggio a Sant’Agata nel mese della prevenzione

Ricevo e volentieri condivido – Lo scorso venerdì 17 settembre, in una splendida serata d’estate, ho avuto modo di visitare LOOVERTITS Omaggio a Sant’Agata, una mostra collettiva d’arte moderna ispirata al martirio di una delle figure tra le più venerate dell’antichità cristiana

La mostra è davvero molto interessante e sono pertanto felice di annunciare che, per offrire un contributo alla sensibilizzazione e alla prevenzione dei tumori al seno durante il mese dedicato a questo scopo, l’esposizione è stata prolungata fino a domenica 31 ottobre.

La mostra, ospitata all’interno dello spazio RIDE Milano in via Valenza 2, presenta le opere di oltre 40 artisti che hanno offerto il loro contributo alla causa con una personale reinterpretazione dell’iconografia classica dedicata a Sant’Agata, la giovane che nel 251 d.C. subì atroci torture tra cui l’amputazione dei seni e che quindi viene considerata protettrice delle donne affette da patologie al seno. Leggi tutto

Afghanistan, dai libri di Khaled Hosseini alla crisi di oggi

Undici anni fa, tra la primavera e l’estate del 2010, lessi Il cacciatore di aquiloni e Mille splendidi soli, i due grandi successi di Khaled Hosseini ambientati in Afghanistan.

Figlio di un diplomatico e di un’insegnante, Hosseini è nato nel 1965 a Kabul dove ha vissuto la sua infanzia.
Dal 1980, dopo aver ottenuto asilo politico in seguito all’arrivo dei russi, vive negli Stati Uniti con la moglie e i due figli.
Laureato in medicina, è autore del libro Il cacciatore di aquiloni, pubblicato nel 2003 (e che come racconta lui stesso aveva iniziato a scrivere sei mesi prima del crollo della Torri Gemelle); nel 2007 ha pubblicato il suo secondo libro intitolato Mille splendidi soli.
Sempre come racconta lui nella prefazione de Il cacciatore di aquiloni e proprio come Amir, il protagonista di quel romanzo, Khaled Hosseini ha iniziato a scrivere da bambino, negli Anni Settanta, nella sua Kabul.
È tornato in Afghanistan nel 2006 come inviato degli Stati Uniti per l’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

Nei suoi libri, Hosseini parla dunque del suo Paese, naturalmente partendo dal proprio vissuto e dai ricordi personali del periodo pre-sovietico – ma non solo.
Attraverso i suoi personaggi parla delle varie fasi della storia tormentata dell’Afghanistan, della vita quotidiana, della condizione femminile e delle minoranze etniche. E parla di amicizie che salvano e condannano. Leggi tutto

Le donne per le donne, la rete civica per l’Afghanistan

Ricevo e molto volentieri condivido – È nata Le Donne per le donne, una rete civica di donne le quali, di fronte al drammatico evolversi degli eventi in Afghanistan, hanno deciso di mettere subito in atto un’iniziativa che possa offrire un supporto a sostegno delle istituzioni, organizzazioni e associazioni che si occuperanno concretamente dell’emergenza rifugiati. È per me un onore dar voce a questa iniziativa.

***

Lo scorso 31 agosto è nata Le donne per le donne, una rete solidale tutta al femminile che ha deciso di attivarsi con un progetto sociale concreto di supporto ai rifugiati provenienti dall’Afghanistan.

Le donne per le donne è l’iniziativa di un gruppo eterogeneo – nato in rete e cresciuto in pochissimo tempo – di persone che vogliono mettere a disposizione le proprie competenze per collaborare in modo attivo con istituzioni, associazioni e organizzazioni che già si stanno occupando concretamente di questa emergenza – sia sul territorio afghano sia nell’accoglienza dei profughi in arrivo in Italia.

L’obiettivo della rete è quello di fornire un aiuto pratico e duraturo da parte della società civile a sostegno degli operatori in questa grande tragedia umanitaria – e non solo in questo momento di particolare emergenza ma anche negli anni a venire. Leggi tutto

The Sewing Crew, amore per il cucito in chiave contemporanea

Non ho creduto – nemmeno per un istante – alla favoletta che voleva che ne saremmo usciti migliori.
Sì, mi riferisco alla pandemia.

Siamo forse usciti migliori dalle tragedie che hanno costantemente costellato la storia dell’umanità?

L’essere umano dimentica e se, da una parte, ciò è la nostra maledizione (non impariamo…), dall’altra è forse anche ciò che in un certo senso ci preserva, che ci spinge avanti facendoci affrontare il futuro e l’ignoto come se fosse la prima volta, con slancio e con intonsa fiducia, come se non avessimo mai vissuto drammi e sventure, come se non avessimo dolorose cicatrici.

In fondo, il motto «andrà tutto bene» è figlio di questa nostra predisposizione che oserei definire genetica, insita nel DNA umano…

Ma se non ho creduto al fatto che saremmo stati migliori e poco al fatto che sarebbe andato tutto bene (il prezzo che abbiamo pagato non è certo poca cosa), ho invece sempre sperato nel fatto che avremmo comunque trovato la forza di andare avanti, dimostrando quella propensione verso il futuro che da sempre salva l’umanità.

Questo è il momento di guardare avanti, di creare nuove opportunità, di credere in chi ha l’energia di imbarcarsi in nuove avventure. Leggi tutto

La mostra che celebra Rosa Genoni – e qualche mia riflessione…

Sono passati 144 anni da quando Rosa Genoni nasceva a Tirano, comune contornato dalle montagne in provincia di Sondrio, e – a mio avviso – racchiudere questa donna straordinaria in una definizione univoca è operazione pressoché impossibile.

La Genoni è stata una persona straordinaria, immersa nel proprio tempo quanto proiettata nel futuro, sempre all’avanguardia e spesso contro corrente.
Musica, letteratura, ideologie, moda, artigianato e tecnologia: ogni forma di pensiero e di creatività diventavano per lei oggetto di studio e di applicazione concreta.
È stata creatrice di moda (e non solo, è stata soprattutto pioniera della moda italiana), insegnante, attivista per i diritti umani.

Chissà che cosa penserebbe Rosa Genoni del mondo di oggi, di un mondo in cui il gender gap è ancora fortissimo, in cui la disparità di opportunità per uomini e donne è ancora fortissima, in cui le donne che occupano ruoli prestigiosi sono ancora troppo poche, in cui c’è disparità di salario a pari mansioni; un mondo in cui a una donna che si presenta a un colloquio di lavoro viene ancora chiesto se intenda fare figli, un mondo in cui qualcuno ancora pensa che ci sia differenza genetica di predisposizioni e di specializzazioni tra uomini e donne.

Chissà cosa ne penserebbe una donna come lei che, nel lontanissimo 1893, era già impegnata per il miglioramento delle condizioni delle lavoratrici (entrando a far parte della Lega Promotrice degli Interessi Femminili); una donna come lei che nel 1905 venne scelta per i suoi meriti dalla Società Umanitaria per tenere lezioni serali e dirigere la sezione di sartoria (ruolo che occupò fino al 1933, anno in cui si dimise per non giurare fedeltà al fascismo); una donna come lei che nel 1928, insieme al marito Alfredo Podreider, inaugurò un laboratorio di sartoria, un asilo nido e successivamente un ambulatorio ginecologico per le detenute del carcere di San Vittore a Milano. Leggi tutto

Valentina Bellotti e V.Bell, il lusso della personalità

Il motivo per cui ho un account in Instagram è l’immenso amore per la condivisione, amore che tra l’altro ha dato origine alla professione che ho scelto (comunicazione a 360 gradi).
Instagram mi dà l’opportunità di condividere pensieri, riflessioni, idee, sogni, desideri, speranze e – visto che sono completamente sincera e poco incline alla finzione – mi dà anche l’opportunità di condividere talvolta preoccupazioni, tristezze, delusioni, ansie.

E poi, soprattutto, mi permette di condividere visioni e progetti che mi piacciono, mi catturano, mi stimolano, mi affascinano.

Ma oltre a chiacchierare di tutto ciò, dai pensieri personali ai progetti in cui credo, una parte particolarmente emozionante è quando – di persona o via social – si ha l’impressione di essere ascoltati e compresi proprio in ciò che si desidera condividere, perché ascolto e comprensione sono due dei doni più belli che ci si possa fare a vicenda.

Quando amo un progetto, quando amo la visione di un creativo, quando questo creativo a sua volta si ferma ad ascoltarmi, quando decide di includermi nella sua visione e di fare qualcosa ad hoc per me… beh, la mia gioia e la mia gratitudine arrivano alle stelle.

Ed è proprio ciò che è capitato con Valentina Bellotti alias V.Bell.

V.Bell si pronuncia esattamente come il francese ‘vie belle’ che significa ‘vita bella’.
Un nome, una pronuncia, un destino per Valentina Bellotti, classe 1983, che si forma come accessories designer grazie ad anni di gavetta e ruoli importanti in aziende del calibro di Dolce & Gabbana e Costume National.

Matura in lei la voglia di spingersi oltre e crescere ancora di più e, parallelamente al lavoro di consulenza in ambito accessori, decide di fondare un marchio che rispecchi appieno i suoi principi e l’insieme di tutte le esperienze vissute: V.Bell muove i primi passi nel 2015.
Basato su alcune parole chiave che sono diventate un vero mantra per Valentina, V.Bell punta sull’interattività del prodotto grazie all’unione che nasce tra le capacità della designer (creatività e saper fare) e i desideri di ogni cliente.
E diciamolo pure, in un frangente storico e sociale in cui il mercato è saturo, il fatto di creare qualcosa in cui una persona possa riconoscersi fortemente – perché rispecchia completamente la sua personalità, il suo stile di vita, i suoi gusti, le sue esigenze – può essere visto come una nuova forma di lusso, la forma di lusso definitiva, direi.

Le nostre strade si sono incrociate tempo fa (novembre 2019, come testimoniato qui) e da allora non ci siamo più perse di vista.
Quando Valentina ha notato che adoro le micro bag, visto che lei ne propone alcune che funzionano anche da porta mascherina, ha deciso di assecondare la mia passione proponendomi di lavorare a una creazione tutta per me: naturalmente ho accettato con entusiasmo.

Io ho scelto alcune caratteristiche, lei ha fatto tutto il resto.
Adoro che un creativo segua la sua visione tarandola su di me (è un immenso onore!) e allo stesso modo Valentina adora lavorare a prodotti personalizzati, non convenzionali e non di massa, il più possibile unici, oltre a mettere al centro concetti nobilissimi quali upcycling, sostenibilità e lavorazioni rigorosamente handmade, come le preziose cuciture manuali appositamente in bella vista.
Upcycling è un termine (meraviglioso) che indica quei processi e quei progetti in cui si utilizzano materiali di scarto per creare oggetti di un valore maggiore del materiale di origine (quasi sempre destinato a essere gettato): è il termine perfetto per la filosofia V.Bell!

«Mi piace fare creazioni ad hoc per ogni persona – mi ha detto un giorno Valentina – perché così posso enfatizzare le caratteristiche della sua personalità.»

Quello che vedete qui sopra è il risultato di questa sua visione ed è il risultato di come sia riuscita ad ascoltarmi.
Il modello si chiama Selma mask case e può essere personalizzato quanto a pellami e colori secondo il proprio gusto.

Se anche voi amate il lusso della personalità e dell’unicità e volete quindi seguire Valentina Bellotti, vi lascio molto volentieri i suoi dettagli.

Qui trovate il suo sito, qui la sua pagina Facebook e qui il suo account Instagram.

Buona esplorazione.

Manu

Voce su tela, il libro che racconta la storia magica di Clara Woods

Un paio di mesi fa, in ottobre, ho raccontato la storia di Clara Woods.

Clara nasce il 10 marzo 2006 a Firenze e, un anno dopo, i dottori fanno un annuncio terribile ai genitori: la piccola ha avuto un ictus prenatale e per lei viene prospettata un’esistenza da vegetale.

Mamma Betina e papà Carlo non ci stanno, non si rassegnano davanti a una sentenza tanto dura: Clara inizia un programma di riabilitazione e i suoi progressi stupiscono tutti così come la sua forza di volontà e la sua determinazione.

Nonostante abbia difficoltà a scrivere e leggere, oggi Clara comprende perfettamente tre lingue: la mamma è brasiliana, il papà è olandese-canadese e così lei comprende italiano, inglese e portoghese.
Nonostante non riesca a parlare, Clara si esprime attraverso la (meravigliosa) famiglia che è la sua voce.
Nonostante abbia difficoltà motorie, Clara riesce a correre.

Sebbene usi con difficoltà la mano sinistra, Clara impara a dipingere e ha trovato proprio in questo un nuovo, ulteriore strumento per comunicare perché se è vero che mamma Betina, papà Carlo e il fratello David la capiscono e sono la sua voce, quando Clara dipinge può parlare con tutti da sola.

Clara esplora ed esprime il suo universo emotivo attraverso l’intensità dei colori acrilici, rappresentando una quotidianità adolescenziale a tinte forti, realmente vissuta o immaginata. Leggi tutto

Clara Woods, “take your passion & make it happen!”

Bellissima, bionda, sorridente: Clara Woods

C’era una volta…

No, scusate, ho sbagliato l’incipit.
Perché quella che sto per raccontarvi non è una favola.
Prima di tutto perché non è accaduta in tempi lontani, ma accade oggi: in parte è stata già scritta e in parte lo sarà.
E poi perché non è qualcosa di inventato, frutto della fantasia, bensì è una storia vera fatta di persone concrete e reali.

La storia inizia il 10 marzo 2006 a Firenze quando viene alla luce una bambina di nome Clara, Clara Woods.
Purtroppo, però, un anno dopo, i dottori fanno un annuncio terribile ai genitori: la piccola ha avuto un ictus prenatale e per lei viene prospettata un’esistenza da vegetale.

«Quando arriva Clara – racconta mamma Betina – è bellissima e io e mio marito Carlo siamo pazzi di gioia, ma poi, piano piano, arrivano le prime paure, perché una mamma capisce, una mamma intuisce.
Il nostro angelo biondo ha qualcosa che non va. Mi dicono che sono ansiosa, che non mi devo preoccupare, che ogni bambino ha i suoi tempi, ma quando Clara ha un anno arriva la diagnosi e mi consegnano un foglio che dà un nome al mio incubo: ictus prenatale.
Assieme arriva anche la sentenza: mia figlia è destinata a una vita da vegetale. Ci dicono che non potrà mai parlare, camminare, scrivere e capire, che l’ictus le ha mangiato una parte del cervello impedendone lo sviluppo.
Credo di aver pianto tutte le mie lacrime, ma quando la disperazione sembrava aver preso il sopravvento io e Carlo ci siamo guardati e abbiamo giurato che avremmo dato a nostra figlia tutte le possibilità che i medici non erano disposti a darle.»

Clara inizia così un programma di riabilitazione volto a insegnarle a camminare, ad alzarsi, a vivere e i suoi progressi stupiscono tutti così come la sua forza di volontà e la sua determinazione. Ottiene le sue prime vittorie e, giorno dopo giorno, si trasforma in una ragazza solare e capace di affrontare ogni evento esternando le sue emozioni.

«La sua storia – racconta ancora Betina – ricorda quella del calabrone che, secondo la fisica, non potrebbe volare, ma lui non lo sa e vola lo stesso.» Leggi tutto

Senza Mare di Marina Spironetti: sostegno al talento e… buone vacanze :-)

Dal libro Senza Mare di Marina Spironetti

Quelli da marzo a oggi sono stati – per me e penso per noi tutti – mesi pesanti, impegnativi (per usare un eufemismo…), carichi di pensieri e di ansie.
Certo, a portare il fardello più grande sono coloro che si sono ammalati di COVID-19, coloro che hanno perso una o più persone care, coloro che oggi non hanno più un lavoro: a loro va tutto il mio rispetto e davanti a loro chino la testa.
Eppure, senza voler fare alcun paragone (sarebbe ignobile..), sostengo che tutti abbiamo perso qualcosa perché nessun italiano (o meglio nessun italiano degno di essere considerato tale) dimenticherà mai la sofferenza di un intero Paese e di tanti, troppi nostri connazionali – senza contare ciò che è successo e succede in tutto il mondo.

Personalmente, ammetto di essere molto provata e di aver vissuto, oltre all’ansia per i miei cari, tante altre paure.
Ho sperimentato la paura di vedere la mia Milano vuota, deserta, con tutte le saracinesche abbassate come mai mi era capitato di vederla nemmeno da piccina in agosto, quando allora d’estate la città si svuotava completamente.
Ho sperimentato il terrore per il futuro, l’assenza di progetti e di prospettive.
Ho raccontato in diverse altre occasioni (per esempio qui…) come la proiezione verso il futuro sia per me una condizione di vita fondamentale – nonostante io sia una persona che sa godersi il presente – e dunque il timore che quelle saracinesche potessero non rialzarsi più mi ha dato tanta preoccupazione, mi ha fatto molto soffrire, mi ha procurato quintali di ansia così come la difficoltà di immaginare e progettare un dopo.

Appena finito il lockdown, ho cercato di tenere a bada l’ansia grazie al contatto con la Natura.
Grazie ai miei balconi riempiti di fiori (con colazioni e pasti consumati lì con mio marito) e grazie a lunghe camminate e corse in campagna (io che sono… ero… una fan accanita della palestra preferisco ora l’allenamento open air); grazie a un soggiorno al mare (il mio amatissimo mare) e grazie a qualche giorno in montagna (che non è il mio elemento naturale e che eppure mi accoglie sempre con generosità).
Mentre la mia adorata città e tutto il Paese provano pian piano a uscire dall’emergenza e a rialzare le saracinesche, mentre anch’io come milanese e come italiana faccio la mia parte e provo a mia volta faticosamente a rialzarmi, mentre mi impegno a guardare verso il futuro, a immaginarlo e a riscriverlo per me e non solo per me, mentre accade tutto ciò… devo ringraziare la Natura dalla quale traggo forza, ispirazione e speranza.

Ora sento che resistere a questi mesi e resistere allo sconforto mi ha risucchiato molte energie.
Sento che quest’anno più che mai è giunto il momento di prendermi una pausa e di farmi cullare dalla Natura e dagli affetti che pian piano riusciamo a ritrovare, pur ancora con tante necessarie precauzioni.

Però, prima di prendere una pausa e di farla prendere a questo spazio, ho deciso di scrivere il presente post per chiudere nello stile che dal 2013 appartiene costantemente a A glittering woman: voglio dare il mio piccolo sostegno a una persona di grande talento impegnata nella continua ricerca della bellezza. Leggi tutto

Il mio letto è un giardino – il Mudec di Milano riparte così

Non può esserci sviluppo economico, sociale e conseguentemente democratico senza cultura, senza una solida base di conoscenza, di sapere, di istruzione.

Ne sono profondamente convinta e chi mi conosce sarà forse stanco di sentirmelo ripetere da anni.
Eppure, non riesco a smettere di sottolinearlo, di fare la mia parte (piccola, microscopica) affinché questo concetto fondamentale diventi condiviso, affinché non si creino malintesi in un frangente complesso come questo: non vi è antitesi tra cultura e sviluppo economico, anzi, la prima è presupposto fondamentale affinché il secondo possa verificarsi.
L’ignoranza genera buio e superstizione, genera false credenze e pregiudizi, fa sì che non si cresca né si progredisca; al contrario, conoscenza, sapere e istruzione ci rendono liberi e ci permettono di crescere, di migliorarci, di emanciparci, di aspirare a condizioni di vita migliori.

Per tutti questi motivi sono felice di dare spazio ancora una volta a un’iniziativa del MUDEC, il Museo milanese che tanto fa per promuovere quella conoscenza che crea coesione, che ci permette di essere liberi, che ci permette di guardare agli altri non con paura bensì con curiosità e interesse per diventare più ricchi, spiritualmente e intellettualmente.

Il MUDEC – Museo delle Culture di Milano presenta il primo approfondimento dopo il lockdown dettato dall’emergenza COVID-19: si tratta della mostra intitolata ‘Il mio letto è un giardino – Mi cama es un jardín. I tessuti delle donne del monte quichua (Santiago del Estero, Argentina)’. Leggi tutto

Tutte a casa, donne, lavoro, relazioni ai tempi del COVID-19

Il collettivo Tutte a casa

Quanto dolore ha portato nelle nostre vite il COVID-19.
Tanti, troppi morti.
Tante, troppe famiglie che si trovano ad affrontare gravissime difficoltà economiche.
Tante, troppe attività di ogni genere che sono state chiuse e che non riapriranno mai più.
E potremmo continuare…

Quando sento qualcuno dire «dobbiamo guardare il lato positivo»… resto stranita, sì, io che della positività e dell’ottimismo ho fatto una filosofia di vita.
Cosa può esserci di vagamente positivo nella scomparsa di un proprio caro?
Cosa può esserci di vagamente positivo nella difficoltà di dare da mangiare ai propri figli oppure nella difficoltà di non avere più un impiego o un’attività nella quale si erano investite fatica e passione?
Cosa può esserci di vagamente positivo per quegli studenti che non hanno potuto avere accesso nemmeno alla didattica a distanza?

A mio avviso, non vi è nulla di positivo in tutto ciò e vorrei che noi esseri umani non fossimo costantemente costretti a imparare dalle peggiori esperienze della nostra vita.
Vorrei che imparassimo ad amare davvero la vita e non per aver sfiorato la morte, ad apprezzare la libertà e non per aver sperimentato le limitazioni, a godere dei piccoli momenti e non per aver rischiato di non averne più.

Eppure, noi esseri umani siamo proprio questo.
Apprendiamo dagli errori, dalle difficoltà, dal dolore.
E bisogna accettare che, costantemente lungo tutto il nostro cammino, è nei momenti peggiori e più bui che abbiamo infine tirato fuori la forza della reazione, del riscatto, della risalita.

E allora, pur non riuscendo a parlare di lato positivo, sono conscia di come – ancora una volta – possiamo (e dobbiamo) guardare avanti chiudendo i conti con ciò che è stato e dimostrando di aver fatto nostra l’ennesima dolorosissima lezione.
Ed è alla luce di questo spirito che ho deciso di parlarvi oggi di un’iniziativa che mi è stata sottoposta e che, a mio avviso, va proprio in questa direzione.

Mi riferisco a Tutte a casa – donne, lavoro, relazioni ai tempi del COVID-19.

Permettetemi di raccontare che cos’è e la storia che c’è dietro. Leggi tutto

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