La Leggerezza va in mostra alla Galleria Rossini a Milano

Non mi stancherò mai di dichiarare la viva antipatia che nutro verso ghetti e recinti – a partire da quelli auto costruiti nei quali, talvolta, siamo noi stessi a rinchiuderci, negandoci infinite possibilità.

Non mi piacciono i compartimenti stagni e sono invece a favore della contaminazione e della libera circolazione di idee e pensieri; non ho simpatia nemmeno per classifiche e graduatorie, soprattutto quando si parla di arte e creatività, e non apprezzo definizioni come arti minori.

In aggiunta a tutto ciò, dichiaro il mio amore per la leggerezza.

Come ho raccontato in altre occasioni, quando parlo di leggerezza non mi riferisco a qualcosa che fa rima con disimpegno o superficialità, bensì a uno stato di grazia che lieve e soave solletica i sensi, con garbo e intelligenza, e che permette di «planare sulle cose dall’alto», proprio come affermava il grande Italo Calvino che a questo valore – tale lo considerava – dedicò anche un saggio.

Il saggio sulla leggerezza è la prima delle conferenze che Italo Calvino avrebbe dovuto tenere all’Università di Harvard nell’anno accademico 1985-86: morì prima, purtroppo, e il testo da lui preparato fu pubblicato postumo (Lezioni americane – Sei proposte per il prossimo millennio).

«In questa conferenza cercherò di spiegare, a me stesso e a voi, perché sono stato portato a considerare la leggerezza un valore anziché un difetto», scriveva Calvino, quasi a dimostrare che la pesantezza del mondo – quella che oggi spesso ci ritroviamo a subire – può essere sconfitta solo dal suo contrario.

Sono profondamente d’accordo con lui ed ecco perché, oggi, vi parlo di un concorso d’arte che si intitola proprio Leggerezza. Leggi tutto

Il rosso? Lo amo e lo porto perché supera le mode e dà energia!

Quando mi chiedono quale sia il mio colore preferito sono sempre un po’ in imbarazzo.

Perché? Perché la risposta è piuttosto articolata.

Prima cosa, vado a estro (o follia…) del momento: succede che, per intere settimane, io non riesca a liberarmi del nero, mentre capitano periodi in cui vesto in maniera piuttosto colorata. Passo da un estremo all’altro, insomma, come mi capita spesso e in diversi ambiti: mai mezze misure, io!

C’è da dire che, anche quando sono nel periodo total black, in genere riservo comunque al colore qualche piccolo spazio o almeno un accenno, per esempio attraverso qualche accessorio.

Sono dunque una persona che ama il colore in generale e che non può farne a meno, sia anche solo a piccole dosi.

E tra i colori non ne ho uno preferito in particolare: mi è capitato di scegliere capi e accessori azzurri, verdi, gialli, arancioni. Amo perfino il viola (tanto!), tinta disdegnata da molti: non sono minimamente superstiziosa.

Se devo invece indicare un colore che non mi è particolarmente gradito, devo ammettere che negli ultimi anni faccio molta fatica a portare il marrone: è strano, anni fa mi piaceva e lo indossavo, spesso e volentieri. Leggi tutto

Vi racconto (e vi mostro) perché amo tanto gli anelli

Mi diverto da sempre a scattare foto dei bijou che possiedo: da qualche anno, condivido dette foto soprattutto su Instagram e in particolare mi diverte pubblicare quelle dei miei anelli.

Tali monili mi affascinano a tal punto che, per esempio, ho scritto di alcune delle loro declinazioni possibili per SoMagazine, una delle testate con le quali collaboro: tra tutti gli oggetti che hanno funzione ornamentale, gli anelli sono forse i più significativi, sia quelli che scegliamo per noi sia quelli che regaliamo.

Ma oggi non ho intenzione di fare un trattato serio (non che quel mio articolo avesse la pretesa di essere ciò, era solo un piccolo excursus tra storia e curiosità che, tra l’altro, un giorno mi piacerebbe riprendere, approfondire e sviluppare): oggi desidero parlarvi più che altro del mio rapporto emozionale con gli anelli e condividere alcune di quelle foto che ho menzionato.

Qualche settimana fa, in un altro post, ho scritto che, per riuscire a catturare la mia attenzione, un gioiello – qualunque esso sia, più o meno prezioso – deve possedere carattere: deve essere in grado di trasmettermi una sensazione, un’emozione, deve affascinarmi, stupirmi, incuriosirmi, sorprendermi, divertirmi.

Deve coinvolgermi, insomma: non apprezzo i gioielli anonimi, scontati, banali e dunque noiosi. Guai, poi, a una mia reazione neutra o indifferente davanti a una creazione. Leggi tutto

Tutti in strada in via Caprera: ecco com’è andata

Lo scorso giugno, qui nel blog, avevo parlato di una bella manifestazione che si svolge a Vittorio Veneto, in provincia di Treviso, e che si chiama Tutti in strada in via Caprera.

Via Caprera è una strada della città e, una volta, ogni suo edificio ospitava un’attività economica: alla mattina, artigiani e commercianti scendevano le scale di casa e aprivano bottega. Si contavano ben otto sarti, tre calzolai, uno zoccolaio, molti falegnami e poi venditori di vino, osterie e tutte le attività che potevano servire alla vita di una comunità.

La via fungeva da crocevia tra le borgate e ancora oggi è sede di una vivace comunità che sta riscoprendo il piacere di vivere la strada: tra le varie iniziative esistenti ne figura una che mette al centro arte, storie, mestieri di una volta, giochi, intrattenimento per grandi e piccini. Dal 2013, ogni estate per un weekend, via Caprera diventa un grande laboratorio di idee e fantasia: ecco spiegata in poche parole la manifestazione.

E così, Tutti in strada in via Caprera riesce a favorire nuove amicizie, consolidare le antiche, dare nuovi stimoli a commercianti e artigiani che hanno scelto questa via per la loro attività; non solo, la manifestazione propone bellezza attraverso il concorso Abiti_Amo e promuove socializzazione e solidarietà grazie a Porta l’Arte, iniziativa che culmina in un’asta benefica.

Il tema lanciato dal comitato organizzativo per l’edizione 2016 di Abiti_Amo era, a mio avviso, molto stuzzicante: il concorso è dedicato ai creativi della moda e i partecipanti sono stati invitati a scatenare la loro fantasia attorno a “Tutto ciò che sta sulla testa”.

In un primo momento, si era pensato a due sezioni nettamente distinte: la prima, chiamata “Eccentrici ma portabili”, per cappelli artistici o che fossero comunque una dimostrazione eccentrica di creatività; la seconda, chiamata “Da manuale ma con brio”, per cappelli dalle forme classiche e dalle lavorazioni tradizionali, all’insegna della modisteria, della sartorialità e anche del comfort.

Visto che da sempre supporto il talento, ho parlato con gioia di Abiti_amo dedicando un post con il quale ho condiviso il bando di concorso: mi sembrava importante presentare un’occasione davvero perfetta per chi avesse la voglia e il coraggio di cimentarsi, stilisti, creatori di cappelli, studenti di moda e – più in generale – tutti coloro che possiedono estro, fantasia, arte, capacità, tecnica e… un briciolo di faccia tosta, naturalmente.

Non vi dico la gioia che ho provato quando sono stata invitata a fare parte della giuria che avrebbe valutato le opere arrivate e così è iniziata la mia avventura a Vittorio Veneto, tra l’altro in uno splendido week-end (16-17 luglio) illuminato dal sole e allietato da una temperatura perfetta. Leggi tutto

Unoaerre, un museo (letteralmente) d’oro

Sono fermamente convinta di un fatto: le cose più belle sono spesso quelle che non ci aspettiamo e che non programmiamo.
Lo scorso week-end, per esempio, sono stata vicino ad Arezzo insieme a Enrico, mio marito, per sostenerlo in una delle sue grandi passioni: il modellismo.
Nella bella città toscana, ho delle amiche preziose le quali, saputo del mio arrivo, si sono adoperate per farmi vivere alcune esperienze davvero deliziose. Agnese, una di loro, è stata così gentile e premurosa (leggere: fantastica) da far sì che potessimo visitare il museo di UNOAERRE, importante azienda che non ha bisogno di molte presentazioni.
Non solo: la visita è avvenuta sotto la guida di Giuliano Centrodi, direttore, curatore e conservatore del museo nonché modellista storico di UNOAERRE.
Come avrei potuto immaginare che, un fine settimana pensato ad hoc per la mia dolce metà, si sarebbe trasformato in qualcosa di interessante per le mie attività e che sarei entrata in un luogo importantissimo per la tradizione orafa? Ecco perché dico che le cose inaspettate sono le più belle.
Arezzo è uno dei poli italiani dell’oro insieme a Valenza e Vicenza: la storia di UNOAERRE inizia il lontano 15 marzo 1926 grazie a Carlo Zucchi e Leopoldo Gori, i due fondatori dell’azienda.
Forse non tutti sanno che, fino a inizio ‘900, in Italia i gioielli erano punzonati unicamente per attestare la veridicità del metallo, ma non recavano il marchio di chi li aveva prodotti: il vero marchio orafo che garantisce il titolo e certifica anche il produttore nacque come idea durante il ventennio fascista.
Perché vi sto raccontando questa cosa? Perché è strettamente legata alla storia e al nome dell’azienda: il 2 aprile del 1935, la Gori & Zucchi ricevette infatti il primo marchio della provincia di Arezzo, ovvero 1AR. Tale marchio scritto per esteso (UNOAERRE) è diventato a tutti gli effetti il nome alla società.
In quasi 90 anni, varie generazioni di orafi, tecnici, maestri e artisti hanno costruito, sviluppato, consolidato e fatto conoscere una realtà economica ancora oggi unica al mondo: l’azienda arrivò ad avere più di 1500 dipendenti negli anni ’60 e, proprio tra gli anni ’50 – ’60, le fu riconosciuto il ruolo di zecca e dunque fu autorizzata a battere valuta in corso legale. Lo fece per più di 90 paesi tra i quali il Regno Unito.
Non c’è praticamente paese dove non sia giunto un gioiello UNOAERRE e oggi l’azienda vanta una distribuzione in oltre 40 stati con filiali dirette in Francia e Giappone: in Italia è il marchio leader nel mercato delle fedi nuziali aggiudicandosi una fetta del 70%.
UNOAERRE è dunque una nostra gloria della quale essere giustamente orgogliosi: nel 1988, l’azienda ha inaugurato il suo museo fondato con l’intento di non disperdere la memoria storica e di offrire un percorso espositivo che parte dalla cosiddetta archeologia industriale (i macchinari d’epoca).
La collezione comprende oltre 2000 opere tra disegni originali, pezzi di oreficeria, gioielli e diversi pezzi unici: sono per esempio rappresentati gli anni ’20 (con gli ultimi bagliori della Belle Époque e dello stile ghirlanda tipico del periodo), l’Art Déco col suo stile dal sapore geometrico e i gioielli autarchici degli anni ’30, fatti in argento, rame e vetri colorati. Il tutto narra con efficacia una storia che è ancora viva ed attuale grazie ad un continuo aggiornamento con i gioielli più rappresentativi delle collezioni contemporanee: per questo il museo può essere considerato come un patrimonio presente e futuro di arte e cultura orafa.
A me è piaciuto proprio questo, ovvero il fatto che l’esposizione appaia straordinariamente viva: sicuramente il merito va anche a Giuliano Centrodi e alla sua straordinaria conoscenza e memoria. Pensate che è entrato in azienda nel 1963 quando era un giovane e promettente studente di soli 18 anni: oltre ad essere stato direttore artistico di UNOAERRE e ad essere oggi curatore del museo, ha insegnato presso l’Università di Firenze.
Sono onoratissima di averlo conosciuto e di aver ascoltato un pezzo di storia raccontato con vigore, eleganza e passione.
Tra i tantissimi pezzi del museo, sono rimasta affascinata proprio dai gioielli autarchici di epoca mussoliniana e dalle testimonianze della campagna detta Oro alla patria (il dono degli oggetti in oro e soprattutto delle fedi matrimoniali sostituite da esemplari in ferro che venivano date a coloro i quali facevano la donazione, uno dei momenti più impressionanti del consenso al regime fascista favorito da una martellante opera di propaganda): ho amato anche i bellissimi pezzi del grande Giò Pomodoro, autentiche sculture da indossare.
Se amate la bellezza, il saper fare, la capacità, la fantasia, la creatività, il made in Italy e se amate la storia, vi raccomando una visita a questo bellissimo museo che è un autentico gioiello. Letteralmente.

Manu

Il museo (situato presso la sede dell’azienda in Località San Zeno Strada E al civico 5, Arezzo) è visitabile su prenotazione, telefono: 0575 9251, e-mail info@unoaerre.it
Qui trovate la pagina Facebook di UNOAERRE

Vi lascio con la gallery delle foto che ho scattato in occasione della visita di sabato scorso. Le ultime due sono opera di Grazia, una delle mie amiche: la prima mi ritrae con Giuliano Centrodi, mentre la seconda ritrae noi tre, Grazia, la sottoscritta e Agnese. Un grazie speciale ad Agnese e Grazia

Il Divertissement secondo Agnese Del Gamba

Ci sono parole che mi affascinano, mi incuriosiscono e mi divertono per la loro capacità di disegnare scenari molto ampi: prendete, per esempio, divertissement.
È presa in prestito dal francese e significa divertimento: dal punto di vista storico, il termine indicava danze o canzoni inserite in opere e balletti francesi del XVIII secolo. Il divertissement era collocato tra gli atti o alla fine dello spettacolo ed era connesso al soggetto del lavoro: era quindi propriamente un momento di divertimento intelligente.
In seguito, il termine è passato ad indicare composizioni letterarie o artistiche di tono leggero che nascono come divertimento dell’autore; oggi, si utilizza per indicare un’attività anche impegnativa ma fatta per piacere o per svago e divertissement è anche il prodotto che ne deriva.
Non potrebbe dunque esistere nome più adatto per il lavoro di Agnese Del Gamba.
Gli ingredienti del suo lavoro e del suo brand sono l’estro, la creatività e l’abilità delle sue mani: da questo mix nascono i suoi Divertissement, oggetti da indossare o fatti per arredare.
Agnese idea e costruisce bracciali, anelli, collane, orecchini, cerchietti per capelli e fascinator ma anche lampadari, talvolta su ordinazione: in ogni sua creazione, filati e tessuti di pregio, bottoni e passamaneria di antiquariato prendono vita in modo sempre diverso e suggestivo sposando materiali di riciclo come il PET, ovvero il materiale del quale sono fatte le bottiglie che usiamo e che la maggior parte di noi butta, senza pensarci due volte, nei rifiuti (spero almeno differenziati).
Il suo Divertissement è un piccolo piacere, un oggetto unico nella forma e nel materiale: cose che avrebbero terminato il loro ciclo vitale – accantonate e talvolta bollate come inutili, la peggiore onta nella società moderna – assumono una nuova dignità e una nuova funzione.
A mio avviso, c’è grande poesia nel saper creare oggetti capaci di innalzare il morale e di riempire di letizia la nostra vita partendo da cose umili, semplici, antiche oppure scartate. E mi piace il fatto che Agnese onori in pieno il nome che ha scelto per il suo brand, mi piace che si diverta e che sappia far divertire.
Come accennavo, lavora anche su ordinazione e per me ha pensato a un tocco di Toscana (la sua regione) e ai prati, ricordando quelli della sua infanzia.
È nata così una parure che porta il mio nome, Emanuela, composta da collana e anello – quelli che vedete qui sopra. La collana è un prato con papaveri e fiordaliso, con la base in plexiglas, francobolli di antiquariato e piccole murrine: i fiori, molto realistici, sono stati realizzati lavorando il PET. Tra foglie e petali, ci sono perfino una coccinella e una lumachina. L’anello è un papavero che orna graziosamente di rosso la mano.
Quando indosso la mia parure, chiudo gli occhi e vedo Agnese bambina, felice nell’orto del nonno, intenta a osservare piante e fiori.
Ho sempre pensato che il divertimento sia fondamentale: quello firmato Divertissement è intelligente, equilibrato e pieno di garbo.

Manu

Qui trovate la pagina Facebook di Divertissement e qui il profilo Instagram.
Potete trovare Agnese anche alla Fiera Antiquaria di Arezzo, ogni prima domenica del mese e sabato precedente.
E proprio lì, Agnese ha recentemente incontrato Veronika Richterová, artista di origine ceca che crea sculture col PET e che partecipa a mostre in tutto il mondo (le più recenti a Cuba e Taiwan). Indovinate un po’? Veronika si è fermata a osservare il lavoro di Agnese e chissà che presto una delle sue creazioni non finisca nella collezione dell’artista che, oltre alle sue opere, ha raccolto oltre 3.000 oggetti in plastica da 76 paesi diversi (se siete curiosi, date un occhio qui e qui).

Se proviamo a mettere i sogni nel cappello

Supponete che qualcuno voglia fare una piccola ricerca qui sul mio blog allo scopo di verificare quali siano le parole più usate.

Sono pronta a fare una scommessa sulle prime tre: credo sarebbero talento, passione, condivisione.

Talento perché ne parlo spesso e perché amo tutte le sue possibili declinazioni e manifestazioni; passione perché credo che sia il sentimento che dovrebbe governare le nostre vite, perché credo che dovremmo amare ciò che facciamo e perché credo che essa sia un grande potere, uno strumento invincibile; condivisione perché mi piace che talento e passione circolino.

Il post che state leggendo contiene tutti e tre questi elementi e racconta un evento che mi sta molto a cuore: da domani, venerdì 1° maggio, fino a domenica 3 maggio, si terrà ad Arezzo la mostra I sogni nel Cappello, una vetrina nella quale saranno protagonisti i lavori di una trentina di creativi che provengono da tutta Italia e che gravitano attorno al mondo del cappello.

Desidero spiegarvi come questa bella mostra contenga tutte e tre le parole magiche di cui sopra. Leggi tutto

Ridefinire il Gioiello in tutti i Sensi, con tutti i Sensi

Ho capito una cosa: se un post che ho scritto mi rende felice e se lo sono mentre lo scrivo, se lo faccio con gusto e con piacere, vuol dire che è giusto e che lo è in diversi sensi.

Giusto come cosa adatta a me, in linea con tutto ciò in cui credo; giusto come cosa appropriata e consona a questo spazio per come l’ho concepito e quindi – spero – per coloro che leggono; giusto come cosa in buona fede e che racconta il vero – il vero dal mio punto di vista, ovviamente. Non pretendo di possedere la verità assoluta, ma tengo a fare un lavoro onesto, secondo i principi nei quali credo.

Oggi è decisamente una di quelle giornate in cui ciò che vi racconto mi rende molto felice, perché è un esempio perfetto del talento del quale parlo spesso e anche perché mi vede coinvolta in prima persona, con orgoglio e grande emozione.

Lo scorso aprile, ho avuto il piacere di conoscere Sonia Patrizia Catena, storica e ricercatrice d’arte esperta in design del gioiello contemporaneo. Tra le tante cose delle quali questa giovane donna si occupa, c’è anche la manifestazione Ridefinire il Gioiello di cui è fondatrice e curatrice insieme a Lorenzo Argentino.

Il progetto, nato nel 2010 e giunto alla sua quarta edizione, tenta di delineare un percorso di ricerca in un panorama assai frammentato e nel quale manca una definizione consolidata e una storia strutturata e organica. Leggi tutto

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