Les Georgettes by Altesse e i suoi gioielli intercambiabili e reversibili

Mi piacciono le novità e, possibilmente, le belle sorprese.

Ho bisogno di progetti che stuzzichino costantemente il mio amore per il bello, il talento, l’originalità, il coraggio; mi piace che un brand sappia sorprendermi, in positivo, dimostrandomi di saper giocare con tali elementi per dare luogo a novità, cambiamenti, evoluzioni.

E sono profondamente convinta del fatto che tutto ciò possa essere offerto da nomi freschi ed emergenti quanto da brand storici e già affermati: credo che l’innovazione possa arrivare da un nome nascente ma anche da uno consolidato poiché credo nella concretezza e credo invece ben poco (per niente, in verità) nei luoghi comuni e negli stereotipi.

Ed è solo un luogo comune che giovane (di età o di fondazione, di persona o di brand) sia sinonimo di innovazione quanto non è vero che storico sia sinonimo di una qualità maggiore: è vero, la freschezza della gioventù e l’esperienza della maturità sono (quasi sempre) dati di fatto, ma è comunque tutto da dimostrare all’atto pratico e concreto e io, allora, do uguali chance a tutti e mi baso esclusivamente sul risultato di un lavoro o di un percorso.

È proprio alla luce di tutto ciò che, oggi, vi parlo di un brand francese che possiamo considerare storico ma che ha uno spirito estremamente giovane quanto cosmopolita: il nome di tale brand è Les Georgettes by Altesse.

È nel 1905 a Parigi, precisamente nel cuore del Marais (il quartiere che è sempre stato il più anticonformista della città), che Marius Legros, giovane e talentuoso artigiano, decide di creare una propria linea di bijou: nel 1912, il gioielliere raggiunge la sua famiglia a Saint-Martin-De-Valamas (comune francese situato nel dipartimento dell’Ardèche della regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi) e qui apre il suo stabilimento. Leggi tutto

Dolores Bacchi + Simonetta Martini = DuElle, bijou che sfidano il tempo

Voi credete alle coincidenze e al caso?
Io non molto, se devo essere sincera.
Credo piuttosto al fatto che i nostri sogni e i nostri desideri possano essere trasformati in azioni concrete e dunque possano portare a situazioni e incontri che sembrano il frutto di “coincidenze” ma che, in realtà, abbiamo appunto agevolato o creato noi stessi proprio attraverso quelle azioni.
E credo al fatto che esistano delle cosiddette “affinità elettive” ovvero delle somiglianze di vario genere che possiamo percepire quando conosciamo qualcuno: a quel punto, scatta un riconoscersi a vicenda e il desiderio di rafforzare un legame nato da un’intesa istintiva o basato su un comune sentire.

La storia che desidero raccontarvi oggi nasce proprio da queste “non coincidenze”, nasce da energie messe in moto da persone accomunate da grandi affinità, che si assomigliano e che credono negli stessi valori.
Il punto di partenza è Stefano Guerrini, persona che ho nominato in tante occasioni: fashion editor e stylist, maestro e mentore, amico.
Stefano è originario di Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna, luogo che potrebbe sembrare lontano da quella Milano considerata la capitale della moda ma che sa invece riservare chicche e perle preziose che sfuggono magari a occhi distratti e frettolosi, ma certo non sfuggono all’occhio attento e competente di chi quel territorio lo conosce, lo ama e lo sa valorizzare.

E così, tra le perle di Lugo e provincia, Stefano ha puntato i riflettori anche su Dolores Bacchi e Simonetta Martini, creatrici di un brand di bijou al quale hanno dato il nome DuElle.

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Perché a qualcuno potrebbe o dovrebbe «fregare» di andare a Lione

Sì, lo so: si parla da moltissimo tempo della ferrovia Torino – Lione, generalmente definita TAV (da treno ad alta velocità sebbene sarebbe in realtà una linea mista) e che andrebbe ad affiancare la linea storica già esistente tra la città italiana e quella francese.
Se ne parla spesso, tra infinite polemiche e malintesi, tra pro e contro, tra favorevoli e contrari; eppure confesso che, quando ho deciso di passare un paio di giorni proprio a Lione, non sapevo nulla della esternazione del nostro Ministro Toninelli.
Mi era sfuggito che, durante la trasmissione Coffee Break su La7, la mattina dello scorso 4 febbraio, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del Governo Conte avesse dichiarato «Chi se ne frega di andare a Lione, lasciatemelo dire».
L’ho scoperto solo quando, instagrammando foto delle mie giornate lionesi, una persona simpatica e sempre piacevolmente ironica ha commentato: «Toninelli ti chiederebbe ‘ma che ci fai mai a Lione’… tu la risposta ce l’hai».

A Lione ci sono andata per accompagnare mio marito che doveva partecipare a un concorso internazionale di modellismo: per la precisione, Enrico costruisce e dipinge figurini e miniature storiche e fantasy.
E ci sono andata, anzi, tornata volentieri in quanto serbavo un ottimo ricordo della città che avevamo già visitato nel 2014: l’ho riscoperta anche più piacevole di quanto già fosse nei miei ricordi, con un’atmosfera vitale e frizzante che mi piace molto.

Parrebbe quindi, caro Ministro Toninelli, che vi sia qualche folle al quale andare a Lione interessi e che trova addirittura varie motivazioni per farlo.

Ora – non ho alcuna intenzione di scendere nel merito della questione della ferrovia Torino – Lione.
Né voglio parlare di politica o – meglio ancora – non desidero schierarmi pro o contro nessun partito.
E non avevo minimamente pensato di scrivere un post sul mio breve soggiorno ma, riguardando le foto che ho scattato a Lione, mi sono detta che l’esternazione del Ministro Toninelli era davvero infelice e ingiusta quanto fuori luogo.
Di conseguenza, se avete voglia di venire con me, ho il desiderio di condividere con voi qualche parola e qualche foto, senza alcuna polemica ma solo per elencare i motivi (oltre a quelli personali e soggettivi che ho finora citato) per i quali a qualcuno (o a molti) potrebbe invece «fregare» – eccome! – di andare a Lione.

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Perché dico sì alla mostra su Banksy al Mudec di Milano

Quando lo scorso 20 novembre sono stata al MUDEC per la conferenza stampa e l’anteprima della mostra dedicata a Banksy, mi sono bastati pochi istanti per innamorarmi del progetto messo in piedi dal Museo delle Culture di Milano.

Artista e writer britannico la cui identità rimane tuttora nascosta, Banksy è considerato uno dei maggiori esponenti della street art contemporanea: la sua protesta visiva riesce a coinvolgere un vastissimo ed eterogeneo pubblico e ne fa uno degli artisti più amati dalle giovani generazioni – e non solo.

Le sue opere sono infatti spesso connotate da uno sfondo satirico e trattano argomenti come la politica, la cultura e l’etica: l’alone di mistero che, per scelta e per necessità, si autoalimenta quando si parla della sua figura lo fa diventare un vero e proprio mito dei nostri tempi.

Su di lui sono già state organizzate diverse mostre presso gallerie d’arte e spazi espositivi, ma mai un museo pubblico italiano – o estero – ha finora ospitato una sua monografica, con la sola eccezione di quella organizzata dall’artista stesso al Bristol Museum nel 2009.

Con l’evento che resterà in cartellone fino al 14 aprile 2019, il MUDEC ospita un’importante retrospettiva: è corretto segnalare che si tratta di una mostra non autorizzata dall’artista, come tutte quelle a lui dedicate, in quanto Banksy continua a difendere non solo il proprio anonimato, ma anche la propria indipendenza dal cosiddetto sistema. Leggi tutto

Il nuovo Mudec Photo ospita Steve McCurry e la (emozionante) mostra Animals

Sabato 15 dicembre è stato un giorno speciale: non capita tutti i giorni di avere la fortuna – e l’onore immenso – di conoscere uno dei miti della propria adolescenza e giovinezza.

Nei miei anni da giovane donna idealista e fiduciosa, le foto incredibili di Steve McCurry (che io ammiravo sulle copertine e tra le pagine patinate di riviste del calibro di National Geographic) riuscivano a farmi sognare di viaggi, scoperte e geografie soprattutto umane, perché – come è stato giustamente definito – lui è uno straordinario esploratore del genere umano.
Gli scatti mozzafiato e i ritratti fenomenali fanno di McCurry un maestro del colore e dell’umanità: nessuno come lui sa raccontare le sfumature umane e tutto ciò lo rende uno dei più grandi fotografi di tutti i tempi.

È un onore immenso aver potuto tenere e stringere per un istante la mano che ha scattato infiniti capolavori e – per inciso – desidero dire che, come tutti i veri grandi che ho avuto la fortuna di incontrare, anche Steve McCurry è una persona squisita.

Com’è stato possibile tutto ciò, dove e come ho conosciuto il celeberrimo fotografo?
Ora ve lo racconto.

L’occasione mi è stata offerta grazie all’inaugurazione di MUDEC Photo, il nuovo spazio espositivo dell’omonimo Museo delle Culture dedicato alla fotografia d’autore, uno spazio che ne completa l’offerta. Leggi tutto

Valentina Viganò e i suoi gioielli, anzi, le sue ‘gioie’

Giusto un paio di settimane fa, vi ho parlato dell’inaugurazione dell’edizione 2018/2019 di Ridefinire il Gioiello, importante concorso del quale, fin dal 2014, sono (orgogliosamente!) media partner.

Nato nel 2010 a cura di Sonia P. Catena, il progetto è cresciuto edizione dopo edizione, diventando negli anni un importante punto di riferimento nella sperimentazione sul gioiello contemporaneo, di design e d’arte nonché un’interessante vetrina per artisti e designer.
Ridefinire il Gioiello promuove creazioni esclusive, selezionate dalla giuria e dai partner per aderenza a un tema sempre diverso nonché per ricerca, innovazione, originalità ideativa ed esecutiva: gioielli tra loro molto diversi per materiali impiegati (naturali, tecnologici, organici, inorganici) vengono uniti di volta in volta grazie a una tematica comune.

L’edizione Ridefinire il Gioiello 2018 / 2019 ha posto un tema interessante e stimolante: ha chiesto agli artisti di pensare e progettare un gioiello in grado di valorizzare e rileggere la memoria delle creazioni esposte al Museo del Bijou di Casalmaggiore.

Fondato nel 1986, questo Museo conserva e valorizza non solo 20 mila pezzi di bigiotteria, ma anche macchinari, utensili, fotografie e cataloghi tutti databili dalla fine dell’Ottocento fino alle soglie del nuovo millennio.
Il museo sorge a Casalmaggiore, delizioso comune della provincia di Cremona, perché la cittadina ha accolto uno storico e importante distretto di bigiotteria sorto tra XIX e XX secolo: il museo ospita dunque reperti e testimonianze provenienti dalle dismesse industrie locali e da numerose donazioni di aziende e collezionisti del settore. Leggi tutto

Ridefinire il Gioiello 2018 / 2019 reinventa i capolavori di Casalmaggiore

Passato e futuro, esperienza e innovazione, tradizione e sperimentazione.

Sono convinta che non siano affatto concetti in antitesi e che non siano tra loro inconciliabili: possono andare a braccetto, poiché chi conosce il passato (e ne ha imparato le preziose lezioni) può guardare al futuro serenamente; chi vuole innovare (e sperimentare) dovrebbe prima conoscere la tradizione poiché se si ha la giusta esperienza delle regole esistenti è possibile cambiarle e riscriverle.

Questa è l’ottica dell’edizione 2018/2019 di Ridefinire il Gioiello, importante concorso del quale, fin dal 2014, sono (orgogliosamente!) media partner.

Nato nel 2010 a cura di Sonia Patrizia Catena, il progetto è cresciuto edizione dopo edizione, diventando negli anni un importante punto di riferimento nella sperimentazione sul gioiello contemporaneo, di design e d’arte nonché un’interessante vetrina per artisti e designer.
È un progetto itinerante che promuove creazioni esclusive, selezionate dalla giuria e dai partner per aderenza a un tema sempre diverso nonché per ricerca, innovazione, originalità ideativa ed esecutiva: gioielli tra loro molto diversi per materiali impiegati (naturali, tecnologici, organici e inorganici) vengono uniti di volta in volta grazie a una tematica comune. Leggi tutto

A proposito del mio compleanno e della reciprocità…

E siamo a quota sei.

Ebbene sì, con oggi, 26 novembre 2018, sono sei i miei compleanni festeggiati qui, attraverso A glittering woman, lo spazio web al quale tengo molto e che curo con grande passione.

Quindi, per prima cosa… me lo permettete? Ma sì, dai, tanti auguri a me 🙂 🙂 🙂

Di solito, A glittering woman non vede me come protagonista diretta o esclusiva: durante tutto l’anno, infatti, i protagonisti sono i talenti che sostengo, in ogni ambito, e fa eccezione solo il 26 novembre, giorno in cui il post che pubblico è dedicato a me stessa.

Da glittering woman a birthday woman… solo per un giorno… naturalmente 😉

È diventata una piccola tradizione, l’unica occasione in cui mi metto al centro: questi post sono un modo per raccontare qualcosa di me e della fase che sto vivendo e il tutto è accompagnato dalle foto di alcune delle esperienze che ho vissuto nel corso dell’anno. Leggi tutto

Azzedine Alaïa, «Non sono un designer, sono un couturier»

Quando un anno fa, il 18 novembre 2017, il grande couturier Azzedine Alaïa si è spento, non ce l’ho fatta a dedicargli un articolo così come ho invece fatto spesso da quando ho inaugurato A glittering woman, rendendo omaggio a grandi personalità che hanno avuto un ruolo importante nella mia formazione, dalla moda alla musica passando per la letteratura.

E se non ce l’ho fatta è perché in quel momento non ho proprio avuto cuore, lo confesso, in quanto mi sono resa conto che sempre meno sono i couturier e gli stilisti ancora in vita e dei quali si possa dire che abbiano dato un loro forte e indimenticabile contributo alla moda, un’impronta senza la quale, oggi, non solo lo stile, ma anche (e soprattutto) il costume e la società sarebbero diversi.
E questa consapevolezza mi lascia attonita, mi atterrisce…

Quando la scorsa estate ho saputo che, durante la Milano Fashion Week, la mia città avrebbe reso omaggio ad Alaïa ospitando dopo Parigi la tappa italiana di una splendida mostra, non ho avuto alcun dubbio: è così che avrei chiuso l’edizione settembrina della settimana dedicata alla moda.

Lunedì 24 settembre, in una mattinata quieta, nella calma assoluta di Palazzo Clerici (uno dei luoghi che preferisco a Milano, in particolare la Sala degli Arazzi con gli affreschi di Giambattista Tiepolo), mi sono dunque goduta un impareggiabile momento di bellezza assoluta, visitando la mostra Azzedine Alaïa Couture Sculpture. Leggi tutto

E come Emanuela o egocentrica? Viaggio dalle iniziali al monogramma

Ricordo perfettamente un episodio della mia adolescenza e lo ricordo perfettamente come se risalisse a ieri e non, invece, a molti anni fa.
Eravamo all’inizio dell’anno scolastico e, forse per rompere un po’ il ghiaccio dei primi giorni di studio dopo le lunghe vacanze estive, la professoressa di letteratura ci diede da fare un tema nel quale dovevamo parlare di noi stessi.
Ne ero intrigata e ricordo come iniziai: «amo parlare di me stessa con i miei difetti e i miei pregi».
Ricordo perfettamente il foglio protocollo a righe diviso in due colonne, quella di sinistra dove scrivevamo noi e quella di destra che serviva per le correzioni della professoressa; ricordo il mio orgoglio nel portare a casa quel foglio da far vedere alla mia mamma, come si faceva allora; ricordo l’orgoglio per il bel voto vergato in rosso; ricordo le parole di mia mamma che mi raggelarono.
«È davvero un bel tema, ma iniziare con quelle parole è decisamente un po’ egocentrico.»
Ci rimasi malissimo.
Perché tenevo al suo parere e mi dispiaceva che potesse pensare che io fossi egocentrica.
E perché mi sentivo incompresa.
Non volevo certo essere egocentrica e non avevo minimamente pensato che quelle parole («amo parlare di me stessa») potessero dare (giustamente…) una simile idea di me: ero in buona fede e, abituata da sempre a tenere un diario, volevo semplicemente dire che ero felice di poter condividere me stessa e i miei pensieri. Ma mi spiegai malissimo, me ne rendo conto, e mi vergognai anche pensando a come doveva aver sorriso la mia professoressa (che tanto stimavo) leggendo quelle mie parole che, sul foglio, risultavano tanto differenti dalle mie reali intenzioni…

Quel giorno, imparai un’importante lezione, anzi, due.
La prima è quanto sia grave una cattiva comunicazione e quanto sia importante scegliere con estrema cura le parole che usiamo. La verità, infatti, non è che non ero stata compresa: ero io che non avevo saputo spiegarmi.
La seconda lezione è che dovevo fare del mio meglio per tenere a bada quel certo ego che (quasi) tutti noi abbiamo, perché tutto desideravo tranne che diventare una di quelle persone che si sentono al centro del mondo, poiché in me, da sempre, esiste una volontà più forte: aprirmi al mondo e condividere.

Ed eccomi qui, parecchi anni dopo, a ricordare e a raccontare un piccolo episodio che è in realtà è diventato un monito importante del quale credo di aver fatto tesoro.
Nel frattempo, la comunicazione è diventata il mio mestiere e non ho mai smesso di controllare costantemente che il mio ego (indubbiamente forte ma credo e spero non a livello patologico…) non prenda mai il sopravvento su alcuna delle cose di cui mi occupo, nel privato e nel lavoro.
Prendete questo blog: l’ho aperto proprio per condividere tutto ciò che amo con gli altri e certo non per un mio personale tornaconto bensì per l’amore sincero verso persone e progetti che stimo. Ho voluto appositamente che il centro e la protagonista di tutto ciò non fossi io, ma persone, cose, marchi, progetti che sono sì visti con i miei occhi ma che restano (e devono restare) i protagonisti. Per questo, molto raramente, i post si incentrano su di me: me lo concedo in occasione del mio compleanno e poche altre volte (come in un ciclo che ho scherzosamente denominato Manie vs mio archivio).

Non solo, come altre persone che desiderano tenere a bada i propri difetti, anch’io adotto piccoli trucchi in tal senso: una strategia molto comune è quella di lasciare che il difetto in questione si espanda in una piccola mania tutto sommato innocente.

Volete sapere la mia? La personalizzazione di oggetti con il mio nome o iniziali o monogramma o, ultimamente, con Agw, ovvero l’acronimo del nome del blog.

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Inside Magritte a Milano: «ceci n’est pas une exposition»

«Essere surrealista significa bandire dalla mente il già visto e ricercare il non visto.»

Credo di non aver mai letto parole più adatte per definire chi è un surrealista e ad aver pronunciato tali parole è una persona autorevole, sicuramente tra le più competenti in materia: parlo di René Magritte, ovvero uno dei massimi pittori del XX secolo nonché uno tra i maggiori esponenti del surrealismo.

Prendo in prestito le sue parole per iniziare il racconto di un’avventura che mi fa particolarmente piacere condividere con tutti coloro che leggono, perché questa esperienza riguarda proprio lo straordinario (e credo amatissimo) artista e perché tali parole sono perfette per motivare il tipo stesso di esperienza.

L’esperienza è un viaggio multimediale tra reale e immaginario, tra evocazione di un mondo onirico e racconto della vita concreta dell’artista: si tratta di Inside Magritte, il nuovo e inedito percorso espositivo multimediale dedicato al grande maestro René Magritte (1898 –1967), promosso dal Comune di Milano, ideato e firmato da Crossmedia Group (maggior produttore italiano di Digital Exhibition) insieme a 24 ORE Cultura che co-producono la tappa milanese per la regia di The Fake Factory.

A partire da oggi, 9 ottobre, e fino al 10 febbraio 2019, Inside Magritte anima la Cattedrale della Fabbrica del Vapore a Milano con immagini, suoni, musiche, evocazioni e suggestioni che ricostruiscono l’universo pittorico dell’artista belga: per la prima volta in assoluto, una mostra monografica digitale e multisensoriale a lui dedicata viene realizzata con il supporto e la consulenza scientifica della Succession Magritte di Bruxelles.

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Generation Paisley, al Mudec la bella mostra per i 50 anni di Etro

La moda ha molteplici piani di lettura – lo sa bene chi come me se ne occupa, studiandola o svolgendo un lavoro in questo ambito.

A legare ogni suo aspetto (da quello puramente estetico e di impatto visivo fino a quello fatto di suggestioni ed emozioni) è il forte potere comunicativo: la moda è a tutti gli effetti un linguaggio e racconta gli umori e i cambiamenti della società in cui viviamo, influenzandola e venendone a sua volta influenzata; è un fenomenale specchio dei tempi capace di raccontare chi siamo stati, chi siamo e chi saremo.

Proprio in tale ottica, si moltiplicano le mostre che raccontano la storia e le storie della moda: in Italia così come all’estero, sono spesso i grandi musei a mettere a disposizione i loro spazi e io che amo profondamente la moda e i suoi contenuti, io che ho l’onore di insegnare in Accademia del Lusso, scuola consacrata a formare i futuri professionisti della moda, non posso che essere felice di questo approccio culturale.

Com’è ben noto a tutti, settembre è uno dei mesi tradizionalmente consacrati alla presentazione delle nuove collezioni e, in occasione delle quattro principali Fashion Week (New York, Londra, Milano, Parigi), proprio per Accademia del Lusso e in particolare per il nostro ADL Mag, ho scritto un articolo collegando ogni città con alcune mostre dedicate alla moda.

Dalla passerella al museo, il passo è più breve di quanto si possa pensare: così, ho voluto raccogliere in un articolo tutta una serie di appuntamenti a mio avviso imperdibili: le fashion week dedicate alle collezioni donna per la primavera / estate 2019 (che hanno preso il via il 6 settembre a New York e che stanno volgendo al termine in questi giorni con Parigi) sono state ricche non solo di sfilate e presentazioni, ma anche di mostre e celebrazioni.

A rendermi particolarmente orgogliosa è il fatto che Milano – la mia città – si sia particolarmente distinta ospitando un numero davvero elevato di eventi: oggi, desidero parlarvi in dettaglio di una delle mostre menzionate in quel mio articolo, ovvero quella organizzata presso il Mudec, il Museo delle Culture di Milano, per festeggiare i 50 anni della casa di moda italiana Etro. Leggi tutto

A glittering woman chiude per ferie ma prima di salutarvi…

Cara web-family (posso chiamarvi così?)… ci siamo!
Anche quest’anno è arrivato il momento più atteso (non solo per me, credo), ovvero quello delle tanto sospirate, agognate e meritate ferie estive.

Qualunque cosa sceglieremo di fare – restare a casa, spostarci di pochi chilometri o dall’altra parte del mondo, andare nel posto che frequentiamo fin da quando eravamo bambini o esplorarne uno dove non siamo mai stati…
Ovunque decideremo di andare – mare o montagna, campagna o lago, città d’arte…
Qualunque sarà la compagnia della quale godremo – famiglia, amici e se vivete con cani, gatti & co. pensate a loro, mi raccomando, perché sono per la tolleranza zero verso coloro che li abbandonano, persone inqualificabili e indefinibili
Insomma, ben oltre le nostre personali scelte, ciò che vale per tutti è fare qualcosa di diverso dal solito, spezzare la routine quotidiana.

Ne abbiamo bisogno, abbiamo bisogno di rilassare cuore, mente e fisico, di distoglierli da pensieri diventati faticosi a causa della stanchezza accumulata in un lungo anno di studio o di lavoro (e la stanchezza c’è anche se abbiamo la fortuna di fare un lavoro che amiamo) nonché di impegni personali e familiari.

Staccare consente di fare il pieno di energie da destinare alle nuove attività che intraprenderemo a partire da settembre: l’anno inizia a gennaio, formalmente e sul calendario, ma in realtà è dopo le vacanze estive che fissiamo un nuovo punto di partenza.

Io sono tra coloro che considerano le ferie estive come un’esigenza quasi fisiologica.
Credo di averlo scritto un milione di volte… amo l’estate: amo i suoi profumi (da quello della salsedine fino a quello dei solari al cocco…), i suoi colori (la sinfonia di bianco e blu…), i suoi rumori (penso per esempio al frinire delle cicale…), i suoi sapori (soprattutto quelli della frutta).
Amo l’aria tiepida (anche se non apprezzo la canicola…) e le giornate lunghissime che sembrano non finire mai.
Amo i vestiti leggeri e i sandali, i cappelli e le borse di paglia.
Amo mangiare all’aperto.
Amo i ritmi che diventano più pigri.
Ho dunque bisogno di assecondare tutti questi amori per qualche settimana e allora anche A glittering woman chiude per ferie 🙂

Prima di farvi i miei auguri di buone ferie, però, mi permetto di suggerirvi qualche lettura: sempre che ne abbiate voglia, mi piace l’idea di poter in qualche modo venire con voi, di farvi compagnia nei momenti di relax, magari sotto l’ombrellone davanti al mare oppure sotto una veranda davanti a una cima.

Se le vostre uniche parole d’ordine sono estate e vacanze (e come potrei darvi torto), vi propongo tre miei post risalenti alla scorsa estate ma sempre attuali, ovvero quello sulle valigie, quello sulla prova costume (sapete già come la penso, per me è un’autentica scempiaggine e per dirla con le parole di una persona che mi piace – Cristina Fogazzi alias L’Estetista Cinica«La prova costume? Già il fatto che “costume” e “prova” convivano in una frase in cui non c’è “camerino” mi fa ridere») e infine quello sul ventaglio.
Più estivi e vacanzieri di così non si può 🙂

Sempre per restare in tema estate, vi propongo anche un post su una app particolarmente a tema, Playaya, e un post su un gioco interamente dedicato… al gelato!

Libri da mettere in valigia?
Vi suggerisco tre titoli particolarissimi: Carta preziosa di Bianca Cappello (non solo libro ma anche scrigno…), Mario Valentino di Ornella Cirillo (una storia bella e importante di un grande stilista italiano), Mirror Mirror di Cara Delevingne (quando una modella diventa scrittrice).

Se invece siete incuriositi dalle tendenze moda estive, vi ripropongo un post dedicato a quello che prende il nome di arm party (insomma, il mix & match di bracciali), tendenza ormai in voga da diverse stagioni.
Altra tendenza di cui ho parlato recentemente è quella del marsupio, non solo tendenza ma anche grande ritorno.

Se, oltre a estate e vacanze, la vostra terza parola magica è viaggi, concordo anche in questo caso 🙂 e allora condivido tre racconti di altrettanti viaggi e luoghi che mi stanno a cuore, Vietnam (dove sono stata nel 2005), Polinesia (il mio viaggio di nozze datato 2008) e infine Bretagna, regione nel nord della Francia, luogo che amo e che ho visitato varie volte (nel caso del post nel 2014).

Se in questo periodo resterete (o verrete) a Milano, la mia amata città, ho alcuni spunti per voi: che ne dite di una visita alla mostra Leonardo da Vinci Parade, alla mostra multimediale Modigliani Art Experience, alla mostra dedicata a Valentina Cortese oppure allo splendido Armani/Silos, luogo in cui la moda diventa arte?
O ancora, poco fuori Milano e precisamente a Lainate, recentemente ho scoperto – e amato – la splendida Villa Litta con l’incantevole Ninfeo e i sorprendenti giochi d’acqua.

Se anche voi siete affascinati dalle interazioni tra moda e società, vi propongo una mia disquisizione attorno al potere di immagini e loghi partendo dal caso Ikea – Balenciaga dello scorso anno.
Perché rispolvero questo argomento ora? Perché sembrerebbe che sia vero che il lupo perde il pelo ma non il vizio: dopo il plagio o presunto tale della borsa Ikea, ora tocca a City Merchandise subire le attenzioni della celebre maison (come racconta Pambianco qui)…

Se siete sempre un passo avanti e pensate già alla moda per la prossima stagione, potete dare un occhio alla mia piccola sezione dedicata alle prime anticipazioni autunno – inverno 2018 / 2019.

Se siete in cerca di curiosità, vi propongo il post sugli Amigurumi (li conoscete?) oppure quello sui Bonpon511, una coppia giapponese irresistibile: cosa fanno? Vestono sempre in coordinato!

Altra curiosità: il maneki neko, storiellina divertente soprattutto se, in vacanza, pensate magari di fare incetta di amuleti (io continuerò la mia collezione di evil eye…).

Passiamo ai gioielli: se siete creativi, artisti o designer in tale campo, avete tempo fino al 14 ottobre per partecipare al nuovo bando di Ridefinire il Gioiello, progetto-concorso del quale sono orgogliosa media partner dal 2014.
In questo mio post trovate tutti i dettagli.

Se invece i gioielli li collezionate – come me! – vi ripropongo le mia due scoperte più recenti: Little Bit Bijoux di Giovanna Checchi ed Eilish di Alice Canapa.

Insomma… spero ci siano argomenti per tutti i gusti!
E scusate se mi sono un po’ fatta prendere la mano: è la passione verso tutto ciò che faccio

Come scrivevo in principio, il blog sarà chiuso per ferie per qualche settimana.

Lunedì parto per la Grecia, finalmente, e torno a Samos, uno dei miei luoghi del cuore (ne ho parlato l’anno scorso qui e qui) e, oltre alle letture che vi ho indicato, non sparisco o almeno ci provo 🙂
Sarò dunque attiva sui social, attraverso la mia pagina Facebook e l’account Twitter e soprattutto attraverso Instagram, il mio social preferito, lo ammetto.
Se vi va di interagire, io sono sempre felice di rispondervi, lo sapete già ma lo ribadisco.

A questo punto, non mi resta che augurarvi buone vacanze secondo quella che è sempre e costantemente la mia visione, in qualsiasi momento dell’anno.

Il mio augurio (o invito) è infatti quello di lasciare aperti il cuore e la mente: siate liberi di spirito e indipendenti nel pensiero, siate curiosi e affamati di bellezza e conoscenza.

Sinceramente,
La vostra Manu

P.S.: Ho già in mente un post per la riapertura del blog dopo il periodo di ferie… vedrete, è un’iniziativa interessante dedicata alla contaminazione tra arti visive, musica e pratiche psico-fisiche, un’esplorazione del femminile attraverso quattro giorni di incontri, workshop, concerti, proiezioni, installazioni e performance… ed è interessante sia per chi vorrà partecipare al concorso collegato in qualità di artista emergente sia per chi invece vorrà partecipare alle varie iniziative dei quattro giorni…

Villa Litta di Lainate, quando paradiso e stupore sono vicino casa

Ha proprio ragione chi sostiene che, per fare grandi viaggi, non sia affatto necessario affrontare grandi spostamenti.
Così come ha ragione chi sostiene che, talvolta, possa capitare di conoscere meglio luoghi lontanissimi rispetto a luoghi che abbiamo a pochi chilometri da casa.

Della prima teoria, sono io stessa una convinta sostenitrice – le belle scoperte non dipendono dalla distanza, lo credo fermamente – mentre, per quanto riguarda la seconda teoria, ho un pensiero che non pretendo essere verità assoluta ma che è vero per quanto mi riguarda: il fatto che a volte io non riesca a visitare luoghi vicini e facilmente raggiungibili non è questione di alterigia o superbia, bensì un po’ di semplice quanto banale stupidità.

Come tanti, tendo talvolta anch’io a rimandare visite a luoghi vicini nella sciocca illusione che tanto avrò sempre tempo o modo di farlo: sbaglio, invece, poiché il tempo passa impietoso e intanto perdo occasioni preziose.

È esattamente ciò che è accaduto con la splendida Villa Visconti Borromeo Litta di Lainate: da molto tempo ne sentivo parlare e da altrettanto ne rimandavo la visita.
Per fortuna, è arrivato un graditissimo invito (grazie M.T.) e così, grazie a una piccola e comoda trasferta organizzata per giornalisti e blogger da Milano, ho finalmente colmato questa mia imperdonabile mancanza, pentendomi abbondantemente per il ritardo, vista la meraviglia assoluta del luogo nonché la sua particolarità e unicità.

Non solo: giovedì 19 luglio, in occasione di tale visita, ho potuto assistere alla proiezione di un interessantissimo docu-film su Villa Litta, scritto e diretto da Francesco Vitali con la collaborazione di Claudia Botta. Leggi tutto

Si vede il marsupio? Ricordi Anni Ottanta – Novanta alla riscossa!

Io e il marsupio in un ritratto firmato da Valentina Fazio – grazie

Se, come me, avete vissuto in prima persona gli Anni Ottanta e gli Anni Novanta, sicuramente ricorderete anche voi un accessorio che riporterà subito alla mente quel periodo, nel bene e nel male: il marsupio.

Già, se siano ricordi positivi o negativi, se fosse successo oppure flop, lascio che siate voi a deciderlo: io mi limito a confermarvi ciò che sicuramente avrete già notato da soli.
Ebbene sì, la moda si è innamorata del marsupio ed è grande amore tra un accessorio sicuramente controverso e i marchi dell’industria moda, da quelli più blasonati a quelli del fast fashion.

Ed era controverso soprattutto il marsupio dei già citati Anni Ottanta – Novanta: era un aggeggio un po’ ingombrante e goffo, pensato più per assolvere a una funzione pratica che non per averne una estetica e dunque veniva spesso proposto in tessuti tipo nylon non esattamente accattivanti nonché in colori spesso esageratamente vistosi…

Cosa sia il marsupio è del tutto superfluo spiegarlo così com’è piuttosto scontato spiegare il motivo del suo successo e della sua diffusione: è comodissimo, lascia libere le mani e soddisfa anche i requisiti di sicurezza in quanto consente di portare addosso, in posizione comoda e ben accessibile, i nostri effetti personali. È quasi impossibile da scippare, contrariamente alla borsa appoggiata alla spalla o portata a mano; rispetto allo zaino, indossato sulle spalle almeno nel suo uso più classico, offre invece la possibilità di posizionare il carico in posizione frontale, sempre a favore del senso di sicurezza.

D’altro canto, come in molti altri casi, anche in questo l’essere umano non ha inventato nulla, ma ha piuttosto tratto ispirazione dalla Natura visto che esiste una classe di mammiferi che prende il nome di marsupiali e comprende simpatiche bestiole quali i canguri e i koala.

Ma se nella femmina del canguro è presente una tasca addominale dove i piccoli, che nascono precocemente a causa della scarsa funzionalità della placenta, completano il loro sviluppo sotto la protezione materna, l’essere umano – che spesso cede a tentazioni più utilitaristiche e meno poetiche, diciamo così – ha pensato di copiare il marsupio per portare oggetti quali soldi, documenti, chiavi di casa e via discorrendo. Ah, cellulare!

Ma dicevo che il problema del marsupio umano (e forse anche il motivo della sua sparizione per quasi due decenni) è la goffaggine nonché l’essere ingombrante: ecco che i marsupi di nuova generazione risolvono anche questi problemi, diventando più piccoli pur restando capienti e soprattutto diventando più aggraziati e accattivanti poiché scelgono di strizzare l’occhio anche alla funzione estetica. Uno di quei casi, insomma, in cui funzione e forma si prendono amichevolmente a braccetto, evviva!

Il marsupio 2018 risulta così vincente per due caratteristiche principali: versatilità e, appunto, estetica.

Versatilità perché, adesso, si può indossare in tanti modi diversi: come dicevo, il marsupio classico si portava in vita o sui fianchi, mentre i modelli più attuali conservano la caratteristica di essere portati a corpo ma si possono portare anche crossbody (ovvero a tracolla in modo trasversale) oppure, nella posizione classica, assolvono alla funzione che appartiene anche alle cinture, ovvero possono creare un punto vita laddove non c’è e perfino su giacche e cappotti. Ancora, si possono agganciare ai passanti di gonne, pantaloni e jeans oppure possono essere dotati di una cinghia che diventa tracolla e li trasforma in piccole borse, rendendoli così accessori dalla doppia anima.

Estetica perché i marsupi non sono più da nascondere, anzi, al contrario, sono da esibire con disinvoltura perché, oltre a essere utili, sono diventati visivamente piacevoli e dunque completano l’outfit: insomma, l’accessorio un po’ trash e un po’ kitsch della moda Anni Ottanta – Novanta diventa invece un oggetto desiderabile e non importa che sia di una grande firma o di un marchio low cost. Ciò che conta è che abbia un’impronta contemporanea per colori, materiali e dettagli.

A proposito… ma com’è tornato in auge il marsupio?
Anche se l’estate che stiamo vivendo pare essere il suo momento di trionfo, in realtà le prime avvisaglie risalgono almeno al 2017.
Tra i primi a proporlo c’è stato Kim Jones, all’epoca designer di Louis Vuitton (e oggi creative director di Dior Homme): a gennaio dello scorso anno, Jones ha riproposto il marsupio da uomo in una versione logata in collaborazione con Supreme, uno dei marchi culto più amati dai giovanissimi.
Da quel momento, il marsupio è apparso di nuovo in molte sfilate uomo e donna: a proporlo, nomi del calibro di Valentino, Armani, Gucci e poi Kenzo, Stella McCartney, DKNY, Marni, ognuno dando una propria interpretazione.

In fondo, la storia del marsupio non è recente e varie forme sono rintracciabili dalla preistoria lungo tutto il Medioevo fino ad arrivare alle tenute militari, incluse quelle delle due Guerre Mondiali del Novecento: occorreva arrivare all’epoca di Instagram perché il marsupio, accessorio amato per esempio da turisti e viaggiatori quanto finora odiato dal fashion system, conquistasse a sorpresa le passerelle di moda e, contemporaneamente, i cosiddetti influencer, prendendosi la propria grande rivincita, sebbene al costo di cedere anch’esso a velleità estetiche e non più solo puramente funzionali.

Come sempre, però, attenzione agli eccessi: in tempi moderni, rischiamo spesso di estremizzare capi e accessori che dimostrano di avere successo.
Sto pensando, per esempio, alla ciabatta marsupio: ebbene sì, il colosso Nike ha annunciato l’intenzione di reinterpretare il suo classico modello di ciabatta, la Benassi, in una nuova versione che fonde due degli accessori più desiderati del momento e che – fino a non molto tempo fa –  non erano certo considerati tra i più cool…

Immaginate una ciabatta (o slider) tipo piscina e immaginate che la striscia che fascia il piede abbia una zip e che nasconda una piccola tasca per riporre monete, chiavi o magari un badge.
Nelle ultime stagioni, la moda ha ridato mordente a ciabatte e marsupi e, complici gli stilisti che li hanno proposti sulle loro passerelle, li ha attualizzati: eccoli ora di nuovo in auge e, con un colpo di genio (genio del bene o del male?), Nike annuncia l’unione dei due accessori, fusi in un unico nuovo dirompente oggetto che sembrava pronto a conquistare (o colonizzare…) l’estate 2018.
E invece, a oggi, nonostante annuncio e vari articoli (perfino da parte del blasonatissimo Vogue…), sul sito ufficiale di Nike non se ne trova traccia: che siano rinsaviti (ehm…), cioè, che abbiano cambiato idea?

Ai posteri l’ardua sentenza, mentre io confesso il mio peccato: ebbene sì, da brava teenager di fine Anni Ottanta – inizi Novanta, non ho potuto che gioire del ritorno del marsupio dal look rifatto.

E l‘ho adottato abbondantemente: già quest’inverno, il primo è stato un marsupio nero con piccole borchie color oro (qui, qui, qui).
Subito dopo, ne è arrivato uno rosso, piatto, con macro borchie argento (qui, qui, qui, qui, qui).
Ne ho anche uno azzurro in pelle che ha doppia funzione, marsupio e borsa (qui), e ne ho un altro nero, piccolo quanto una sorta di tasca (qui, qui, qui).
E infine ne è arrivato un ultimo, il quinto (per ora…), molto simile a quelli dei miei anni adolescenziali, ma con due differenze fondamentali: lo vedete nella foto qui sopra, si porta crossbody, proprio come vuole la tendenza più contemporanea, ed è tutto glitterato (qui, qui, qui) come piace a me, piccola glittering woman 😀 😀 😀

In tutto ciò, mi viene in mente una cosa: qualcuno ha pensato di intervistare Giorgio Panariello chiedendogli il suo parere circa il ritorno del marsupio?
Nella galleria degli ironici personaggi caricaturali inventati dal famoso attore toscano (e inseriti anche nel suo film Bagnomaria del 1999), figura infatti anche Pierre, animale da discoteca tutto marsupio e poco cervello, dotato di un look eccessivo e diventato famoso per lo slogan «Si vede il marsupio???».
E bravo Panariello che, con grande ironia, ha fatto del marsupio un punto cruciale, comprendendo il suo ruolo di oggetto sintomo di un micro fenomeno di moda e dunque anche sociale: nel mio piccolo, non potevo che rendergli omaggio con il titolo di questo post a sua volta sospeso tra serio e faceto 😉 🙂

Oggi più che mai, vale il suo tormentone «Si vede il marsupio???» e accertatevi che la risposta sia 😀

Manu

Shine bright like… Deyemond??? Allora scegliete Eilish di Alice Canapa!

Ammiro chi, oggi come oggi, ha l’ardire di lasciare il certo per l’incerto.
Ammiro chi, oggi come oggi, rinuncia a un mestiere diciamo prestigioso (tipo medico, avvocato, commercialista, ingegnere..) per inseguire i propri sogni (tipo aprire un piccolo brand artigianale).
Ammiro chi ha questo ardire o questa follia, lascio a voi decidere di quale delle due cose si tratti.

Anche per esperienza personale, vi dico che ci vuole una dose di entrambi quasi nella stessa misura: ebbene sì, ammetto che bisogna essere un po’ pazzerelli per rinunciare, oggigiorno, a un posto fisso con stipendio certo, per esempio, eppure non è detto che la sicurezza economica sia tutto o che ci garantisca felicità.
Io, nel posto fisso, stavo rischiando di impazzire e di consumarmi, giorno dopo giorno e anno dopo anno, e ho fatto una scelta folle eppure coraggiosa, composta per una metà di rinunce e per l’altra metà di riconquista della mia vita.
Tornerei indietro? No, mai. Sono più felice oggi? Sì e posso dirlo dopo aver provato entrambe le situazioni.
Ho fatto la scelta giusta? Sì, ho fatto la scelta giusta per me (non pretendo che lo sia in assoluto) e lo dimostra il fatto che, nonostante nessuno sia libero al 100% da un qualche fardello (nel mio caso l’eterna incertezza economica da lavoro autonomo), affermo con decisione e sicurezza che non tornerei indietro e che sono più felice ora (e non di poco) rispetto a quando prendevo 14 mensilità da stipendio fisso pagato con puntualità ogni 27 del mese.

Con questo, non pretendo di dare lezioni di vita a nessuno, lo voglio dire molto chiaramente: ogni caso è a sé e, se qualcuno mi chiedesse consiglio, non suggerirei mai né l’una né l’altra scelta, ma suggerirei piuttosto di essere molto onesti, sinceri e obiettivi per quanto riguarda le proprie personali esigenze e i propri personali obiettivi.
Per questo dico di aver fatto la scelta giusta ma giusta per me.

Detto tutto ciò, ammetto di avere un debole e un’attrazione verso tutti coloro che hanno avuto il coraggio e la follia necessari per fare il grande salto cambiando il corso di una vita che poteva sembrare già tracciata: mi piace raccontare le loro storie e, stavolta, desidero raccontarvi quella di Alice Canapa, la fondatrice del brand Eilish.

Ancora una volta, le nostre strade, la mia e quella di Alice, si sono incrociate grazie al web e, precisamente, grazie a Instagram: conducendo le solite ricerche di oggetti e persone che siano capaci di catturare il mio immaginario, sono capitata sul suo account e sono stata colpita da tre sue affermazioni.

La prima – «Creo gioielli per portare nel mondo un po’ di autoironia», argomentazione che mi piace moltissimo perché considero l’autoironia come un ingrediente fondamentale in ogni impresa.
La seconda – «Credo fermamente negli unicorni», dimostrazione che Alice crede – come me – che ciò che spesso viene considerato impossibile possa invece diventare possibile.
La terza – «Glitter addicted»… e vuoi dirlo, cara Alice, a una che ha chiamato il suo spazio web A glittering woman? 😀

Detto fatto, in cinque minuti, dopo aver curiosato tra le foto di Instagram, ho cliccato sul link del negozio virtuale di Eilish su Etsy, il portale dedicato ad artigianato e vintage: lì ho scoperto un bel po’ di cose.

Alice racconta di essere nata nel luglio del 1987 a Osimo, uno splendido paesino nelle campagne marchigiane, vicino ad Ancona: è un’artigiana orafa ed è la fondatrice – appunto – del brand Eilish.

La sua passione per l’arte orafa nasce in parte grazie alla mamma che è amante dei gioielli e in parte per un grande amore di Alice stessa per tutto ciò che è a artigianato.
Accantonata la laurea in ingegneria (vedete che il mio citare gli ingeneri in principio non era poi del tutto casuale..), la nostra Alice ha capito che il suo lavoro doveva essere quello di orafa: si è rimessa a studiare e, dopo un diploma in oreficeria, ha cominciato pian piano a costruire il suo laboratorio.

Per Eilish, fa tutto da sola: disegna e crea i gioielli che sono principalmente in argento e ottone, gestisce i negozi online, spedisce, cura i social (l’account Facebook oltre al già citato Instagram) e i contatti con i clienti.
Il tutto avviene nel suo studio, «accanto al caminetto, al primo piano della mia casa».

I suoi gioielli rigorosamente artigianali parlano (molto) di lei: la sua follia (e lo dice lei!), la sua autoironia, il suo amore per il glitter e per il colore rosa…tutto si mescola aiutandola a creare accessori particolari e che non passano certo inosservati, perché i pezzi Eilish nascono con lo scopo di far sentire unica ogni donna grazie a un design moderno pensato per brillare in ogni occasione.

Negli ultimi anni, Alice ha anche cominciato a tenere dei workshop attraverso i quali insegna tecniche base di oreficeria: la sua idea è far capire che ogni persona è in grado di creare qualcosa con le proprie mani, anche chi si definisce negato (devo andare a trovarla…).
Dato il successo di questi workshop, all’inizio del 2014 e sempre a Osimo, è stata tra le fondatrici dell’associazione culturale Il Canapaio, un luogo in cui vengono organizzati laboratori in cui i creativi, locali e non, insegnano la loro arte.
Insomma, Il Canapaio (vi lascio anche l’account Instagram) è uno splendido esempio di vero spirito di condivisione, proprio come piace a me.

Forse, qualche lettore particolarmente attento (grazie ) ricorderà quando ho raccontato della mia malattia (ehm…) mania per gli occhi: infatti, tra le creazioni di Alice, ho scelto e acquistato (per ora…) un pezzo della linea Deyemond, ironico gioco di parole tra diamond e eye.
Nella foto in apertura, vedete pertanto la sottoscritta che indossa la collana con occhio in argento 925 disegnato da Alice: la nappina si può scegliere in cinque diverse varianti colore, mentre l’occhio è disponibile anche nella versione ottone placcato oro giallo.

Se vi piace la collana, la trovate qui e potrete apprezzare anche il motto scelto da Alice per questa sua linea, giocando un po’ con il ritornello di un celebre brano della cantante Rihanna: Shine bright like a diamond è diventato Shine bright like Deyemond.

Lo confesso: adoro Alice nonché la bravura e l’ironia che ha riversato in Eilish.

Meno male che non ha fatto l’ingegnere anche se, magari, sarebbe stata bravissima anche a fare quello.

Manu

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