Clara Woods, “take your passion & make it happen!”

Bellissima, bionda, sorridente: Clara Woods

C’era una volta…

No, scusate, ho sbagliato l’incipit.
Perché quella che sto per raccontarvi non è una favola.
Prima di tutto perché non è accaduta in tempi lontani, ma accade oggi: in parte è stata già scritta e in parte lo sarà.
E poi perché non è qualcosa di inventato, frutto della fantasia, bensì è una storia vera fatta di persone concrete e reali.

La storia inizia il 10 marzo 2006 a Firenze quando viene alla luce una bambina di nome Clara, Clara Woods.
Purtroppo, però, un anno dopo, i dottori fanno un annuncio terribile ai genitori: la piccola ha avuto un ictus prenatale e per lei viene prospettata un’esistenza da vegetale.

«Quando arriva Clara – racconta mamma Betina – è bellissima e io e mio marito Carlo siamo pazzi di gioia, ma poi, piano piano, arrivano le prime paure, perché una mamma capisce, una mamma intuisce.
Il nostro angelo biondo ha qualcosa che non va. Mi dicono che sono ansiosa, che non mi devo preoccupare, che ogni bambino ha i suoi tempi, ma quando Clara ha un anno arriva la diagnosi e mi consegnano un foglio che dà un nome al mio incubo: ictus prenatale.
Assieme arriva anche la sentenza: mia figlia è destinata a una vita da vegetale. Ci dicono che non potrà mai parlare, camminare, scrivere e capire, che l’ictus le ha mangiato una parte del cervello impedendone lo sviluppo.
Credo di aver pianto tutte le mie lacrime, ma quando la disperazione sembrava aver preso il sopravvento io e Carlo ci siamo guardati e abbiamo giurato che avremmo dato a nostra figlia tutte le possibilità che i medici non erano disposti a darle.»

Clara inizia così un programma di riabilitazione volto a insegnarle a camminare, ad alzarsi, a vivere e i suoi progressi stupiscono tutti così come la sua forza di volontà e la sua determinazione. Ottiene le sue prime vittorie e, giorno dopo giorno, si trasforma in una ragazza solare e capace di affrontare ogni evento esternando le sue emozioni.

«La sua storia – racconta ancora Betina – ricorda quella del calabrone che, secondo la fisica, non potrebbe volare, ma lui non lo sa e vola lo stesso.» Leggi tutto

Lo stilista Martino Midali accoglie Il Duomo all’Ortica nel suo hub

Negli ultimi mesi, in più occasioni, ho parlato di Martino Midali.

Classe 1952, originario della storica città lodigiana di Mignete, Midali si trasferisce a Milano giovanissimo: è nel capoluogo meneghino che inizia la sua scalata nel mondo della moda diventando uno stilista amato e conosciuto in Italia e all’estero.

Lo scorso ottobre ho parlato del libro che racconta il suo percorso: intitolato ‘La stoffa della mia vita – un intreccio di trama e ordito’, il volume è stato scritto con la giornalista Cinzia Alibrandi che ha ben saputo narrare la vita ricca di sfide (e di aneddoti) di Midali.

Dovete sapere che uno dei motivi per cui amo Midali è il fatto che si sia sempre distinto per essere uno stilista vicino alle donne che ama in modo sincero: la missione che si è dato è quella di valorizzare il nostro corpo, in ogni sua forma e taglia, partendo però dalla nostra testa.

Già, perché il suo motto potrebbe essere valorizzare senza ostentare visto che ama vestire donne che scelgono gli abiti per stare bene prima di tutto con loro stesse e non per essere un trofeo accanto a un uomo: le donne che hanno vestito e che vestono Martino Midali sono generalmente donne molto consapevoli della propria identità personale, sociale, professionale e che non hanno bisogno di dimostrare qualcosa se non – appunto – a loro stesse.

E tutto ciò piace tanto a una persona come me, fortemente convinta che la moda sia espressione personale e non mera ostentazione di stato.

In febbraio, invece, ho parlato della collezione FW 2020-21 dello stilista, un vero e proprio alfabeto di stile fatto di stampe, natura, colore e volumi estremamente femminili: l’idea è – ancora una volta – quella di vestire una donna che vuole sentirsi a suo agio, con sé stessa e con gli altri, dal mattino alla sera, in ogni occasione.

Oggi torno volentieri a parlare di Midali per raccontarvi un’altra espressione di questo uomo dalla personalità davvero sfaccettata: la passione per l’arte. Leggi tutto

Prorogata fino al 25/10 la mostra sui costumi di Pinocchio ospitata a Prato

La mostra Pinocchio nei costumi di Massimo Cantini Parrini (foto Marco Badiani – courtesy of press office)

Alzi la mano chi conosce Pinocchio.
Anche se non posso purtroppo vedervi, cari amici, immagino una moltitudine di mani alzate.

Le avventure di Pinocchio – Storia di un burattino è il romanzo scritto da Carlo Collodi, pseudonimo del giornalista e scrittore fiorentino Carlo Lorenzini.
La prima metà apparve originariamente a puntate tra il 1881 e il 1882, completata poi nel libro uscito nel febbraio 1883.
Come tutti sanno, il romanzo racconta le esperienze di Pinocchio, marionetta animata scolpita da Mastro Geppetto: molto più di un semplice burattino, Pinocchio è diventato una vera e propria icona universale nonché una metafora della condizione umana.
Il libro – che si presta a una pluralità di interpretazioni – è considerato un capolavoro mondiale: ha ispirato centinaia di edizioni e traduzioni in innumerevoli lingue, ha dato vita a trasposizioni teatrali, televisive e perfino in cartoni animati e ha reso universali e proverbiali immagini metaforiche come quella del naso lungo del bugiardo.

È proprio per l’universalità e per il valore della figura di Pinocchio che sono molto felice di ospitare oggi una bella notizia: il Museo del Tessuto di Prato ha deciso di prorogare fino al 25 ottobre 2020 la mostra Pinocchio nei costumi di Massimo Cantini Parrini dal film di Matteo Garrone.

«Ripartiamo adottando tutte le misure di sicurezza per assicurare la salute dei visitatori, come previsto dal Decreto del Governo. In questo periodo abbiamo continuato a essere in contatto con il nostro pubblico attraverso iniziative promosse grazie ai canali social e al web. Il consenso riscontrato da parte di tanti ragazzi ci ha fatto decidere di prolungare la mostra fino al 25 ottobre per permettere di soddisfare le tante richieste pervenute.»

Con queste parole di Francesco Marini, Presidente della Fondazione Museo del Tessuto, riferite naturalmente alle misure di contenimento COVID-19, introduco la mostra che presenta i costumi realizzati per il film Pinocchio del regista Matteo Garrone da Massimo Cantini Parrini, pluripremiato costumista cinematografico. Leggi tutto

Millennials, Generation Z e la mostra sui Preraffaelliti a Milano

Nelle ultime settimane ho avuto la bella opportunità di partecipare a parecchie anteprime stampa per il lancio di una serie di mostre: Milano sta offrendo una scelta davvero ampia quanto ad arte, moda e costume e chiedo venia a voi, miei amati lettori, se riesco solo ora a scrivere di una delle esposizioni più belle, inaugurata lo scorso 19 giugno nella splendida cornice di Palazzo Reale.

Mi riferisco a Preraffaelliti – Amore e Desiderio che vede in mostra i capolavori della collezione preraffaellita della Tate di Londra, inclusa la celeberrima Ofelia di John Everett Millais.

La mostra, promossa e prodotta dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale, 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, è appunto organizzata in collaborazione con la Tate ed è curata da Carol Jacobi, responsabile della sezione British Art 1850 – 1915 della celebre istituzione britannica; in relazione al rapporto dei Preraffaelliti con l’Italia, la mostra si avvale inoltre del prezioso contributo scientifico della storica Maria Teresa Benedetti.

Preraffaelliti – Amore e Desiderio rende così possibile ammirare nel capoluogo meneghino circa 80 opere tra le quali alcuni dipinti iconici che difficilmente escono dal Regno Unito per essere prestati, come appunto la già citata Ofelia e poi Amore d’aprile di Arthur Hughes e Lady of Shalott di John William Waterhouse.

L’esposizione di Palazzo Reale, aperta al pubblico fino al 6 ottobre 2019, rivela a noi spettatori l’universo d’arte e di valori dei 18 artisti preraffaelliti rappresentati, raccontando tutta la poetica del movimento attraverso i capolavori della collezione Tate: dall’amore e dal desiderio citati già nel titolo fino alla natura e alla sua fedele riproduzione, per poi passare dalle storie medievali, la poesia, il mito e la bellezza in tutte le sue forme.

Avrete forse fatto caso al titolo che ho dato a questo post, ovvero Millennials, Generation Z e la mostra sui Preraffaelliti a Milano: sono molto felice se vi siete chiesti il perché di tale scelta.

A prescindere dal fatto che non mi piacciono i compartimenti stagni e che sono fermamente convinta del fatto che un evento culturale debba essere inclusivo e debba parlare a un pubblico il più possibile ampio, perché sostengo che proprio i più giovani dovrebbero essere particolarmente interessati a questa mostra? Leggi tutto

Adalgisa De Angelis, i Sogni d’Arte di un’anima bella

Sono molto felice, oggi, di scrivere questo post.
Volete sapere perché?
Perché racconta di una persona che stimo: stimo molto Adalgisa De Angelis – questo è il suo nome – e sono incuriosita e attratta da lei, dai suoi progetti e dal suo lavoro.
Per me le persone sono più importanti di ogni cosa e sono il nucleo di tutto: sono inoltre fermamente convinta del fatto che i bei progetti si sviluppino attorno alle belle persone e Adalgisa lo è, è una bella persona
Avere l’opportunità di parlare di una persona interessante mi dà dunque gioia.

Tra l’altro, racchiudere Adalgisa De Angelis nello spazio di un post è un’impresa alquanto ardua (vedrete quanto sfaccettata sia la sua creatività), ma ci provo.

È un’impresa perché Adalgisa, fondatrice di un progetto artistico e creativo che si chiama Sogni d’Arte, è una persona davvero poliedrica che non ha mai avuto paura di sperimentare in ambiti che – al momento! – comprendono la moda, il gioiello, il design e l’arte.

Dopo studi artistici, Adalgisa ha iniziato la sua avventura nel 1994 aprendo uno spazio nel centro storico della sua città, Salerno, ridando nuova vita a tutto ciò che la ispirava (vecchi mobili inclusi), mentre da vecchi tessuti ha iniziato a creare borse, gioielli e cappelli.
Poco tempo dopo, ha iniziato a portare le sue creazioni in varie fiere tra cui il Macef di Milano, vendendo in tutto il mondo: i suoi accessori sono stati immortalati su tante riviste di moda tra le quali Elle, Glamour, Vogue, Gioia, Donna Moderna, Grazia.
Ha anche iniziato a creare accessori e costumi per vari spot, film, spettacoli teatrali, programmi e serie televisive; alcune sue creazioni sono in vendita anche presso i book shop di vari musei.

Nel 2013 è diventata Maestro Artigiano e dal 2016 ha ripreso la sua grande passione: l’arte.
Ha già esposto le sue opere – quadri, arazzi, installazioni – in varie mostre ed eventi tra cui la Biennale di Venezia e Paratissima a Torino: ha esposto a Milano, Padova, Parma, Modena e anche a Siviglia, in Spagna.

Nel lavoro di Adalgisa De Angelis identifico l’utilizzo di diversi materiali (tra i quali la carta e il tessuto), diverse tecniche (tra le quali gli arazzi e le lavorazioni con la 3D pen) e diverse tematiche (tra le quali il viaggio in ogni sua sfumatura): cercherò di raccontarvi tutto (o quasi) procedendo con ordine.

Partiamo dai materiali, ovvero la carta e il tessuto.
Con la carta, Adalgisa costruisce delle barchette, quelle a origami che tutti noi abbiamo probabilmente fatto o provato a fare da bambini.
Quella adoperata da Adalgisa è carta alla quale lei dona una seconda vita: fumetti vintage e libri antichi oppure biglietti del tram, da Salerno (la sua città di nascita) fino a Milano (la sua città d’adozione).

Perché la carta? Leggi tutto

Il meraviglioso mondo della natura in una mostra (particolare) a Milano

«Il mondo non languirà mai per mancanza di meraviglie, ma soltanto quando l’uomo cesserà di meravigliarsi.»

Sono parole di Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), celebre scrittore, giornalista e aforista britannico: mi ritrovo tantissimo in questo suo pensiero poiché è ciò che sento esattamente anch’io.

Il mondo è colmo di meraviglie tutte da scoprire: c’è e ci sarà sempre qualcosa da imparare e di cui sorprendersi eppure a volte temo che possa invece esaurirsi il desiderio di scoperta di noi esseri umani, distratti, fuorviati, assuefatti, illusi e perfino viziati da cose che, in realtà, poco o nulla hanno a che vedere con la vera meraviglia.

Il ritmo della vita moderna, la facilità di accesso a un enorme flusso di informazioni, l’incapacità di soffermarci, il continuo bombardamento di stimoli che, spesso, ottengono solo di farci fruire di ogni cosa in modo troppo veloce e superficiale: ecco, è tutto ciò a spaventarmi.

Così, quando questo aforisma di Chesterton è stato ricordato alla conferenza stampa di presentazione della mostra della quale desidero parlarvi oggi, ho pensato che sì, è esattamente così e che quella fosse proprio l’occasione giusta per menzionarlo: non sono né il mondo né la natura a tradirci, ma piuttosto potrebbe essere una nostra mancanza di curiosità a farlo e allora ben vengano mostre che raccontano la meraviglia del mondo e che lo fanno con un taglio innovativo e attuale, tanto da sperare di mantenere viva quella nostra curiosità che, talvolta, appare oggi un po’ in pericolo o a rischio, esattamente come il pianeta stesso e come le specie in via di estinzione.

A quale mostra mi riferisco?

Mi riferisco a “Il meraviglioso mondo della natura. Una favola tra arte, mito e scienza”, mostra allestita a Palazzo Reale di Milano fino al 14 luglio 2019 e curata dagli storici dell’arte Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa con le scenografie di Margherita Palli: come suggerisce il titolo stesso, a costituire il cuore della mostra è la natura nella sua complessa varietà.

La mostra è uno degli appuntamenti pensati in occasione delle celebrazioni per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci (1519-2019, qui e qui parlo di altre due mostre connesse alla ricorrenza) e consente a noi visitatori di dare uno sguardo particolare alla rappresentazione artistica della natura lungo un arco cronologico che va dal Quattrocento al Seicento, con un focus sullo scenario lombardo. Leggi tutto

Il Museo da Vinci di Milano accoglie le Dream Beasts di Theo Jansen

C’è un luogo qui a Milano al quale sono particolarmente legata: si tratta del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, un luogo capace di rendere il giusto omaggio all’eclettica figura alla quale è intitolato.

Uomo d’ingegno e talento universale del Rinascimento, Leonardo incarnò in pieno lo spirito della sua epoca, cimentandosi – con risultati straordinari – in molti ambiti dell’arte e della conoscenza: si occupò di architettura e scultura, fu disegnatore, trattatista, scenografo, anatomista, musicista, progettista, inventore.

Il Museo della Scienza di Milano onora questa visione aperta e si occupa di promuovere cultura e conoscenza in modo altrettanto eclettico: ospita mostre ed eventi di vario genere e carattere, incrocia senza timori settori talvolta apparentemente lontani tra loro, supera limiti e confini, riesce a coinvolgere adulti e bambini.

Settimana scorsa, sono stata all’anteprima stampa di una mostra che – ancora una volta – è riuscita a sorprendermi: il Museo presenta per la prima volta in Italia le opere dell’artista olandese Theo Jansen, conosciuto in tutto il mondo per le sue gigantesche installazioni cinetiche chiamate Strandbeest (letteralmente “animali da spiaggia”), creature ibride dall’aspetto zoomorfo che si muovono sfruttando la spinta del vento. Leggi tutto

Rob Pruitt x YOOX Migration Moving Blanket, il progetto tra design e antropologia

Rob Pruitt x YOOX. Migration Moving Blanket, 2018 ®Justin Jay

Oggi scelgo di parlarvi di un argomento che si è guadagnato immediatamente la mia attenzione poiché unisce un artista e uno store online in un progetto di design che profuma di antropologia: si tratta di Rob Pruitt che debutta in esclusiva su YOOX con il progetto Migration Moving Blanket, 2018.

Artista intenso ed eclettico, Rob Pruitt si muove con grande agilità attraverso ogni mezzo espressivo.
Nato nel 1964 a Washington, vive e lavora a New York: ha studiato al Corcoran College of Art and Design di Washington e alla Parsons School of Design di New York e ha esposto nei più prestigiosi musei del mondo, con mostre personali e collettive dalla Tate Modern di Londra a Palazzo Grassi a Venezia passando per il Guggenheim Museum di New York.

Fondato nel 2000, lo store online YOOX offre un’ampia scelta di capi d’abbigliamento e accessori per uomo e donna, moda bimbo, un assortimento di oggetti di design, brand attenti alla responsabilità sociale e ambientale: propone anche collaborazioni esclusive con rinomati artisti internazionali, proprio come quella della quale desidero raccontare.

L’artista statunitense debutta online con Rob Pruitt x YOOX. Migration Moving Blanket, 2018, un progetto speciale realizzato in esclusiva per YOOX che presenta una serie di quaranta pezzi unici, coperte in edizione limitata, ciascuna accompagnata dal proprio certificato di autenticità firmato e numerato.

Conosciuto per lo stile esuberante e in continua evoluzione, Pruitt e la sua opera trascendono specifici movimenti e tecniche artistiche: il suo sguardo disincantato e colto spazia tra arte, sociologia e antropologia e le sue innumerevoli forme espressive lo hanno visto cimentarsi con panda serigrafati e dinosauri cromati, scarabocchi terapeutici e frigoriferi antropomorfi.
Pruitt prende citazioni visive della nostra epoca e le ripropone in opere coloratissime: usa l’arte come veicolo di denuncia sociale, per arrivare direttamente al nucleo di questioni culturali e politiche fondamentali.

Rob Pruitt x YOOX. Migration Moving Blanket, 2018 trae ispirazione dalla complessa questione delle migrazioni intese come fenomeno sia naturale sia sociale.

Nel mondo naturale, le specie animali migrano stagionalmente alla ricerca di luoghi più agevoli e sicuri; allo stesso modo, gli esseri umani migrano per sfuggire da forme di tirannia, dittatura e autocrazia o si trasferiscono con la speranza di trovare migliori condizioni di vita.

«Come animali umani, ci spostiamo dalla privacy delle nostre case agli spazi pubblici ed è interessante per me osservare come il pensiero politico viene espresso in entrambi i luoghi.»
Così dice Rob Pruitt del suo lavoro.

Naturale prosecuzione di American Quilts, la sua più recente produzione artistica, la serie creata in esclusiva per YOOX è stata realizzata decorando coperte di produzione industriale con l’applicazione di stampe serigrafate di oche, animale migratore per eccellenza, stilizzate e trasformate in motivi geometrici ispirati ai pixel digitali e ai quilting squares, i tradizionali elementi decorativi delle trapunte (in inglese quilt).

Rob Pruitt x YOOX. Migration Moving Blanket, 2018 ha debuttato su YOOX ieri, 7 febbraio, con l’inizio della fiera di arte e design Nomad St. Moritz dove, fino all’11 febbraio, il progetto sarà esposto in anteprima assoluta (potete dare un occhio qui, qui, qui e qui).

Perché ho scelto di parlarvi di questo progetto?

Perché la migrazione – e mi riferisco soprattutto a quella umana – è una questione particolarmente attuale e che solleva molte discussioni: ci sono molti modi di occuparsene e io mi sono presa una buona dose di insulti ogni volta in cui mi sono espressa sui social network.
Non mi importa ribadire ora quale sia la mia posizione; mi sta più a cuore che se ne parli, possibilmente civilmente.
E se ne può parlare in tanti modi, ripeto, e dunque anche attraverso un progetto di arte e design: tutte le motivazioni della mia scelta sono racchiuse alla perfezione dalla dichiarazione di Beatrice Trussardi, curatrice della sezione DESIGN+ART di YOOX.

«Rob Pruitt ha risposto con entusiasmo e generosità all’invito a realizzare un progetto speciale per la nostra gallery e lo abbiamo scelto perché è un artista che non ha timore di confrontarsi con la realtà che lo circonda, anche quando è scomoda o difficile, e perché è capace di scardinare luoghi comuni e tabù con gesti ironici che celano profondità di analisi e di pensiero. Le opere che ha realizzato per YOOX rappresentano un commento arguto alla complessità del tema delle migrazioni, di ieri e di oggi: non multipli in serie ma quaranta pezzi unici, uno diverso dall’altro, come uniche e individuali sono le storie delle persone che per qualsiasi ragione si trovano a dover lasciare la loro terra d’origine per un luogo nuovo, con il loro carico di timori e aspettative per il futuro

Ad accompagnare il progetto Rob Pruitt x YOOX. Migration Moving Blanket, 2018 c’è anche il video con il quale concludo questo post: 400 miglia separano New York dal confine canadese e YOOX le ha percorse tutte simulando un tipico trasloco americano.
Un pick-up, una poltrona avvolta nella Migration Moving Blanket di Rob Pruitt e un viaggio suggestivo, metafora del concetto di migrazione.

E io non ho davvero niente di più da aggiungere se non lasciarvi il link nel caso in cui vogliate dare un occhio ai pezzi di Pruitt su YOOX.

Manu

Sicis Jewels e V&A Museum, il micromosaico e il valore del tempo

Quasi cinque anni fa, precisamente in aprile 2014, ero stata invitata all’inaugurazione della boutique Sicis Jewels di Milano, in via della Spiga.

Il nome Sicis vi è magari familiare e forse lo è per quanto riguarda l’architettura e il design d’interni: il brand si occupa in effetti di mosaico artistico in tali ambiti e ha poi portato la sua maestria nel mondo del gioiello attraverso il micromosaico.

Come avevo raccontato in un post seguito a quella meravigliosa avventura, in boutique mi era stato spiegato che il periodo di maggior splendore dell’arte del micromosaico è stato il XVIII secolo, quando i maestri mosaicisti romani esportavano le loro parure di gioielli in tutto il mondo e soprattutto presso le corti di Parigi e San Pietroburgo, per le collezioni private delle famiglie reali con nomi del calibro di Maria Luisa d’Austria e Carolina e Giuseppina Bonaparte.

A dare risalto ai gioielli realizzati con la tecnica del micromosaico fu anche, già a partire dal XVII secolo, la pratica del Grand Tour, il viaggio intrapreso dai ricchi giovani dell’aristocrazia europea per visitare le città d’arte italiane allo scopo di conoscerne la cultura, l’arte e le antichità.
Proprio grazie a questo turismo di élite, nacquero vari laboratori artigianali nei quali si realizzavano souvenir di alta qualità tra i quali micromosaici raffiguranti soggetti neoclassici e vedute di monumenti, fiori, animali e scene di vita popolare.

Si può dunque affermare che mosaico e micromosaico siano interpreti multi sfaccettati di tempi, tradizioni, stili e perfino trend, già da molti secoli.

La continua ricerca di nuove esperienze e la passione per l’arte musiva: sono i due elementi che hanno portato Sicis Jewels ad approfondire sempre più la tecnica e la storia del micromosaico nonché la sua applicazione nella gioielleria. Leggi tutto

Perché dico sì alla mostra su Banksy al Mudec di Milano

Quando lo scorso 20 novembre sono stata al MUDEC per la conferenza stampa e l’anteprima della mostra dedicata a Banksy, mi sono bastati pochi istanti per innamorarmi del progetto messo in piedi dal Museo delle Culture di Milano.

Artista e writer britannico la cui identità rimane tuttora nascosta, Banksy è considerato uno dei maggiori esponenti della street art contemporanea: la sua protesta visiva riesce a coinvolgere un vastissimo ed eterogeneo pubblico e ne fa uno degli artisti più amati dalle giovani generazioni – e non solo.

Le sue opere sono infatti spesso connotate da uno sfondo satirico e trattano argomenti come la politica, la cultura e l’etica: l’alone di mistero che, per scelta e per necessità, si autoalimenta quando si parla della sua figura lo fa diventare un vero e proprio mito dei nostri tempi.

Su di lui sono già state organizzate diverse mostre presso gallerie d’arte e spazi espositivi, ma mai un museo pubblico italiano – o estero – ha finora ospitato una sua monografica, con la sola eccezione di quella organizzata dall’artista stesso al Bristol Museum nel 2009.

Con l’evento che resterà in cartellone fino al 14 aprile 2019, il MUDEC ospita un’importante retrospettiva: è corretto segnalare che si tratta di una mostra non autorizzata dall’artista, come tutte quelle a lui dedicate, in quanto Banksy continua a difendere non solo il proprio anonimato, ma anche la propria indipendenza dal cosiddetto sistema. Leggi tutto

Con Elisa Ajelli per un augurio ad artisti, poeti e navigatori

Quando, quasi sei anni fa, ho finalmente deciso di aprire il blog (e scrivo finalmente perché il progetto esisteva da molto prima), ho in prima istanza pensato di parlare essenzialmente di moda, raccontando la visione che ne ho e raccontando il talento dei designer e dei creativi che incontravo e incontro.
Ma, ben presto, mi sono accorta che parlare solo di moda non mi bastava, nonostante io affermi (e soprattutto pensi) di aver bisogno della moda esattamente come dell’aria che respiro, visto che la considero una forma di linguaggio e comunicazione.
Da persona onnivora in tutti i sensi, da persona curiosa di natura e innamorata della vita, non volevo avere paletti e, a maggior ragione, non volevo impormeli da sola: essendo interessata a tanti argomenti e avendo la fortuna di poter fare esperienze diversificate grazie al mio lavoro trasversale in ambito comunicazione, ho sentito forte e impellente il bisogno di ampliare il raggio d’azione del blog.
E, visto che ero in ballo e che sono sempre stata allergica ai pregiudizi e ai cliché, ho deciso di cercare di infrangere alcuni di quelli che circolano su chi si occupa di moda, per esempio che si tratti di persone superficiali.
E così, pian piano, il blog si è arricchito di post sui viaggi, sui libri, sulla fotografia, sul cibo; di qualche biografia e di racconti su sentimenti ed esperienze personali; di osservazioni sul costume e la società.
La mia non è presunzione o arroganza, ve lo giuro: non voglio essere una tuttologa, semplicemente sento dentro di me una passione immensa per tutto ciò che è crescita e arricchimento intellettuale e morale.
Il blog è diventato, insomma, una sorta di contenitore stratificato, un diario personale ma allo stesso tempo condiviso, il diario di una persona aperta, curiosa, onnivora – lo ribadisco – e che si reputerà sempre una studentessa con tanta voglia di imparare. Leggi tutto

Il nuovo Mudec Photo ospita Steve McCurry e la (emozionante) mostra Animals

Sabato 15 dicembre è stato un giorno speciale: non capita tutti i giorni di avere la fortuna – e l’onore immenso – di conoscere uno dei miti della propria adolescenza e giovinezza.

Nei miei anni da giovane donna idealista e fiduciosa, le foto incredibili di Steve McCurry (che io ammiravo sulle copertine e tra le pagine patinate di riviste del calibro di National Geographic) riuscivano a farmi sognare di viaggi, scoperte e geografie soprattutto umane, perché – come è stato giustamente definito – lui è uno straordinario esploratore del genere umano.
Gli scatti mozzafiato e i ritratti fenomenali fanno di McCurry un maestro del colore e dell’umanità: nessuno come lui sa raccontare le sfumature umane e tutto ciò lo rende uno dei più grandi fotografi di tutti i tempi.

È un onore immenso aver potuto tenere e stringere per un istante la mano che ha scattato infiniti capolavori e – per inciso – desidero dire che, come tutti i veri grandi che ho avuto la fortuna di incontrare, anche Steve McCurry è una persona squisita.

Com’è stato possibile tutto ciò, dove e come ho conosciuto il celeberrimo fotografo?
Ora ve lo racconto.

L’occasione mi è stata offerta grazie all’inaugurazione di MUDEC Photo, il nuovo spazio espositivo dell’omonimo Museo delle Culture dedicato alla fotografia d’autore, uno spazio che ne completa l’offerta. Leggi tutto

Francesca Agrati e il gioco delle apparenze in mostra a Milano

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è stata istituita nel 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la quale ha designato il 25 novembre come data della ricorrenza, invitando i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo una tematica che, purtroppo, continua a essere estremamente attuale.

In questi giorni che procedono il 25 novembre dell’anno 2018, ad attirare la mia attenzione sono state le parole di Bebe Vio impegnata in una campagna di sensibilizzazione in collaborazione con Sorgenia, azienda della quale la brava schermitrice italiana e campionessa paralimpica è testimonial.

Nello spot in questione, Bebe ricorda proprio che a giorni sarà il 25 novembre, ma che anche ieri era il 25 novembre e che domani e tra due mesi sarà ancora il 25 novembre.
Paradosso temporale? No, lo scopo è semplicemente quello di sottolineare che, ben oltre una singola giornata, l’emergenza resta per ora continua e ininterrotta, come ho già ricordato, e l’attenzione non deve dunque limitarsi a una sola ricorrenza, ma deve invece rimanere viva.

Lo spot ha attirato la mia attenzione perché la penso esattamente come Bebe: l’ho dimostrato tante volte, qui nel blog e attraverso le riviste con le quali ho collaborato o collaboro, parlando in molti modi di donne, di women empowerment e delle risposte che è necessario dare alla violenza.
Ho fatto tutto ciò non solo in occasione del 25 novembre, ma tutte le volte in cui ho avuto la possibilità di farlo.

Oggi continuo questo percorso intrapreso condividendo con voi il racconto di una mostra che verrà inaugurata domani, 22 novembre: si intitola Il gioco delle apparenze, ha come protagonista Francesca Agrati e sarà ospitata proprio fino al 25 novembre da Dream Factory in corso Garibaldi 117 a Milano.

Dopo la prima mostra Le normali follie ospitata presso lo Spazio Maimeri nel novembre 2016, Francesca Agrati torna con una mostra personale che verrà appunto inaugurata domani alle ore 18.30 per proseguire fino a domenica.

In questa mostra, che vedrà esposte opere inedite, la Agrati prosegue la sua ricerca artistica approfondendo la tecnica dell’addizione pittorica attraverso le lezioni di Valeria Oliva, maestra d’arte che la segue sin dagli albori del suo percorso artistico.
Il processo creativo di Francesca, saldamente ancorato all’ambito figurativo, parte dallo sviluppo di un innato spirito di osservazione che spinge l’artista nella selezione delle immagini più adatte alle sue elaborazioni, estrapolandole dai mass media (pubblicità e riviste) come anche dal suo ambito familiare e amicale e che lei assimila, metabolizza e reinterpreta con fervida fantasia.
Il tema del ritratto è sempre centrale nella sua poetica: esaltando le caratteristiche dei suoi soggetti principalmente femminili, sdrammatizza la routine quotidiana attraverso ironia e positività, in un continuo dialogo tra bidimensionale e tridimensionale, facendo sì che materia e colore si fondano armoniosamente con le immagini e le superfici.

Il gioco di Francesca Agrati sta nello stravolgere le apparenze andando ben oltre la forma che – spesso – differisce dalla sostanza; il riferimento all’una, nessuna e centomila identità pirandelliane, con tutte le sfaccettature che caratterizzano l’essenza umana, appare così immediato.

Influenzata dalla Pop Art, Francesca Agrati parte da una base fotografica e si serve del collage e dell’assemblaggio di materiali, trasformando e sconvolgendo le sembianze dei suoi soggetti con l’inserimento di elementi materici provenienti dal quotidiano (piccoli oggetti, siliconi e materiali vari).
Sceglie, infine, semplici nomi propri per intitolare le sue opere, non aggiungendo descrizioni né indicazioni particolari allo scopo di influenzare nel minor modo possibile lo spettatore che si sente così libero di interpretare l’opera a seconda delle proprie sensazioni.

Trovo questa sua operazione così interessante da indurmi a scegliere lei come evento da segnalare quest’anno in occasione del 25 novembre: una donna racconta le donne e lo fa con energia, fantasia, positività e colta ironia perché la cultura in ogni sua forma e manifestazione resta sempre la miglior risposta (e la migliore cura) alla violenza che è spesso figlia, purtroppo, anche dell’ignoranza.

Se siete a Milano, vi consiglio di non perdere la mostra: in galleria troverete lei, Francesca Agrati, e non voglio rovinarvi la sorpresa ma vi anticipo che troverete anche un quadro parlante…

Curiosi?

Passate in corso Garibaldi 117 domani sera, oppure venerdì – sabato – domenica dalle 11 alle 19.

Manu

 

Vi regalo alcune anticipazioni delle opere in mostra (ph. courtesy ufficio stampa)…
Per visualizzare la gallery da pc, cliccate sulla prima foto
e poi scorrete con le frecce laterali.

Se volete seguire Francesca Agrati, qui trovate la sua pagina Facebook.

Sarcasmo e cliché nelle foto di Juno Calypso in mostra a Milano

Juno Calypso, Milk, 2016

Lo ammetto: saltellare con leggerezza, allegria, curiosità tra eventi molto diversi tra loro e godermi l’opportunità di vivere le esperienze più disparate (senza graduatorie, senza discriminazioni, senza pregiudizi, senza esclusioni) è cosa che mi diverte molto.

Ultimamente, Milano mi sta offrendo detta possibilità con particolare ed estrema generosità: nelle ultime settimane, ho potuto dividermi tra l’inaugurazione della mostra dedicata alla maison di moda Etro e l’inaugurazione della mostra dedicata invece al grande pittore Magritte, ho potuto divertirmi come una bambina all’anteprima di una mostra dedicata ai dinosauri così come ho potuto imparare moltissimo in occasione della tavola rotonda tenuta da Alba Cappellieri a proposito di uno dei suoi bellissimi libri sul gioiello.

Come dicevo, per me non v’è graduatoria tra questi eventi molto diversi tra loro: tutto ciò che è nuovo, tutto ciò che è occasione di crescita e di apprendimento, tutto ciò che mi consente di colmare le mie personali lacune è occasione ghiotta e imperdibile.

La più recente opportunità si è verificata giusto un paio di sere fa con un vernissage dedicato a Juno Calypso, artista londinese in mostra per la prima volta in Italia presso lo Studio Giangaleazzo Visconti di Milano.

Oggetto della mostra sono le fotografie di Juno e desidero essere chiara fin da subito: Juno non fa foto graziose di paesaggi o animali o modelle vestite all’ultima moda, no, lei – con una notevole dose di sarcasmo e ironia che risultano talvolta stranianti – affronta i pregiudizi e i cliché legati alla donna contemporanea, in ambientazioni alquanto surreali tra cui un motel americano e una villa-bunker a Las Vegas.

A un primo sguardo magari un po’ distratto, i suoi possono apparirci come autoritratti fotografici dall’estetica caramellosa: in realtà, si rivelano invece come scatti dall’approccio fortemente critico, sospesi tra noia, narcisismo, black humor e capaci di condurre a una riflessione dai contorni molto seri.

La fotografa, nata e cresciuta a Londra, è un nome cult per gli amanti di un’estetica pop pink che richiama gli Anni Sessanta e Ottanta: è nota a livello internazionale soprattutto per le tre serie intitolate Joyce, The Honeymoon e What to do with a Million Years. Leggi tutto

Inside Magritte a Milano: «ceci n’est pas une exposition»

«Essere surrealista significa bandire dalla mente il già visto e ricercare il non visto.»

Credo di non aver mai letto parole più adatte per definire chi è un surrealista e ad aver pronunciato tali parole è una persona autorevole, sicuramente tra le più competenti in materia: parlo di René Magritte, ovvero uno dei massimi pittori del XX secolo nonché uno tra i maggiori esponenti del surrealismo.

Prendo in prestito le sue parole per iniziare il racconto di un’avventura che mi fa particolarmente piacere condividere con tutti coloro che leggono, perché questa esperienza riguarda proprio lo straordinario (e credo amatissimo) artista e perché tali parole sono perfette per motivare il tipo stesso di esperienza.

L’esperienza è un viaggio multimediale tra reale e immaginario, tra evocazione di un mondo onirico e racconto della vita concreta dell’artista: si tratta di Inside Magritte, il nuovo e inedito percorso espositivo multimediale dedicato al grande maestro René Magritte (1898 –1967), promosso dal Comune di Milano, ideato e firmato da Crossmedia Group (maggior produttore italiano di Digital Exhibition) insieme a 24 ORE Cultura che co-producono la tappa milanese per la regia di The Fake Factory.

A partire da oggi, 9 ottobre, e fino al 10 febbraio 2019, Inside Magritte anima la Cattedrale della Fabbrica del Vapore a Milano con immagini, suoni, musiche, evocazioni e suggestioni che ricostruiscono l’universo pittorico dell’artista belga: per la prima volta in assoluto, una mostra monografica digitale e multisensoriale a lui dedicata viene realizzata con il supporto e la consulenza scientifica della Succession Magritte di Bruxelles.

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Rosso pestifero, tabù e rossetto in mostra a Milano

Esattamente un mese fa, ho dedicato un post a una manifestazione che ha attirato la mia attenzione.

A Milano, questa settimana e precisamente dal 4 al 7 ottobre, prende il via la prima edizione di Peste!: promosso dalla Fondazione Il Lazzaretto, il Festival desidera proporre e suggerire una contaminazione tra arti visive, arti performative e pratiche psico-fisiche.

Peste! sceglie la contaminazione attraverso quattro giorni di incontri, workshop, concerti, proiezioni, installazioni e performance: lo scopo è, in questo caso, esplorare i temi legati al femminile fino ad arrivare a scandagliare le complessità del presente.

Come avevo raccontato nel post precedente, per tutta la durata del Festival, Il Lazzaretto presenta anche la mostra Rosso pestifero, tabù e rossetto a cura di Maria Elena Colombo e della Fondazione stessa.

Ed è proprio su questa mostra che desidero concentrarmi stavolta, perché il rossetto non vuole esserne il protagonista assoluto, bensì è un pretesto, un filtro, una lente attraverso la quale guardare noi stessi e la nostra voglia di mostrarci o, anche, di nasconderci.
Rosso Pestifero è una mostra dedicata ai tabù che il rossetto veicola, allestita in due diverse aree all’interno degli spazi de Il Lazzaretto. Leggi tutto

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