Qualche mia idea a proposito di essere – o non essere – un buon docente…

Oggi vorrei raccontarvi due storie.
Sono aneddoti personali e riguardano il rapporto avuto con un paio di docenti incontrati durante i miei percorsi da studentessa.

Quand’ero alle elementari e alle medie, la matematica mi piaceva.
Non quanto le materie letterarie che sono da sempre la mia grande passione, ma anche la matematica mi incuriosiva e mi affascinava.
L’idillio tra noi si spezzò alle scuole superiori, esattamente in quarta, quando alla mia classe fu assegnato un professore terribile, un po’… nazista (passatemi il termine), uno di quelli a cui cambiavano sezione ogni anno per via delle proteste di genitori e studenti.

Il nazistoide aveva regole ferree e un po’ assurde: sul banco non dovevamo avere nulla se non una biro, il quaderno e il libro.
Se solo vedeva, per esempio, un innocente portapenne, lo stesso volava giù dalla finestra.

A una riunione con genitori (preoccupati) e studenti (arrabbiati), enunciò la propria teoria che voleva che lui fosse un genio (incompreso, probabilmente) e noi dei poveri stupidi. Leggi tutto

I miei auguri a tutte le mamme con un paio di riflessioni

Oggi è la festa di tutte le mamme e io vorrei fare un paio di riflessioni.

Ho una mamma fantastica e so che ogni figlio (o quasi) vede la propria esattamente così, fantastica.
Diciamo che alla mia devo la vita due volte, la prima per avermi partorita e la seconda per avermi salvata dopo un incidente gravissimo (ho rischiato di morire…) quand’ero piccolissima.

Ho una sorella che è mamma e anche lavoratrice e – come tutte le donne madri e lavoratrici che conosco – ci mette l’anima per tenere tutto in equilibrio, lavoro, famiglia e anche tempo e spazio per sé.

Io non sono mamma per mia scelta (dico sempre, scherzando ma non troppo, che quando è stato distribuito l’istinto materno ho sbagliato fila) ma confesso di avere un’immensa ammirazione per le donne che lo sono, perché penso che crescere un figlio sia il ‘mestiere’ più difficile e di maggior responsabilità che esista e spesso, appunto, non è condotto in esclusiva ma in aggiunta ad altri ruoli e compiti.

In nome dell’ammirazione e del rispetto che nutro per le mamme, giungo dunque al cuore della mia riflessione scaturita da due fatti diametralmente opposti accaduti negli ultimi giorni.

Da una parte c’è la vicenda di un’imprenditrice che si chiama Monica Bortolami e che ha assunto a tempo indeterminato una collaboratrice che, timorosa, le aveva confessato di essere in dolce attesa; dall’altra parte c’è invece la vicenda di Elisabetta Franchi, nome noto del settore moda, che in un’intervista si è lasciata andare a dichiarazioni che lasciano basiti quanto ad arretratezza, parlando di donne giovani che non possono avere ruoli importanti che poi lascerebbero scoperti per andare in maternità e della sua conseguente scelta di assumere donne che siano ‘anta’ e che quindi abbiano già passato matrimonio, gravidanza e magari separazione…

Non voglio commentare le parole (offensive per ogni donna, madre o meno, giovane o ‘anta’) della Franchi che ora dice di essere stata fraintesa e strumentalizzata (boh, io ho ascoltato l’intervista e mi pare che abbia detto proprio ciò di cui viene accusata, nonostante i tentativi della giornalista Fabiana Giacomotti di arginarla e di frenarla su più punti).

Desidero invece fare gli auguri a tutte le mamme rilevando – ancora una volta, ahimè – quanta strada debba ancora essere fatta affinché ognuna di noi sia davvero libera di decidere di essere madre o di non esserlo, senza discriminazioni né giudizi (o pregiudizi).

Manu

 

*** Ho pubblicato questi stessi pensieri in un post in Instagram (lì con interessanti scambi di commenti).
Ho il desiderio che restino anche qui, visto che reputo i social network utili
ma, allo stesso tempo, anche fin troppo veloci nel ‘seppellire’ pensieri & parole… ***

 

«Si diventa madri in molti modi.
Per amore o per caso, di parto naturale o di parto per adottare, per convinzione, per convenzione. […]
Il punto è che conosco donne che sono madri, madri e basta. Pure senza figli.[…]
Perché si può essere madri persino con la propria madre, o il padre, quando ha bisogno di sostegno.
Si può essere madri quando si va in giro per il mondo a educare a forme altre di maternità, quando con le proprie parole si allatta un mare di figli orfani di affetti, di radici, di vita e di terra sotto i piedi.
Si può diventare madri di figli disabili ed essere madri di mille battaglie. Morire a ogni alba per un peso troppo grande, rinascere a ogni tramonto per le piccole cose leggere che non hanno peso ma hanno valore.
Conosco madri che hanno perso i loro figli […] eppure li ritrovano in ogni angolo della loro vita.[…]
Conosco madri che sono, nelle case, nelle corsie d’ospedale, nelle scuole, nelle librerie, nei conventi, nelle associazioni di volontariato.
Madri che sono, pure senza figli.

Perché figlio è il mondo di cui si prendono cura.»
Di Alessandra Erriquez

P.S. del 10 maggio: mi fa piacere condividere il link di un articolo lucido e intelligente pubblicato da Fashion Magazine circa il caso Elisabetta Franchi…

P.S. del 16 maggio: a quanto sopra, si aggiunge ora il fatto che l’azienda di Elisabetta Franchi è stata condannata per comportamento anti-sindacale per aver minacciato sanzioni nei confronti delle lavoratrici che scioperano contro l’obbligo degli straordinari (qui maggiori dettagli)… Anche in questo caso lei dirà di essere stata fraintesa e strumentalizzata?

 

Primo maggio 2022, nono compleanno Agw

Primo maggio 2022, nono compleanno Agw ovvero A glittering woman.
E mi tocca ammettere che, ultimamente, questo mio spazio è un po’ trascurato; pensate che, l’anno scorso, ho perfino dimenticato l’anniversario

Lo dicevo giusto qualche giorno fa a una persona: in era post pandemia, fatico a ritornare ai ritmi di prima, a rientrare nei ranghi, a riprendere certe consuetudini e credo di non essere l’unica a sperimentare sensazioni di questo tipo.
Mi è difficile portare avanti anche sito e blog: a volte guardo i numeri e, francamente, mi fanno un po’ impressione quando realizzo che spesso pubblico solo uno o due post al mese. E mi fanno impressione perché non era mai successo prima.

E dire che in passato ci sono stati mesi in cui sono arrivata a scrivere fino a 22 post in un mese.
E dire che tra ciò che insegno ai miei studenti figura anche l’uso dei CMS (Content Management System) e in particolare di WordPress, strumento che serve per aprire e gestire blog e siti e che quindi rappresenta un’utilissima risorsa tecnica.

La verità è che ultimamente sono disorientata – e anche delusa – per tante cose e su diversi fronti e quindi ne soffre la creatività, tanto che ho perfino accarezzato l’idea di chiudere questo spazio, ma la vita è strana e capita che qualcuno ci venga in soccorso in modi del tutto imprevisti.

È stato ciò che è accaduto con Giorgia, studentessa universitaria che in febbraio mi ha inviato il messaggio che vedete in apertura del presente post.

E così, in un momento di grande difficoltà, le parole di Giorgia e il valore che tali parole hanno dato al mio lavoro hanno fatto sì che io cambiassi idea – oltre a commuovermi… Leggi tutto

Omaggio a Giusi Ferré, maestra della bella scrittura

Ognuno ha le proprie icone, persone che rappresentano i nostri ideali e valori oppure che simboleggiano le nostre aspirazioni più grandi e che sono dunque un esempio, un modello al quale puntare.

Quanto a modelli e aspirazioni, io non ho dubbi: i miei fari sono Anna Piaggi e Giusi Ferré, due donne immense nell’ambito del giornalismo di moda.

Purtroppo non sono riuscita a conoscere Anna Piaggi di persona (ma continuo a cercarla attraverso ogni cosa e opera che parli di lei), mentre ho avuto il dono di incontrare parecchie volte Giusi Ferré.

Lei, naturalmente, non mai saputo chi fossi e non lo dico con orgoglio ferito né con rammarico: era nell’ordine giusto e naturale delle cose poiché io sono nessuno, una tra le tante e i tanti, mentre lei era unica, la maestra della parola e della bella scrittura, la giornalista sopraffine, la testimone diretta della moda degli ultimi 50 anni nonché amica, guida e consigliera di molti stilisti, il modello e l’icona per quei tanti come me, la donna capace di dare voce a mille e più racconti che io desideravo ardentemente ascoltare.

Il 14 aprile questa voce si è purtroppo spenta per sempre e io mi permetto di renderle omaggio con tre ricordi personali.

Parto dalla prima volta che incontrai Giusi Ferré.
Attirai la sua attenzione involontariamente, grazie a una fantasiosa collana che indossavo: di quel giorno (era il 2013) resta una foto insieme in cui io ho un sorriso che va da un orecchio all’altro, quel tipo di sorriso che solo un’icona riesce a dipingerci sul volto in una sorta di sogno che si avvera.
Quella foto è qui nel blog, ma non la tiro fuori oggi… Leggi tutto

Il mio (inutile) punto di vista a proposito di parlare o non parlare di Ucraina

Sono profondamente amareggiata nel leggere così tante polemiche attorno ai modi in cui ognuno di noi decide di affrontare la terribile questione Ucraina – Russia.
E ho la spiacevole sensazione che – qualunque cosa si faccia – si sbagli…

Se si continua a fare il proprio lavoro si viene tacciati di insensibilità; se lo si interrompe o si fa un gesto che vuole essere di solidarietà si viene accusati di essere in cerca di visibilità o pubblicità.
Se non se ne parla si viene accusati di menefreghismo; se se ne parla si viene invitati a tacere con frasi tipo «lasciamo parlare chi se ne intende».
Se si fa qualcosa… «perché per l’Ucraina sì e per altre guerre no».

È assurdo.
Io penso che ognuno abbia il proprio modo di reagire.
Penso che non parlarne non significhi e non comporti che invece non si ascolti e non ci si interessi / informi; penso che parlarne non voglia dire cercare visibilità ma tentare di esorcizzare le proprie paure.

Desidero dire solo una cosa e attenzione, non è né un giudizio né una presa di posizione, è solo una condivisione di pensieri.
Quando ero alle scuole superiori scoppiò la Guerra del Golfo.
Ricordo noi giovanissimi attoniti, disorientati, smarriti, impotenti e increduli davanti alle televisioni eccezionalmente accese a scuola con i notiziari e le immagini che fino a quel momento avevamo visto solo nei libri di storia.
Molti di noi (io compresa) scelsero di manifestare scendendo in strada e tanti ci criticarono dicendo «è inutile».
Forse avevano ragione, ma era il nostro sentire e il nostro reagire.

Allora non esistevano i social network, oggi sì; se allora una manifestazione o uno striscione andavano al limite su un giornale nazionale, oggi possono arrivare fino in Ucraina e forse dare un microscopico sostegno morale.
Idem per ogni altra iniziativa “simbolica”.
Tutto qui.

Detto ciò, concludo con una proposta: ognuno faccia ciò che può, ciò che riesce e ciò che sente.
Non perdiamo energie a criticare e cerchiamo di comprendere, la situazione gravissima ma anche gli altri e i loro atteggiamenti.
O almeno proviamo a rispettarli.

Dire no alla guerra è anche questo.

Manu ♥

 

 

 

*** Ho pubblicato questi stessi pensieri poco fa in Instagram.
Ho il desiderio che restino anche qui, visto che reputo i social network potenzialmente utili, come ho scritto,
ma allo stesso tempo anche fin troppo veloci… ***

 

 

Drusilla Foer, dalla diversità all’unicità passando per l’ascolto

«Diversità è una parola che proprio non mi piace.
Non mi piace perché ha in sé qualcosa di comparativo e una distanza che proprio non mi convince, no.
Quando la verbalizzo sento sempre che tradisco qualcosa che sento o che penso.
E io trovo che le parole siano come gli amanti: quando non funzionano più vanno cambiati subito.
E quindi ho cercato un termine che potesse degnamente sostituire una parola che per me è così incompleta. E ne ho trovata uno molto convincente.
Unicità.
Mi piace, è una parola che piace a tutti.
Perché tutti noi siamo capaci di notare l’unicità dell’altro e tutti noi pensiamo di essere unici, no?
Facile (risatina)… per niente! Per niente!
Perché per comprendere la propria unicità e accettare la propria unicità è necessario capire di che cosa è composta, la nostra unicità, di che cosa è fatta.
Capire di che cosa siamo fatti noi. Certamente delle cose belle: le ambizioni, i valori, le convinzioni, i talenti.
Però i talenti vanno allenati, vanno seguiti.
Delle proprie convinzioni bisogna avere la responsabilità.
Delle proprie forze bisogna avere cura.
Insomma, non è facilissimo.
E queste sono le cose che sulla carta sono fighe… immaginatevi quando si comincia con i dolori che vanno affrontati, le paure che vanno in qualche modo esorcizzate, le fragilità che vanno accudite. Leggi tutto

Allora ciao 2021 e soprattutto… a mai più arrivederci…

I bilanci non mi piacciono.
Non mi piace sedermi sugli allori esattamente quanto non mi piace rimuginare sugli insuccessi perché preferisco guardare avanti e pensare al futuro.

Ma stavolta ho deciso di chiudere i conti e fare invece un piccolo bilancio.

Sotto il punto di vista professionale, il 2021 è stato un anno molto deludente.

Da dimenticare.
La situazione piatta e stagnante che regna mi annoia, mi deprime e soprattutto mi preoccupa, tanto.
O vinci o impari, si dice. Il punto è che non ho vinto e non ho imparato e questo mi disturba.
Temo (come è già avvenuto in altre occasioni in passato, ne ho parlato poco tempo fa qui…), di trovarmi a un punto morto. E lo confesso, inizio a essere stanca di dover buttare all’aria tutto e ricominciare come – ripeto – ho dovuto fare altre volte.
Vorrei finalmente un po’ di serenità.

Sotto il punto di vista personale, il bilancio è invece completamente diverso perché nel 2021 non mi sono mancati affetto, calore, appoggio da familiari e amici.

Ho accanto un uomo che mi ama e che amo e con il quale condivido ogni cosa, incluso il fatto di essere tornati in alcuni posti che amiamo tanto.
Sono in salute e, cosa per me ancora più importante, lo sono i miei familiari e i miei cari.

Sono un’eterna ottimista e ho sempre visto la metà piena del bicchiere.
Dunque, nonostante l’amarezza sul fronte professionale, voglio solo vedere ciò che di buono c’è stato in questo 2021 e non voglio che a prevalere sia lo sconforto.
Preferisco sempre e comunque la gratitudine.

E allora concludo con questi versi di Melody Beattie, scrittrice statunitense, classe 1948.

«La gratitudine sblocca la pienezza della vita.
Trasforma ciò che abbiamo in ricchezza.
Trasforma la negazione in accettazione, il caos in ordine, la confusione in chiarezza.
Può trasformare un pasto in una festa, una casa in un’abitazione, un estraneo in un amico.
Trasforma i problemi in doni, i fallimenti in successi, l’inaspettato in un tempismo perfetto e gli errori in eventi importanti.»

Ciao 2021 e a mai più arrivederci.

Al 2022 chiediamo (posso usare il plurale?) un po’ più di clemenza, perché cavarsela da soli è giusto (ed è sempre stato il mio motto) ma, a questo punto, forse qualche botta di fortuna non guasterebbe.

Auguri a tutti quelli che hanno letto fin qui,

Vostra Manu

 

*** Ho pubblicato questi stessi pensieri stamattina in Instagram.
Ho il desiderio che restino anche qui, visto la velocità (che tutto cancella) dei social network… ***

 

 

Dell’invecchiare o… tanti auguri a me :-)

Sono stata una ragazza carina.
E se oso affermarlo (mi rendo conto che potrei sembrare molto immodesta) è solo perché, ahimè, mi tocca usare il passato.

Certo, non sono mai stata una di quelle bellezze da far girare la testa, ma ho avuto in dono un viso grazioso e un fisico minuto, non prorompente ma proporzionato.
Avere un aspetto piacevole non è un merito, naturalmente, ma si può scegliere cosa fare della piacevolezza.
Io ho avuto rispetto del mio corpo, me ne sono presa cura e ho sempre fatto sport e movimento, volentieri e con piacere; sono anche una buona forchetta, amante della buona tavola e della convivialità, ma proprio in nome del mio essere sportiva ho saputo fare qualche rinuncia e qualche sacrificio.

Dunque non prenderò in giro nessuno: il passare del tempo non mi fa piacere e non mi piace la prospettiva di invecchiare.
Non mi lancerò in discorsi su quanto sia bella ogni stagione della vita: preferivo quando l’ovale del mio viso era perfetto e quando non avevo nemmeno una ruga.
Di cali d’energia non posso parlare né lamentarmi al momento perché, forse grazie allo stile di vita attivo, per ora non ne soffro. Eppure so che arriveranno anche quelli. Leggi tutto

LOOVERTITS l’omaggio a Sant’Agata nel mese della prevenzione

Ricevo e volentieri condivido – Lo scorso venerdì 17 settembre, in una splendida serata d’estate, ho avuto modo di visitare LOOVERTITS Omaggio a Sant’Agata, una mostra collettiva d’arte moderna ispirata al martirio di una delle figure tra le più venerate dell’antichità cristiana

La mostra è davvero molto interessante e sono pertanto felice di annunciare che, per offrire un contributo alla sensibilizzazione e alla prevenzione dei tumori al seno durante il mese dedicato a questo scopo, l’esposizione è stata prolungata fino a domenica 31 ottobre.

La mostra, ospitata all’interno dello spazio RIDE Milano in via Valenza 2, presenta le opere di oltre 40 artisti che hanno offerto il loro contributo alla causa con una personale reinterpretazione dell’iconografia classica dedicata a Sant’Agata, la giovane che nel 251 d.C. subì atroci torture tra cui l’amputazione dei seni e che quindi viene considerata protettrice delle donne affette da patologie al seno. Leggi tutto

Afghanistan, dai libri di Khaled Hosseini alla crisi di oggi

Undici anni fa, tra la primavera e l’estate del 2010, lessi Il cacciatore di aquiloni e Mille splendidi soli, i due grandi successi di Khaled Hosseini ambientati in Afghanistan.

Figlio di un diplomatico e di un’insegnante, Hosseini è nato nel 1965 a Kabul dove ha vissuto la sua infanzia.
Dal 1980, dopo aver ottenuto asilo politico in seguito all’arrivo dei russi, vive negli Stati Uniti con la moglie e i due figli.
Laureato in medicina, è autore del libro Il cacciatore di aquiloni, pubblicato nel 2003 (e che come racconta lui stesso aveva iniziato a scrivere sei mesi prima del crollo della Torri Gemelle); nel 2007 ha pubblicato il suo secondo libro intitolato Mille splendidi soli.
Sempre come racconta lui nella prefazione de Il cacciatore di aquiloni e proprio come Amir, il protagonista di quel romanzo, Khaled Hosseini ha iniziato a scrivere da bambino, negli Anni Settanta, nella sua Kabul.
È tornato in Afghanistan nel 2006 come inviato degli Stati Uniti per l’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

Nei suoi libri, Hosseini parla dunque del suo Paese, naturalmente partendo dal proprio vissuto e dai ricordi personali del periodo pre-sovietico – ma non solo.
Attraverso i suoi personaggi parla delle varie fasi della storia tormentata dell’Afghanistan, della vita quotidiana, della condizione femminile e delle minoranze etniche. E parla di amicizie che salvano e condannano. Leggi tutto

Sono (già) passati dieci anni…

Ho pubblicato i pensieri che seguono il 10 settembre in Instagram.
Ho il desiderio che restino anche qui, visto la velocità (che tutto cancella) dei social network…

In questi giorni ricorre per me un anniversario dolceamaro: dieci anni fa, nel settembre del 2011, finivo di lavorare per un’azienda che, senza avere nessuna concreta difficoltà, in nome del profitto, lasciò a casa diverse decine di persone, sottoscritta inclusa.

Non voglio fare la gradassa: ammetto che mi parve un dramma – ed era in effetti un problema non lieve – e confesso che in quei momenti provai paura, smarrimento, angoscia. E una grande delusione.
Sentivo mancarmi l’aria ed ero terrorizzata dal fatto di non essere più una ragazzina e dalla consapevolezza che questo inconfutabile dato anagrafico non mi avrebbe certo aiutata.

Fu l’uomo che più amo al mondo a farmi vedere la questione sotto tutt’altra prospettiva, proponendomi di prendere il tutto come un’occasione per chiedermi cosa volessi fare davvero. E questo è uno dei motivi per cui lo amo tanto, anche perché aveva ragione: in effetti, ero lavorativamente infelice.
Non amavo niente del percorso che avevo costruito fino a quel momento, nonostante lo avessi costruito con diligenza e senso del dovere ma il punto era proprio quello: non c’era traccia di passione, neanche minima.

Ho allora usato la buonuscita ricevuta dalla mia ex azienda scommettendo e investendo su me stessa: sono tornata sui banchi di scuola, mi sono rimessa a studiare e ho conseguito alcune nuove specializzazioni, stavolta nell’ambito che davvero amavo (l’ho raccontato qui).
E poi ho ricominciato, da zero o quasi.

Senza boria, ve l’assicuro, posso dire di essere orgogliosa di me stessa. Leggi tutto

Le donne per le donne, la rete civica per l’Afghanistan

Ricevo e molto volentieri condivido – È nata Le Donne per le donne, una rete civica di donne le quali, di fronte al drammatico evolversi degli eventi in Afghanistan, hanno deciso di mettere subito in atto un’iniziativa che possa offrire un supporto a sostegno delle istituzioni, organizzazioni e associazioni che si occuperanno concretamente dell’emergenza rifugiati. È per me un onore dar voce a questa iniziativa.

***

Lo scorso 31 agosto è nata Le donne per le donne, una rete solidale tutta al femminile che ha deciso di attivarsi con un progetto sociale concreto di supporto ai rifugiati provenienti dall’Afghanistan.

Le donne per le donne è l’iniziativa di un gruppo eterogeneo – nato in rete e cresciuto in pochissimo tempo – di persone che vogliono mettere a disposizione le proprie competenze per collaborare in modo attivo con istituzioni, associazioni e organizzazioni che già si stanno occupando concretamente di questa emergenza – sia sul territorio afghano sia nell’accoglienza dei profughi in arrivo in Italia.

L’obiettivo della rete è quello di fornire un aiuto pratico e duraturo da parte della società civile a sostegno degli operatori in questa grande tragedia umanitaria – e non solo in questo momento di particolare emergenza ma anche negli anni a venire. Leggi tutto

TELESCOPE – racconti da lontano: l’edizione 69 parla di Afghanistan

Il 15 marzo 2020, nel pieno della prima fase della pandemia, ricevetti una newsletter capace di catturare tutto il mio entusiasmo e tutto il mio interesse nel giro di pochi istanti: si trattava dell’annuncio di TELESCOPE – racconti da lontano, un progetto voluto dal team di Lara Facco Press&Communication, importante ufficio stampa, comunicazione e pubbliche relazioni in ambito arte.

TELESCOPE veniva presentato come un appuntamento settimanale pensato per parlare di progetti culturali, «mostre, collezioni, singole opere protagoniste di un racconto a più voci, per non fermare la cultura, alimentare il confronto culturale, esplorare nuovi modi di comunicare».

Così come il telescopio è lo strumento che consente la visione di oggetti distanti, allo stesso modo TELESCOPE si proponeva dunque come un insieme di «parole di giornalisti, curatori, direttori, artisti e critici per raccontare quello che per un po’ non potremo vedere di persona, tante voci per comporre un mosaico complesso che, senza la presunzione di sostituirsi a una visita dal vivo, restituisca “da lontano”, almeno in parte, l’emozione della fruizione culturale».

La promessa è stata mantenuta e la newsletter TELESCOPE è arrivata all’edizione numero 70: da assetata di cultura, arte e conoscenza quale sono, non ne ho persa nemmeno una.

Ma ciò che desidero sottoporre ora alla vostra attenzione è l’edizione numero 69 di TELESCOPE interamente dedicata all’Afghanistan, un’uscita speciale per il Paese oggi tristemente al centro dell’attenzione mondiale.

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Sono nata in Italia – e per questo sono privilegiata

Ho pubblicato i pensieri che seguono il 19 agosto in Instagram.
Ho il desiderio che restino anche qui, visto la velocità (che tutto cancella) dei social network…

Sono nata in Italia e, anche grazie a questo luogo di nascita, i miei genitori hanno potuto educarmi alla libertà e al rispetto.
Per essere nata in Italia ho potuto giocare, sognare, crescere a tempo debito e non precocemente, ho potuto decidere chi amare, scegliere chi frequentare.
Ho potuto e posso studiare.
Ho potuto e posso lavorare.
Ho potuto e posso fare scelte personali e professionali senza particolari costrizioni o limiti.
Ho potuto e posso viaggiare – com’è accaduto nei giorni scorsi (qui sopra sono a Étretat, in Normandia).
Ho potuto e posso ascoltare musica, visitare musei, vedere un film, prendere un aperitivo, pranzare o cenare fuori, usare Internet e utilizzare i canali social per potermi esprimere e poter ampliare le mie conoscenze.
Ho potuto e posso vestirmi, pettinarmi e truccarmi come mi pare.

Sono nata in Italia e poter fare tutte queste cose fa di me una privilegiata come lo sono la maggior parte delle persone che vivono nel cosiddetto Occidente.

Sono una privilegiata nel senso che Gino Strada attribuiva a tale termine, ovvero questi che dovrebbero essere normali diritti di tutti gli esseri umani sono in realtà privilegi solo di una parte dell’umanità.

Ne sono conscia, di questo privilegio, e ci sono giorni in cui questa consapevolezza mi manda in crisi, mi atterrisce e mi fa sentire sbagliata, un vero e proprio schifo, privilegiata solo e semplicemente perché nata nella parte “giusta” del mondo per un puro caso.

Ho sempre cercato – nel mio essere una minuscola nullità – di dare voce a chi non ha i miei stessi privilegi. So che non è sufficiente. E confesso che non ho soluzioni, al momento, per essere di maggiore utilità.
Però coltivo la consapevolezza (e quel tormento) nella speranza… non lo so, nella speranza – forse – di poter capire cosa fare, di più e meglio. Credo sia il minimo che ogni persona privilegiata debba fare, oggi più che mai, capire come mettere a buon frutto e non sprecare questi privilegi che non smetto di sperare (e sognare) possano trasformarsi in diritti.

Manu
Agosto 2021, pensando all’Afghanistan

Come (e perché) mi sono dimenticata degli otto anni di Agw

Otto anni di Agw ovvero questo mio blog A glittering woman.
Otto anni che ricorrevano il 1° maggio 2021 – e io me ne sono dimenticata.
Completamente.

Me ne sono accorta solo il 24 maggio, più di 20 giorni dopo.
D’un tratto mi sono accorta di aver dimenticato il compleanno di quella che ho sempre considerato la mia amatissima creatura, di quella creatura della quale ho sempre pensato «la terrò con me per sempre, è l’ultima cosa alla quale rinuncerò».

Il problema è riassunto e rappresentato dall’avverbio che ho scelto: completamente.
Non è che mi sono distratta per un giorno o due, che ne so, una lieve distrazione o dimenticanza, ma addirittura per più di tre settimane, senza che alcun pensiero in merito mi sfiorasse in nessun modo.
Completamente rimosso.
Come se non fosse più la mia amatissima creatura.
Come se non vi fosse nulla da festeggiare, come invece ho sempre fatto anno dopo anno dal 2013.

A proposito dell’affermazione «come se non vi fosse nulla da festeggiare»: aggiungo un dettaglio, cari amici. Leggi tutto

Voce su tela, il libro che racconta la storia magica di Clara Woods

Un paio di mesi fa, in ottobre, ho raccontato la storia di Clara Woods.

Clara nasce il 10 marzo 2006 a Firenze e, un anno dopo, i dottori fanno un annuncio terribile ai genitori: la piccola ha avuto un ictus prenatale e per lei viene prospettata un’esistenza da vegetale.

Mamma Betina e papà Carlo non ci stanno, non si rassegnano davanti a una sentenza tanto dura: Clara inizia un programma di riabilitazione e i suoi progressi stupiscono tutti così come la sua forza di volontà e la sua determinazione.

Nonostante abbia difficoltà a scrivere e leggere, oggi Clara comprende perfettamente tre lingue: la mamma è brasiliana, il papà è olandese-canadese e così lei comprende italiano, inglese e portoghese.
Nonostante non riesca a parlare, Clara si esprime attraverso la (meravigliosa) famiglia che è la sua voce.
Nonostante abbia difficoltà motorie, Clara riesce a correre.

Sebbene usi con difficoltà la mano sinistra, Clara impara a dipingere e ha trovato proprio in questo un nuovo, ulteriore strumento per comunicare perché se è vero che mamma Betina, papà Carlo e il fratello David la capiscono e sono la sua voce, quando Clara dipinge può parlare con tutti da sola.

Clara esplora ed esprime il suo universo emotivo attraverso l’intensità dei colori acrilici, rappresentando una quotidianità adolescenziale a tinte forti, realmente vissuta o immaginata. Leggi tutto

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