Savini Milano presenta ‘Callas mai vista, Maria re-interpreta Medea’

Siamo ormai arrivati alla metà del mese di settembre che in molti definiscono fashion month.

Il perché è presto detto: settembre è il mese in cui si svolgono le principali settimane della moda, occasione in cui si presentano le collezioni donna della stagione estiva successiva. E ora, dopo New York e Londra, tocca a Milano che sarà poi seguita da Parigi.

Come dicevo, ad aprire le danze è stata New York.

«Negli ultimi anni, la rilevanza della New York Fashion Week è diminuita. Tom Ford e il CFDA hanno promesso che ciò sarebbe cambiato a partire da quest’anno grazie a un programma abbreviato e punteggiato da una serie di spettacoli esperienziali e imperdibili. Alla fine, anche se non ci sono stati abiti straordinari di cui parlare, c’è stata eccitazione. E questo, almeno, è un inizio.»

CFDA è l’acronimo di Council of Fashion Designers of America, l’equivalente della nostra Camera Moda, e lo stilista Tom Ford ne è l’attuale presidente: l’affermazione che ho riportato suona come una sentenza non molto positiva, esce dalla pungente penna della giornalista americana Lauren Sherman ed è contenuta in un articolo per il prestigioso The Business of Fashion.

Ma se la Sherman e Bof trovano che – cito testualmente – «this season there were no extraordinary clothes to speak of», vi confesso che, francamente, spero si potrà invece dire diversamente di Milano e che, entusiasmo, fermento ed eccitazione a parte, si potrà parlare anche di abiti straordinari o quanto meno belli.

Non solo: mi fa piacere sostenere che l’imminente edizione di Milano Moda Donna (o se preferite Milano Fashion Week, 17-23 settembre) «nasce all’insegna di sostenibilità, inclusione e apertura anche al pubblico visto che tanti eventi saranno accessibili a tutti».

A dichiararlo, ben prima di me e in occasione della conferenza stampa, è stato Carlo Capasa, presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana: MMD non sarà dunque esclusivo appannaggio di fashion editor, buyer e vari addetti ai lavori e, durante la settimana, vi saranno alcuni appuntamenti aperti al pubblico, allestiti da vari brand e maison. Leggi tutto

Gli ‘Abiti da star’ di Rosanna Schiaffino sono in mostra a Milano

Nel post precedente, miei cari amici e lettori, ho fatto una confessione, ovvero quanto dispiacere io provi (anche in veste di docente) quando riscontro poco interesse verso la storia del costume da parte di tanti giovanissimi che frequentano le accademie di moda.

Capita, ebbene sì, che vi sia tale disinteresse e ho aggiunto che se mi dispiace è perché credo che sia per loro un’occasione persa: chi studia la moda e ambisce a diventare un professionista in tale settore deve invece essere molto interessato ad acquisire quegli strumenti preziosi che permettono di leggere il passato per interpretare il presente e immaginare o progettare il futuro.

Se riprendo questo incipit è perché, lo scorso 20 giugno, insieme a un piccolo gruppo di miei studenti di Accademia del Lusso, sono stata a Palazzo Morando, il museo meneghino che ospita il racconto di tutto ciò che è Costume, Moda, Immagine: scopo della nostra presenza era visitare una mostra della quale avevo già accennato in un precedente post parlando di archivi-guardaroba celebri, qui, ovvero la mostra ‘Rosanna Schiaffino e la moda – Abiti da star’ che resterà aperta fino al 29 settembre.

Nonostante la giornata fosse davvero torrida e non favorisse la concentrazione, i miei ragazzi mi hanno dato grande soddisfazione cogliendo appieno l’importanza della mostra e soffermandosi con attenzione, entusiasmo e ammirazione a osservare ricami, leggere didascalie, guardare filmati d’epoca: la mostra racconta – come dice il titolo stesso – il rapporto con la moda di Rosanna Schiaffino (1939 – 2009), splendida e celeberrima attrice italiana, è vero, ma certamente lontana dai tempi, dalla realtà e dal vissuto di giovanissimi appartenenti alla Generazione Z. Leggi tutto

La tuta da Thayaht ai giorni nostri, un capo che non invecchia mai

Vi faccio una confessione, miei cari amici.
Anche in veste di docente, provo grande dispiacere quando riscontro poco interesse verso la storia del costume da parte di quei giovanissimi che frequentano le accademie di moda.
Ebbene sì, capita, e se mi dispiace è perché credo che sia per loro un’occasione persa: chi studia la moda e ambisce a diventare un professionista in tale settore deve invece essere molto interessato ad acquisire quegli strumenti preziosi che permettono di leggere il passato per interpretare il presente e immaginare o progettare il futuro.
Credo che l’equivoco di base sia considerare la storia come qualcosa di polveroso se non morto, mentre al contrario la storia vive ed è una grande maestra proprio perché, se letta e padroneggiata con attenzione e passione, ci offre grandi possibilità.
Anche perché la storia della moda ha una caratteristica significativa: è ciclica ed è molto spesso fatta di ritorni e reinterpretazioni, dunque sorrido quando magari si considera rivoluzionario e moderno qualcosa che in realtà esisteva già secoli scorsi (o anche più, come nel caso di capi che risalgono a Greci, Romani, Egizi) e che qualche stilista contemporaneo ha più o meno semplicemente rielaborato e riproposto.
C’è perfino qualcuno che ha considerato ‘diavolerie moderne’ cose che esistevano già mille e più anni fa, come per esempio il costume a due pezzi (certo esisteva in una forma diversa, come ho raccontato e mostrato qui).
Ebbene sì: dobbiamo molti dei capi che indossiamo ancora oggi a geniali creatori che li hanno pensati tanti anni fa, magari… cento anni fa.

Non scrivo il numero a caso ma prendendo come esempio la tuta: avevo promesso in un post recente di tornare a parlarne ed eccomi qui a mantenere la promessa.

Tornare a parlarne, sì, perché avevo già accennato alla storia della tuta in un post del 2016 dedicato al lavoro di Francesca Fossati.
Ora, però, ho voglia di raccontarvela proprio bene, perché la tuta (overalls / dungaree / jumpsuit per chi preferisce l’inglese o ancora salopette per chi ama il francese) ha una genesi davvero interessante e che riesce a fondere tanti diversi elementi.

Vi dico subito il nome di colui al quale si può attribuire la paternità della tuta: si tratta dell’artista italiano Ernesto Michahelles (1893 – 1959). Leggi tutto

Off the shoulder, la scollatura che non passa MAI di moda

Off the shoulder: un’espressione che significa semplicemente spalle scoperte e che indica pertanto tutti quegli abiti, top e camicie che lasciano liberi collo e spalle.

Vi confesso che, all’espressione in lingua inglese, io preferisco di gran lunga l’equivalente italiano che, a mio avviso, è più evocativo ed eloquente: scollo omerale, ovvero che accarezza e lascia vedere l’òmero, l’osso lungo del nostro braccio, o meglio ancora la sua parte superiore, quella che lo unisce a scapola e clavicola, anch’essa lasciata libera da detta scollatura.

Scollatura che, da qualche stagione, è tornata di gran tendenza: provate a digitare chiavi come off shoulders top oppure off shoulders dress su Google e vi imbatterete in una infinità di risultati.

Avrete notato che ho (appositamente) scritto tornata: come in molti altri casi, infatti, questa tendenza non è affatto nuova ma è, al contrario, uno dei tanti corsi e ricorsi della moda.

Senza andare neanche troppo indietro, possiamo per esempio trovare testimonianze ben precise di questo tipo di scollatura in tutto l’Ottocento.

Come già saprà chi è appassionato di storia della moda, nel periodo della Restaurazione (il processo di ristabilimento del potere dei sovrani assoluti in Europa, tra il 1814 con il Congresso di Vienna e i moti del 1830-1831), si diffuse una moda dagli indumenti pesanti, rigidi e fastosi: le donne indossavano il corsetto o bustino e, per dare l’impressione di avere la vita ancora più sottile, si abbinavano gonne a campana, allacciate alla cintura e svasate sul fondo.

La mania per l’ampiezza della gonna divenne così eccessiva da raggiungere dimensioni e peso insostenibili, al punto di dover ricorrere a un supporto utile a sorreggere il volume dell’abito: la crinolina. Leggi tutto

The Fashion Experience Milano, conoscere la verità su ciò che indossiamo

Recentemente, dopo aver visto “Fashion Victims”, il docu-film girato da Chiara K. Cattaneo e Alessandro Brasile e proiettato a Milano grazie all’organizzazione Fashion Revolution, ho deciso di farmi carico di un impegno ben preciso.

Il documentario è ambientato nel Tamil Nadu, ovvero uno dei 29 stati che compongono l’India: questo stato si trova nel sud del Paese e qui milioni di adolescenti e di giovani donne lavorano nell’industria tessile, dalla filatura alla tessitura del cotone fino alla confezione di capi di abbigliamento, per il mercato locale e internazionale.

Mentre guardavo quelle giovanissime donne che vivono in condizioni di quasi schiavitù (in realtà poco più che bambine e alcune della stessa età di mia nipote, 11 anni), ho sentito che il torrente che cercavo da tempo e in qualche modo di arginare si è trasformato in un fiume in piena: purtroppo, nella moda che tanto amo (e nel sistema moda del quale sono membro in qualità di editor e docente di editoria) c’è un evidente problema che fa diventare incubo ciò che dovrebbe essere sogno.
Ed è un incubo per quelle ragazze, certo, ma anche per tutti coloro che – come me – credono nella moda come in qualcosa che va o che dovrebbe andare oltre il profitto e che invece causa sofferenza e, in alcuni casi, addirittura morte.

Dalla dolorosa esperienza della visione di “Fashion Victims” è nato un lungo post pubblicato qui nel blog (non il mio primo su tale argomento ma sicuramente il più deciso finora): visto che è un argomento al quale tengo molto e sul quale non ho alcuna intenzione di arrendermi, ho preso l’impegno con me stessa e con chi mi fa il dono di leggere ciò che scrivo di continuare a parlare di etica e sostenibilità in ambito moda.

Ringrazio pertanto ADL Mag (il magazine della scuola in cui insegno) e soprattutto Barbara Sordi, la nostra direttrice, per avermi dato l’opportunità di parlare nuovamente del documentario e di Fashion Revolution in un secondo articolo, con una sfaccettatura diversa rispetto a quanto avessi appunto già fatto qui nel blog e un taglio meno emozionale ma spero altrettanto deciso e incisivo.

Oggi torno nuovamente a parlare di moda etica e sostenibile grazie a Mani Tese: dal 21 al 30 giugno a Milano, la ONG (organizzazione non governativa) che da oltre 50 anni si batte per la giustizia nel mondo offre a noi tutti l’opportunità di partecipare a THE FASHION EXPERIENCE, un’esperienza interattiva che ci permette di scoprire ciò che si nasconde dietro gli indumenti che indossiamo tutti i giorni.

«L’obiettivo di THE FASHION EXPERIENCE è quello di diffondere la consapevolezza sui rischi sociali e ambientali della cosiddetta Fast Fashion – dichiara Giosuè De Salvo, Responsabile Advocacy, Educazione e Campagne di Mani Tese – promuovendo modelli o processi d’impresa che siano in grado di assicurare, da una parte, il rispetto dei diritti delle persone che lavorano lungo la filiera globale dell’abbigliamento e, dall’altra, di proteggere risorse naturali fondamentali quali fiumi, mari e terre fertili.» Leggi tutto

Tiziano Guardini onora il World Oceans Day con una capsule in Econyl®

L’8 giugno di ogni anno è il giorno in cui si celebra l’oceano, la sua importanza nelle nostre vite e come ognuno di noi può proteggerlo, ovunque viviamo.
L’idea è nata nel 1992 ed è stata poi istituzionalizzata nel 2002: da allora, il World Oceans Day collega persone di tutto il mondo e ispira azioni che vengono portate avanti durante tutto l’anno per proteggere questa straordinaria risorsa da cui tutti noi dipendiamo.
Tra le varie iniziative di quest’anno vi sono anche quelle di tanti brand del settore moda: ho scelto di parlarvi di Tiziano Guardini, uno stilista molto interessante tra coloro che popolano il panorama attuale.

Tiziano Guardini nasce a Roma negli Anni Ottanta.
Dopo la laurea in Economia, decide di intraprendere un ulteriore percorso di studi all’Accademia di Alta Moda Koefia di Roma, conseguendo il titolo di Fashion Designer.
Ottenuto un master in Responsabile del Prodotto, inizia diverse collaborazioni presso uffici stile di vari atelier, scegliendo poi di affiancare alcune aziende di prêt-à-porter e di accessori.

Nel 2012 partecipa alla manifestazione Limited/Unlimited proponendo la giacca ‘aghi di pino’: nello stesso anno viene invitato a partecipare alla Vogue Fashion Night Out a Roma e sfila con una sua creazione nell’ambito affascinante di Trinità dei Monti, accettando poi l’invito a esporre all’interno della mostra La seduzione dell’artigianato. Leggi tutto

Huawei Fashion Flair with Annakiki, intelligenza artificiale e moda

Anna Yang (fondatrice di Annakiki) e Isabella Lazzini (Retail Director di Huawei Italia) insieme per Fashion Flair

Tra i diversi profili che sono stati elaborati allo scopo di fotografare le generazioni che abitano attualmente il nostro pianeta (Maturists, Baby Boomers, Generation X, Generation Y oppure Millennials, Generation Z), io mi colloco esattamente a metà, ovvero nella cosiddetta Generazione X, quella di coloro che sono nati tra il 1965 e il 1980.

Influenzati da fenomeni sociali, culturali, politici ed economici che vanno dal crollo del Muro di Berlino (1989) passando per Andy Warhol e la Pop Art fino ad arrivare al consumismo, è (siamo…) la generazione dei cartoni animati, delle sale giochi e delle televisioni commerciali, dei primi videogame, dei primi computer, dei primi oggetti tecnologici portatili come il walkman.

Tra gli appartenenti alla Generazione X ci sono coloro che hanno creato Google nel 1998 (Sergej Brin e Larry Page, entrambi classe 1973) e che hanno spianato la strada ai loro successori, i Nativi Digitali, ovvero i Millennials e la Generazione Z.

Varie analisi dicono che noi della Generazione X siamo fruitori abbastanza consapevoli: andiamo alla ricerca di informazioni un po’ su tutto e scegliamo quali prodotti acquistare dopo aver consultato recensioni e opinioni di chi ne è già un consumatore.

Devo dire che mi riconosco abbastanza in questo ritratto con qualche eccezione: per esempio, contrariamente a tante persone della mia stessa generazione che continuano a prediligere Facebook, io preferisco invece Instagram come i Nativi Digitali e nonostante il mio lavoro sia fondato fortemente sulla comunicazione verbale.

Il punto fondamentale è che sono istintivamente curiosa e dunque sono affascinata da tutto ciò che profuma di futuro e progresso: sebbene io sia una immigrata digitale e non una nativa (secondo la definizione coniata nel 2001 da Mark Prensky, scrittore e consulente statunitense), sebbene io sia cresciuta prima delle tecnologie digitali e le abbia adottate solo in un secondo tempo, ho una visione e un approccio che sono più vicini a quelli delle generazioni successive.

Oltre alla curiosità da sempre insita in me, credo che il mio atteggiamento dipenda anche dal fatto che tra le attività lavorative di cui mi occupo figura anche l’insegnamento: confrontarmi con gli studenti, ragazzi che appartengono alle ultime generazioni, mi mantiene mentalmente elastica e perennemente al passo dei tempi. Spero di dar loro qualcosa e allo stesso tempo mi piace ricevere da loro, in modo diverso ma complementare.

Qui nel blog esistono tante tracce del mio amore per il futuro e per le tecnologie anche applicate a moda e costume: ho parlato per esempio in un post di Bradley Quinn, grande visionario della moda che ho avuto il piacere di incontrare nel 2013, oppure ho parlato in un altro post di wearable technology, la tecnologia indossabile, attraverso l’abito creato nel 2016 da Zac Posen per Claire Danes al Met Gala.

Oggi mi spingo oltre parlandovi di Fashion Flair, la prima collezione di moda co-creata dalla artificial intelligence (intelligenza artificiale) di Huawei P30 e Huawei P30 Pro e dall’estro di Anna Yang, Creative Director del brand Annakiki.

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Fashion Victims, quelle VERE vivono, lavorano (e soffrono) in India

Era il 24 aprile 2013 quando il Rana Plaza, edificio commerciale di otto piani, crollò a Savar, sub-distretto di Dacca, la capitale del Bangladesh.
Le operazioni di soccorso e ricerca si conclusero con un bilancio dolorosissimo: 1.134 vittime e circa 2.515 feriti per quello che è considerato il più grave incidente mortale avvenuto in una fabbrica tessile nonché il più letale cedimento strutturale “accidentale” nella storia umana moderna.
Com’è tragicamente noto, il Rana Plaza ospitava alcune fabbriche di abbigliamento, una banca, appartamenti e numerosi negozi: nel momento in cui furono notate delle crepe, i negozi e la banca furono chiusi, mentre l’avviso di evitare di utilizzare l’edificio fu ignorato dai proprietari delle fabbriche tessili.
Ai lavoratori venne addirittura ordinato di tornare il giorno successivo, quello in cui l’edificio ha ceduto collassando – e per questo ho messo “accidentale” tra virgolette…

Lo voglio ripetere: nel crollo, persero la vita 1.134 persone e ci furono oltre 2.500 feriti.

Molte delle fabbriche di abbigliamento del Rana Plaza lavoravano per i grandi committenti internazionali e questo orribile sacrificio di vite umane ha squarciato il velo di omertà che copriva, a mala pena, pratiche che moltissimi, in realtà, conoscevano da tempo e fingevano di non vedere.

Chi ha buona memoria, ricorderà forse che di tutto ciò ho già scritto lo scorso anno; continuerò a farlo, continuerò a scriverne finché sarà necessario, fino a quando non ci sarà un vero cambiamento, così come continuerò (anche questo come ho già fatto l’anno scorso) a scrivere di Fashion Revolution, il movimento presente in 102 Paesi nel mondo che è stato fondato da Carry Somers (stilista per oltre 20 anni con il brand Pachacuti che ha rivoluzionato il concetto di trasparenza nell’ambito della catena produttiva nella moda) e da Orsola de Castro (voce autorevole della moda sostenibile con il suo marchio From Somewhere fondato sul concetto di upcycling).

Nel 2013, dopo la tragedia del Rana Plaza, Carry e Orsola hanno deciso di fondare Fashion Revolution, organizzazione che conduce una costante campagna di sensibilizzazione rivolta soprattutto al consumatore finale: promossa attraverso stampa e social media, prevede eventi che siano mirati a promuovere il concetto di moda etica e di sostenibilità.

Nell’ottica di tale campagna e insieme a Fashion Film Festival Milano nonché in occasione della Fashion Revolution Week 2019 (22-28 aprile), Fashion Revolution ha promosso martedì 23 aprile la proiezione di “Fashion Victims”, docu-film di Chiara Ka’Hue Cattaneo e Alessandro Brasile.

Il documentario “Fashion Victims” è ambientato nel Tamil Nadu, ovvero uno dei 29 stati che compongono l’India: questo stato si trova nel sud del Paese e qui milioni di adolescenti e di giovani donne lavorano nell’industria tessile, dalla filatura alla tessitura del cotone fino alla confezione di capi di abbigliamento, per il mercato locale e internazionale. Leggi tutto

Creatività a quattro mani tra mamma e figlia con byMo design

Avviso: state per leggere l’ennesima delle storie di talento che amo raccontare qui in A glittering woman ed è una di quelle che hanno tutti gli elementi che preferisco.

Partiamo?
C’era una volta…
No, scusate: ci sono oggi due donne, precisamente una già adulta (che si chiama Laura) e una ancora bambina (che si chiama Viola).
A legarle è uno dei rapporti più intensi che esistano: sono mamma e figlia.

Dalla mente creativa di Laura Moalli, designer e fondatrice del marchio byMo design, nasce You are my Person: potrei forse descriverla come una linea di t-shirt, ma sarebbe limitativo poiché è il risultato di un lavoro a quattro mani e due cuori, quelli di Laura stessa e di Viola, la sua bambina di 9 anni.

Le t-shirt, in cotone bianco e rigorosamente Made in Italy, variano per la lunghezza delle maniche: lunghe, a tre quarti oppure corte.
Ciò che le rende particolari è il fatto di essere dedicate espressamente alle mamme e alle loro bambine: ogni modello, infatti, è disponibile sia per la mamma sia per la figlia, a partire dai 2 fino agli 11 anni, e Laura deve ringraziare la sua bambina perché le stampe che ornano le maglie sono la riproduzione dei disegni che Viola ha realizzato qualche anno fa, quando aveva tra i 5 e i 7 anni.
Viola è dunque una giovane artista in erba che Laura ha saputo riconoscere e coinvolgere in un progetto che, adesso, è il loro. Leggi tutto

Dunia Algeri e la lana baby alpaca, dal Perù alla lavorazione in Italia

Tra le belle scoperte che ho avuto modi di fare durante queste settimane di presentazione delle collezioni autunno / inverno 2019 – 2020 a stampa e blogger, figura senza alcun dubbio Dunia Algeri.

Dunia… siete incuriositi – come me – da questo nome?

Ebbene, partiamo proprio da questo: viene da Delitto e castigo, il romanzo pubblicato nel 1866 dallo scrittore russo Fëdor Dostoevskij e ambientato a San Pietroburgo.

Protagonista del romanzo è Rodiòn Romànovič Raskòl’nikov il quale ha una sorella di nome Avdot’ja Romànovna Raskol’nikova, chiamata anche Dunja o Dùnečka, personaggio di elevato valore morale e descritta come donna molto bella.

I Romani dicevano Nomen omen, sostenendo che nel nome di una persona sia già indicato il suo destino: devo dire che, anche questa volta, la locuzione si conferma come esatta.

Ma torniamo alla nostra Dunia che (brava e bella) è partita da un’idea precisa e virtuosa: rendere omaggio alla nonna paterna Giulia e alla sua expertise.

A Pedrengo in provincia di Bergamo, negli Anni Sessanta, nonna Giulia (le cui foto si trovano anche nell’atelier che ho avuto il piacere di visitare lo scorso 20 marzo, eccone una qui sotto) realizzava maglioni con il suo telaio manuale (anch’esso presente in atelier): Dunia ha deciso di fare la stessa cosa – ovvero splendidi maglioni – ma con un filato molto particolare che si chiama baby alpaca. Leggi tutto

Curiel SS 19 Haute Couture: dai fogli di carta ai fogli di chiffon, tulle, seta

Sono innumerevoli gli autori, dagli scrittori fino ai cantanti, che hanno paragonato il tempo a un foglio, usando la metafora del libro.

Il passato viene paragonato a un libro già scritto, mentre presente e futuro sono libri ancora da scrivere, fogli bianchi da riempire.

Stavolta, a lasciarsi guidare da questa bella metafora, è una maison di moda e così la collezione Curiel SS 19 Haute Couture diventa una storia di fogli.

Ci sono i fogli di carta ingialliti dal tempo e ritrovati per caso in uno scomparto segreto della libreria, un tesoro di disegni e appunti firmati da Gigliola Curiel (nipote della fondatrice Ortensia Curiel) a partire dagli Anni Quaranta; e ci sono invece i fogli di chiffon, tulle oppure seta, virtuosamente assemblati uno sull’altro in sartoria per creare volumi, strati di colore e… tocchi di poesia.

Nasce così un’alta moda senza precedenti perfino nella poetica di questo pregiato atelier: una vera e propria scatola del tempo che contiene passato, presente e futuro.

Si comincia dall’omaggio proprio a Gigliola Curiel, incredibile signora di Trieste che, verso la metà degli Anni Quaranta, arriva a Milano: apre una prima sartoria in via Durini e, nel giro di tre anni, si ritrova con 128 lavoranti a tempo pieno. Leggi tutto

Couturier Maestri d’Arte, un concept store dalla Sicilia a Milano e oltre

Un bozzetto della location di Couturier Maestri d’Arte

Credo che, grazie a questo sito e attraverso tutti i miei canali social, sia ormai nota quella che è la mia più grande passione: il talento.
Sostenere la capacità in ogni sua declinazione e contribuire a far conoscere e circolare le varie forme che il talento può assumere; tutto ciò è quasi una missione che mi dà gioia, lo confesso.

È dunque con estremo piacere che condivido la notizia dell’inaugurazione a Milano di un progetto che ha tutto il potenziale per cambiare le attuali logiche del mercato per quanto riguarda cultura e moda (e io lo spero vivamente).

Il progetto al quale mi riferisco si chiama Couturier Maestri d’Arte e non è un negozio e nemmeno una casa di moda: tra mecenatismo contemporaneo e incubatore d’impresa, quello che l’imprenditrice siciliana Raffaella Verri ha ufficialmente presentato alla stampa lo scorso 28 febbraio nel concept store posto tra Largo Donegani e via della Moscova è piuttosto un progetto imprenditoriale che, dando voce a creativi emergenti, mira a rilanciare il concetto di lusso.

Si punta infatti su due elementi – unicità e valore dell’esperienza – per contrastare l’omologazione, vendere manufatti unici, esportare genialità italiana e – perché no – creare un nuovo fermento creativo: protagonisti del concept store e del racconto sono giovani stilisti, artisti, fotografi e creativi.

Couturier Maestri d’Arte propone prodotti e servizi di elevato livello qualitativo e, se la cifra stilistica del progetto è l’eleganza della Sicilia di una volta, il linguaggio è invece molto attuale.

«Eccellenze dell’arte, della moda, della fotografia, del gioiello, dell’architettura, ma non solo: attraverso una selezione accurata di artisti e brand vorrei raccontare l’infinito patrimonio culturale e artistico siciliano. I veri protagonisti saranno talenti capaci di lavorare sull’unicità che caratterizza ogni persona»
Così racconta la Verri ed ecco perché parlo di mecenatismo contemporaneo. Leggi tutto

YOOX ospita in esclusiva Franca Sozzani Private Collection

Quando ho fondato questo piccolo spazio web, ho voluto raccontare nella pagina Chi sono il mio pensiero circa abiti e moda.

Ho raccontato come io consideri la moda una forma di cultura, una modalità di libera espressione e di comunicazione personale e sociale, un linguaggio istantaneo e immediato che amo e rispetto.

Ho raccontato come io pensi che l’estetica non può e non deve essere slegata dall’etica e dai contenuti: la moda non è mera apparenza, può (e per me deve) essere anche sostanza ed essenza.

Ho raccontato come io – altamente imperfetta – abbia scelto una dimensione che molti credono essere basata esclusivamente sull’apparenza; ho raccontato come io abbia deciso di lavorarci portando testardamente avanti la mia visione basata (anche) su contenuti e sostanza.

Ho raccontato infine che per me i vestiti non sono fatti per farci apparire più giovani o più magri – o non solo per quello: i vestiti sono suggestioni e sogni tradotti in stoffa e noi, a nostra volta, possiamo sceglierli affinché ci rappresentino, attraverso la nostra interpretazione e personalizzazione, attraverso sottrazioni o aggiunte, per comunicare con gli altri e per raccontare chi siamo.

Sarò stupida, illusa, pazza, visionaria, cocciuta, ostinata ma nessuno mi fa cambiare idea: ancora oggi, continuo a credere che la moda non sia solo un bel vestito o il bel visino di una modella.
Continuo a credere che sia molto di più.
E continuo a credere fermamente che la moda debba essere inclusiva, ovvero essere rappresentativa della società in cui viviamo e di tutte le persone che la compongono.

Se tutto ciò è vero, se la moda è linguaggio, allora un guardaroba è un codice.
E costruire il proprio guardaroba, pezzo dopo pezzo, anno dopo anno, è come lavorare alla scrittura di un codice. Leggi tutto

Aspettando la primavera: i cappelli della collezione Doria 1905 SS 2019

Ho osservato che ogni volta in cui mi trovo in difficoltà, magari perché sto vivendo una situazione che non mi fa sentire completamente a mio agio, la mia testa inizia a ragionare in prospettiva futura, concentrandosi su ciò che verrà.

Non credo di essere l’unica alla quale capita; credo, al contrario, che questo sia il più classico tra i meccanismi di difesa del nostro cervello.

Prendete, per esempio, la mia avversione per l’inverno: non so dirvi, sinceramente, se a mettermi più a disagio sia il freddo o la poca luce, fatto sta che, appena ne ho l’ardire, inizio a pensare alla primavera.

E diciamo che, di solito, questo momento coincide con la seconda metà di gennaio: archiviato dicembre, archiviato il solstizio d’inverno (il giorno più corto dell’anno, con mia grande sofferenza), archiviate tutte le festività, posso iniziare a pensare che, tra poco più di 45 giorni (evviva l’ottimismo…), inizierà marzo, il mese che porta con sé la primavera, almeno da calendario.

È vero, gennaio è molto lungo (e spesso è il mese più freddo qui a Milano), febbraio è più corto ma può essere altrettanto gelido; eppure, è innegabile che la prospettiva futura è adesso quella di marzo e che ciò che verrà a piccoli passi è la bella stagione.

Tra l’altro, proprio in queste ultime sere, ho fatto caso a come le giornate stiano tornando ad allungarsi dopo il citato solstizio d’inverno: verso le 17 c’è ancora luce mentre, fino a dicembre, alla stessa ora era già praticamente buio. Leggi tutto

Pillole per la prossima bella stagione: Giulia Rositani SS 19 Il Drago e La Fenice

Dalla collezione Giulia Rositani SS 19 (ph. courtesy ufficio stampa)

Succede tutti gli anni: arriva l’autunno e io – che detesto il freddo – inizio a pensare a tattiche per scacciare dai miei pensieri la prospettiva del lungo inverno, una prospettiva che mi atterrisce.

Devo ammettere che, quest’anno, perfino qui a Milano non abbiamo ancora assaggiato il freddo: nonostante siamo ormai giunti a metà novembre, l’autunno è stato un po’ piovoso ma molto clemente per quanto riguarda le temperature.

Eppure, nonostante tale clemenza, la mia operazione di salvataggio mentale dal freddo è comunque iniziata e una delle mie tattiche di difesa è rifugiarmi nel pensiero delle collezioni di abbigliamento per la primavera / estate dell’anno a venire: l’idea dei capi per la stagione calda – in genere più colorati e anche più liberi quanto a tagli, forme e proporzioni – mi dà un immediato sollievo.

Se vi va di seguirmi, oggi vorrei condurvi con me alla scoperta di una collezione particolarmente allegra e portatrice di bonheur, firmata da una stilista che è già stata ospite in varie occasioni di A glittering woman (qui, per esempio trovate il racconto della sua collezione SS 2016 e qui quello della collezione SS 2015): mi riferisco alla giovane quanto talentuosa Giulia Rositani.

Lo scorso 15 giugno, in una calda giornata milanese e nella cornice della splendida Terrazza Martini addobbata come un immaginario Giardino dell’Eden (vi dirò presto perché l’Eden e qui e qui trovate un paio di miei scatti di quel giorno), Giulia ha presentato la sua collezione primavera – estate 2019 ispirata a mondi fantastici e, in particolare, alla favola Il Drago e la Fenice.

Nella collezione Giulia Rositani SS 19 il colore e la stampa sono i protagonisti indiscussi di capi ironici e allegri quanto raffinati.

I sogni della stilista (qui in un altro mio scatto di quel giorno in mezzo a due delle sue modelle), disegnati, stampati e ricamati su stoffa, si incarnano in una creatura leggendaria, simbolo di forza e tenacia: la fenice, spesso nota anche con l’epiteto di araba fenice o uccello di fuoco, una delle figure mitologiche più affascinanti di tutti i tempi.

Secondo la principale versione del mito, la fenice è diventata simbolo di morte e risurrezione: si dice «risorgere dalle proprie ceneri come l’araba fenice» poiché leggenda vuole che, dopo aver vissuto per 500 anni, la fenice sentisse sopraggiungere la sua morte e si ritirasse in un luogo appartato.

Qui accatastava le più pregiate piante balsamiche con le quali intrecciava un nido a forma di uovo e poi vi si adagiava, lasciando infine che i raggi del sole l’incendiassero e perendo dunque consumata dalle sue stesse fiamme.

Come ho già accennato, la collezione prende particolare ispirazione dalla favola Il Drago e La Fenice, la storia di un amore impossibile, la dichiarazione d’amore di Giulia nei confronti di due figure mitiche che rappresentano l’unione perfetta di due poli diversi e opposti (forza maschile per il drago e sensualità femminile per l’uccello di fuoco) eppure complementari e inscindibili.

Un tripudio di stampe, ricami e intarsi caratterizzano pertanto questa collezione dai colori pieni e brillanti che spaziano dalle nuance dei turchesi e del verde acqua – come le morbide gonne plissettate in georgette – fino al rosso passionale dei fiori che adornano ampi pantaloni in seta per giungere infine al nero del grintoso giubbino in pelle impreziosito da un brillante drago intarsiato.

Narra sempre la leggenda che, quando fu cacciata dal Paradiso Terrestre per la famigerata mela, Eva avesse offerto il frutto proibito a tutte le creature e che nessuna la rifiutò tranne la fenice che, per questo motivo, fu ricompensata diventando immortale: ogni collezione di Giulia si distingue per la presenza di un viso stilizzato (che è diventato la firma della giovane creativa) ed ecco che stavolta è il volto di Eva a caratterizzare la collezione apparendo su diversi capi, come per esempio la t-shirt (eccola qui in un’altra mia foto ed ecco il perché dell’allestimento in stile Giardino dell’Eden per la presentazione).

Boule iridescenti (che ricordano piccole mele) decorano la parte superiore del giubbino zippato, abbinato a gonne lavorate con piume; grazie a un abile gioco di trasparenze e anch’essi caratterizzati dalla stampa della fenice e del drago, gli abiti in organza vengono invece impreziositi nella parte superiore da luminose applicazioni di cristalli e rivelano sotto divertenti calzoncini fiorati oppure costumi da bagno che, per la prima volta, completano i look originali ma sempre sofisticati – ci tengo a sottolinearlo.

Come d’abitudine e anche nel caso della collezione Giulia Rositani SS 19, i disegni che animano le creazioni della stilista si confermano dunque fortemente emozionali e sono elaborati con un uso eccellente delle tecnologie più avanzate.

I capi di Giulia raccontano sempre una storia bifronte, come ama dire lei stessa, perché «una sola facciata non basta allo svolgimento della trama».

Direi, mia cara Giulia, che hai già fatto tua una lezione di vita fondamentale.

Manu

 

A seguire, alcuni outfit della collezione Giulia Rositani SS 19 Il Drago e La Fenice (ph. courtesy ufficio stampa).
Per visualizzare la gallery da pc, cliccate sulla prima foto
e poi scorrete con le frecce laterali.

Per seguire Giulia Rositani: qui trovate il sito, qui la pagina Facebook e qui l’account Instagram.

Pillole di MFW per la prossima SS 19: Off-Duty Icons by Disbanded

Dalla collezione Off-Duty Icons SS 19 di Disbanded

Che gioia poter scrivere «lo sapevo».
Ma non per il gusto – assolutamente fine a sé stesso – di poter affermare di aver avuto ragione, cosa che mi importa molto poco, tra l’altro: no, tale gioia ha carattere del tutto altruista e coincide con il piacere di assistere a un bel “ritorno”.

A chi mi riferisco? A Tania Mazzoleni, persona e professionista che gode di tutta la mia stima.

E virgoletto la parola ritorno perché, da una parte, credo che Tania non si sia mai fermata nemmeno un attimo per dare vita al suo nuovo progetto; dall’altra parte, però, credo anche di poter affermare che, dopo lo stop subito dal suo MAD Zone (di quello stop doloroso anche per me ho ampiamente parlato qui…), la sfilata dello scorso 23 settembre abbia in effetti segnato in modo eclatante il ritorno ufficiale di Tania.

Ed ecco perché posso affermare che «lo sapevo»: come scrissi al termine del post alquanto indignato di allora, sapevo che le avventure di Tania non erano affatto concluse, sapevo che sarebbe tornata e promisi di continuare a offrirle il mio aiuto, promessa che onoro oggi e che mi regala la gioia di vedere il ritorno di una persona di talento.

Ma aspettate, procediamo con ordine…

Durante l’ultima Milano Fashion Week e precisamente domenica 23 settembre, nella cornice di Palazzo Turati e nell’ambito di una manifestazione intitolata Mad Mood (format nato per promuovere talenti emergenti), Disbanded – brand di abbigliamento femminile creato da Tania Mazzoleni insieme a Sara Digiovanni – ha presentato la sua prima collezione.

Off-duty Icons – ovvero Icone fuori servizio – è la collezione primavera / estate 2019 del brand, una Fashion Art Collection ispirata ad alcune icone delle favole e ad alcune eroine contemporanee, tutte raccontate in chiave ironica e oltre qualsiasi cliché.

Cenerentola, Biancaneve, Alice e Wonder Woman danno insomma forfait e si dichiarano fuori servizio; lo status di single non prevede nessuna donzella in attesa di un ipotetico quanto fantomatico Principe Azzurro e il mito della wonder-woman-a-ogni-costo lascia spazio alla possibilità di non dover essere sempre necessariamente all’altezza, di non dover costantemente dimostrare qualcosa.

Prendendo spunto dal movimento dei quirkyalone (individui per i quali essere in coppia non è questione necessariamente primaria e che preferiscono piuttosto attendere la persona giusta anziché buttarsi in molteplici relazioni), Tania e Sara ci propongono di diventare icone di noi stesse, manifestandolo anche praticamente attraverso la libertà di un mix & match inedito tra capi giocosi ma anche fortemente femminili.

Sara, artista, e Tania, creativa, nate entrambe sotto il segno dei pesci, hanno deciso di nuotare nella stessa direzione e di unire le loro diverse esperienze lavorative per creare una linea di abbigliamento rappresentata da un mood decisamente pop: partendo da opere d’arte e rielaborandone i particolari attraverso un lavoro grafico, realizzano tessuti con stampe originali caratterizzate da colori intensi e soggetti ad alto contenuto ironico.

Il loro non è un copia e incolla tra arte e moda, ma un prodotto veramente creativo che, portando avanti e mixando il know-how di Tania e Sara nel campo della moda e dello scouting di nuovi talenti, viene contaminato da collaborazioni con altri designer emergenti.

Seguendo questa filosofia, per la realizzazione della collezione Off-Duty Icons, il brand ha collaborato con il fashion designer Ivan Iaboni (per la modellistica e un tocco folle del suo estro), con il designer Pasquale Bonfilio (che a mia volta seguo da anni per i suoi cappelli poetici e onirici, qui un esempio in un mio scatto del 23 settembre), con la designer Simona Girelli (anche lei nome che amo grazie alla sua inconfondibile tecnica basata sull’alterazione di materiali di uso quotidiano in grado di dare vita a gioielli scultura, guardate qui una sua collana) e – last but not least – con 13Ricrea.

Quest’ultimo brand ha proposto le Bisbag, ovvero borse reversibili in ecopelle, messaggere di pensieri disbanded (guardatene una in un altro mio scatto sempre dello scorso 23 settembre).

Già, perché quasi dimenticavo di focalizzarmi sul nome del brand: disbanded ovvero sciolto, libero da vincoli e legami, libero di pensiero e di fatto.

Poteva esistere nome più adatto per un brand che propone collezioni pop per chi ama essere ironica e vuole indossare – e un po’ diventare – un’opera d’arte?

Bentornata, cara Tania, ti stavo aspettando; felice che tu abbia portato con te un altro talento come Sara.

Manu

 

A seguire, alcuni outfit della collezione Off-Duty Icons SS 19 di Disbanded (ph. Marco Barbaro per il look book Disbanded, courtesy ufficio stampa); qui potete invece vedere tutta la collezione.
Per visualizzare la gallery da pc, cliccate sulla prima foto
e poi scorrete con le frecce laterali.

Per seguire il brand Disbanded, qui trovate il sito, qui la pagina Facebook e qui l’account Instagram.

A proposito di Tania Mazzoleni
Co-founder e Creative Director di Disbanded
Figlia di un pittore e illustratore, Tania è nata e cresciuta tra personaggi fantastici, immagini iper-realistiche e fumetti che hanno nutrito la sua immaginazione e creatività.
Giornalista, trend setter, talent scout: un’Alice contemporanea, com’è stata definita, che ha ideato e realizzato un concept store per promuovere nuovi talenti, MAD Zone®, definito dalla stampa «l’erede contemporaneo del format indimenticato lanciato da Fiorucci».
Laureata in Lettere Moderne, Tania intraprende più strade professionali grazie ai suoi diversi interessi e a un’indole che l’avvicina al mondo dell’arte e della moda.
Nell’estate del 2009, realizza e produce una linea di abbigliamento femminile ispirata agli Anni Settanta e al concetto del pezzo unico con una predilezione per gli abiti lunghi.
Dal 2013, Tania si è impegnata nello sviluppo del suo progetto MAD Zone® in cui, grazie alla passione per la ricerca, è riuscita a dare spazio a stilisti, artisti e designer emergenti creando uno store assolutamente non convenzionale prima a Roma e poi a Milano, in Via Brera.
È founder del format Alice in the box, dove è riuscita a riunire tutte le esperienze passate offrendo a terzi i servizi utili per creare il proprio fashion concept.

A proposito di Sara Digiovanni
Co-founder e Graphic Art Director di Disbanded
Dopo gli studi artistici, l’Istituto d’Arte prima e l’Accademia di Brera poi, Sara si inserisce nel mondo della moda appena ventenne entrando a far parte dell’ufficio stile del marchio Colmar poco prima della laurea.
Una serie di esperienze lavorative presso griffe e brand di rilievo – da Versace a Fureco, passando per Fixdesign, Fiat, Spyder Active Sport, Purotatto, Pistolesi, Giorgio Kauten, Factory Fashion – le permette di acquisire il know-how necessario per la creazione e lo sviluppo della grafica delle collezioni.
Successivamente, grazie alla collaborazione con il Gruppo Dupont e Rini Van Vonderen, affina la sua capacità di ricerca e l’attenzione alle tendenze.
Ritornando al primo amore, la sua arte si esprime come sintesi di tutte le esperienze conseguite nella moda: le sue tele sono frutto dell’unione tra innovazione tecnologica, un mix sapiente di diverse tecniche artistiche, pensiero e manualità legati da una forte impronta pop nei colori e nei contenuti.
Le sue opere – ironiche, surreali, visionarie e, spesso, concettuali – attirano l’attenzione di autorevoli critici d’arte che l’hanno potuta apprezzare durante le diverse esposizioni personali e collettive.

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